Il diritto internazionale ha posto le basi per la collaborazione tra gli Stati per affrontare il traffico di droga. Il valore degli affari è incalcolabile tanto che il solo traffico di stupefacenti in Europa si aggira intorno ai 24.3 miliardi di euro. Ma i trattati internazionali sono davvero lo strumento più efficace?

 

Le fasi del traffico di droga: quando un fenomeno ampio richiede l’attenzione della comunità internazionale

Il traffico di droga è un problema di dimensioni enormi, uno dei motivi che ha posto questo fenomeno ad essere contrastato anche nel diritto internazionale. Le rotte del traffico seguono percorsi di migliaia di chilometri e possono variare molto in base alle sostanze. Le droghe illecite infatti transitano per molti Stati e sono largamente distribuite grazie ai rapporti che si instaurano tra gli attori criminali. Inutile dire che il profitto è incalcolabile tanto quanto la produzione delle sostanze. L’UNODC, l’agenzia delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, pubblica ogni anno il World Drug Report, un’analisi sul traffico di droga e sugli effetti di questo fenomeno a livello globale. Gli studi effettuati dimostrano come il fenomeno non perda mai la garanzia di potere e ricchezza derivanti dal traffico, anche se, storicamente, il picco raggiunto dalle organizzazioni criminali nel traffico di stupefacenti si concentra tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90. Ma cos’è il traffico di droga e come si compone?

Il traffico di cui parliamo si divide sostanzialmente in 4 fasi:

  • Produzione delle sostanze (siano esse di origine naturale o chimiche)
  • Raffinamento di queste nel prodotto utilizzabile (dalla coca alla cocaina, dall’oppio all’eroina)
  • Ingresso nel mercato[1], e
  • Distribuzione all’ingrosso e al dettaglio

 

Tutto questo non avviene omogeneamente. Ad esempio, la produzione della foglia di coca si concentra in Colombia, Perù e Bolivia ed è da questi Stati che deriva più del 90% della cocaina nel mondo[2] mentre l’oppio è coltivato principalmente in Afghanistan, in Messico e in un’area del sud-est asiatico nota come Triangolo d’Oro (tra gli Stati di Myanmar, Laos e Thailandia). Ciò non toglie ovviamente che la produzione di sostanze stupefacenti sia facilitata da un’enorme serie di fattori interni ed esterni agli Stati. L’arrivo nei mercati è preceduto da tratte di migliaia di chilometri tra cui, forse la più famosa, è la c.d. rotta balcanica, la rotta di traffico che unisce i territori dell’Asia centrale e del vicino oriente all’Europa. Pertanto si comprende subito come il fenomeno non sia limitato ad una o due aree del globo e come il valore economico di questo traffico faccia gola a innumerevoli gruppi criminali. Il concetto di traffico quindi è vago e particolarmente mutevole, così come lo sono le organizzazioni criminali che operano in questa fiorente attività: in un mondo globalizzato i traffici, anche illegali, sono su scala mondiale. I problemi legati poi al traffico in questione sono altrettanto gravi[3].

È giusto spiegare la natura transnazionale del traffico di stupefacenti e del perchè il traffico di droga richieda l’attenzione nel diritto internazionale da parte degli Stati. Ecco un esempio: la produzione della coca è portata avanti da un cartello con la raffinazione del prodotto naturale in un laboratorio sperduto dell’entroterra colombiano, il transito della cocaina avviene attraverso due o più paesi del Sud America particolarmente facili da attraversare come il Brasile o l’Argentina, per arrivare in una grande città europea. Questo è un caso di un traffico internazionale di droga molto semplice scandito sostanzialmente in tre passaggi. Ciò che avviene nella realtà è molto più complesso[4] poiché si trovano centinaia di diversificazioni ai punti di smercio, si fa ricorso alla violenza piuttosto che alla corruzione contro funzionari doganali o aeroportuali, c’è il ricorso a complessi schemi di riciclaggio di denaro etc. Se è vero che, come in questo caso, si può provare la natura cross-borders di questo crimine, è importante sapere se questo sia definibile come transnazionale. Un reato è definito transnazionale se soddisfa uno delle condizioni dell’art. 3(2) della Convenzione di Palermo[5]:

  • È commesso in più di uno Stato
  • È commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avviene in un altro Stato
  • È commesso in uno Stato, ma in esso è implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato, o
  • È commesso in uno Stato ma ha effetti sostanziali in un altro Stato

 

Detto questo, il traffico di stupefacenti può essere un reato di natura transnazionale. Ma può essere anche un reato locale. Per esempio: in un laboratorio di anfetamine nei pressi di Amsterdam sono prodotti alcuni chilogrammi di questa sostanza a cui segue una vendita direttamente al dettaglio tra le strade della capitale. Si tratta sicuramente di traffico ma non si può dire che ci sia un fattore cross-borders.

 

I trattati internazionali: quando il traffico di droga è combattuto nel diritto internazionale

I più importanti trattati del ventunesimo secolo in materia di stupefacenti sono:

  • la Single Convention on Narcotic Drugs del 1961 con il Protocol della Single Convention del 1972,
  • la Convention on Psychotropic Substances del 1971[6], e
  • la Convention against Illicit Traffic in Narcotic Drugs and Psychotropic Substances del 1988

 

Questi trattati, è bene specificarlo, non proibiscono le droghe nella loro interezza, precisano che la domanda e l’uso delle sostanze per scopi medici e scientifici è legale ma condannano ogni altra forma[7]. Una particolarità: ciascuno dei tre trattati rientra nell’insieme delle suppression conventions. Con questa definizione si indicano quei trattati che vengono stipulati con lo specifico obiettivo di sopprimere una particolare condotta. Gli Stati parte allora dovranno punire le attività di cui si tratta poiché gli obblighi derivanti hanno due funzioni: la prima è di ridurre la condotta punita a livello interno, la seconda è per instaurare una collaborazione tra gli Stati al fine di assicurare la double criminality in base alla quale lo stesso reato è punito in due o più Stati. A ben vedere quindi accanto al progredire degli strumenti di cooperazione internazionale mediante trattato si richiede un impegno locale.

Chi studia diritto internazionale può affermare che difficilmente affrontando lo stesso argomento vi sia un susseguirsi così tumultuoso di convenzioni e trattative tra Stati. Il traffico di droga nel diritto internazionale diventa oggetto di un’altalenante lotta. I trattati appena citati sono distanti tra loro appena 30 anni: perché? In primo luogo la Convention del 1961 si distingueva per una politica a tolleranza zero per la produzione delle sostanze mentre nella Convenzione del 1988 è già chiaro come il traffico debba essere ormai combattuto su tutti i fronti[8] anche ricorrendo all’estradizione dei trafficanti e agli accordi di mutua assistenza legale e giudiziaria. In secondo luogo sono stati ridimensionati degli obblighi che, letti oggi, farebbero ridere: la Convention del 1961 stabiliva l’obiettivo di eliminare (attenzione, non ridurre la coltivazione) l’oppio in un periodo di circa 15 anni e la cocaina e la cannabis in un periodo di 25 anni. I risultati derivanti da tale politica sono quasi nulli e gli attori criminali sconfitti sono stati prontamente sostituiti da altre organizzazioni. In terzo luogo l’attenzione verso le nuove droghe. Nella Convention del 1961 non c’è alcun riferimento alle droghe da laboratorio o droghe sintetiche mentre già nella Convention del 1971 vengono incluse un centinaio di droghe come le anfetamine, i barbiturici, le benzodiazepine e gli psichedelici. Nella Convention del 1988 sono inoltre presi in considerazione i precursori chimici necessari per i processi di lavorazione delle sostanze stupefacenti. L’attenzione quindi al mondo delle droghe ha avuto un’impennata e non solo nel diritto ma in tutti quei campi connessi a tale fenomeno a fronte di problemi che non avessero a che fare solo con la violenza scatenata dalle lotte per i traffici tra le organizzazioni criminali. L’uso delle tecnologie è attualissimo ma si pensi anche allo sviluppo di politiche di prevenzione basate su studi scientifici: gli sforzi compiuti a livello interno non consentono di arginare del tutto i problemi derivanti dal numero di tossicodipendenti, dallo sversamento nell’ambiente dei precursori chimici con conseguenti danni, dal costo economico e sociale del traffico di droga.

 

La politica moderna in materia di droga

L’importanza del tema ha destato ulteriore attenzione nel nuovo millennio, tanto che nel 2016 si è tenuta una sessione speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulle droghe[9] su richiesta dei governi di Colombia, Guatemala e Messico[10]. Da queste trattative sono sorti più posizioni e non esiste un accordo generico su come affrontare il problema della droga. In particolare, per molti Stati non si può che fare affidamento alla politica di tolleranza zero[11] mentre altri sono più propensi a combinare alla riduzione della domanda e dell’offerta una regolamentazione delle droghe leggere e degli efficaci programmi di riabilitazione. Questa politica, in evidente contrapposizione alla zero tolerance, è nota come harm reduction. Le stesse relazioni tra gli Stati possono incrinarsi a causa del traffico di droga. Sono note infatti le posizioni dei paesi di transito degli stupefacenti: questi richiedono agli Stati produttori di essere più concreti nella lotta al narcotraffico. Inoltre è bene ricordare come gli Stati Uniti promotori della politica proibizionista ritrovano al loro interno numerosi Stati federati con discipline che regolano il consumo di marijuana. La situazione quindi è complessa, ben legata alle politiche interne e ai trattati internazionali.

Cosa si può fare? L’approccio che viene richiesto è sicuramente multidisciplinare perché devono essere considerati tutti gli aspetti politici, sociali ed economici. Ci si trova quindi non in una situazione di stallo ma in una situazione di forte disequilibrio poiché a livello interno e nella comunità internazionale il modo di arginare il fenomeno del traffico di droga è estremamente vario. Nonostante l’ampiezza della portata dell’UNGASS 2016 e del documento pubblicato al termine di questa, si evince ancora confusione e scetticismo su politiche di recupero e di sostegno verso i consumatori così come è ancora taboo in molti Stati la legalizzazione o la depenalizzazione delle droghe leggere. Il prossimo passo è l’UNGASS 2019 e a questo importante evento mancano solo 192 giorni: le aspettative di cambiamento che possono derivare da questo incontro sono alte.

Informazioni

United Nations Convention against Transnational Organized Crime, New York, 15 November 2000, 2225 UNTS 209, in force 29 September 2003

An Introduction to Transnational Criminal Law, Neil Boster, Oxford, 2012, Oxford University Press

Transnational Organized Crime, An Overview from Six Continents, Philip L. Reichel, Jay S. Albanese, SAGE Publications, Inc., Los Angeles, 2014

Criminalità organizzata e reati transnazionali, A. Centonze, Giuffrè Editore, 2008

World Drug Report 2018 (United Nations publication, Sales No. E.18.XI.9)

Il crimine transnazionale del narcotraffico

[1] È bene ricordare anche il Deepweb

[2] Per quanto riguarda la Colombia ad esempio si è registrato un aumento della superficie coltivata a pianta di coca: http://www.unodc.org/unodc/en/press/releases/2018/September/unodc-monitoring-survey-reports-a-slight-increase-of-coca-bush-cultivation-in-bolivia-during-2017.html

[3] http://www.unodc.org/unodc/en/frontpage/2018/September/un-secretary-general-calls-for-urgent-action-on-world-drug-problem-as-high-level-general-assembly-week-kicks-off.html?ref=fs3

[4] La complessità delle operazioni di traffico di stupefacenti è data, ovviamente, grazie al ricorso a professionisti spesso non direttamente appartenenti ad un’organizzazione. Ciò non toglie come la condotta sia penalmente rilevante

[5] Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale del 2000

[6] Una coincidenza: nello stesso anno di questo trattato il Presidente americano Richard Nixon dava il via alla War on Drugs

[7] Art. 4(1)(c) della Convenzione del 1961

[8] La Convention del 1988 pone l’obbligo agli Stati parte di stabilire pene per tutti gli aspetti illeciti: produzione, possesso e traffico di droga

[9] Sul processo che ha portato all’UNGASS 2016 si invita a leggere: https://www.unodc.org/ungass2016/en/about.html

[10] In questi tre Stati è stato riscontrato un aumento del numero di omicidi legati al narcotraffico. In particolare il Messico, dall’inizio della narcoguerra del Presidente Felipe Calderón nel 2000, è stato segnato dal più alto tasso di morte violenta nella sua storia. https://tg24.sky.it/mondo/2018/07/24/messico-record-omicidi-.html

[11] Politica riaffacciatasi con forza durante l’Assemblea Generale del 1998 “Un mondo senza droghe, possiamo farcela”. Al termine di questa Assemblea fu firmata una Dichiarazione in cui venne stabilito che entro 10 anni fossero eliminate o ridotte significativamente le coltivazioni di oppio, coca e cannabis