Flessibilità, autonomia e tecnologia: quando il lavoro diventa “agile”. Un inquadramento sullo smart working.
Lo smart working diventa noto nel momento del bisogno
Nell’ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 (coronavirus), il Presidente del Consiglio dei ministri ha emanato il 1° marzo 2020 un nuovo Decreto che interviene sulle modalità di accesso allo smart working, confermate anche dal Decreto del 4 marzo 2020.
Come indicato nel DPCM dell’11 marzo 2020, si raccomanda “venga attuato il massimo utilizzo, da parte delle imprese, di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza”.
Questo è quanto si può apprendere dal sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sottolineando per l’appunto l’importanza dello strumento smart working come una delle misure possibili e percorribili al fine di limitare la diffusione del virus[1]; ma in cosa consiste nello specifico questo nuovo metodo lavorativo? esistono normative che ne regolano i confini e gli aspetti giuridici? quali sono i pro e i contro rispetto all’ordinaria attività lavorativa?
Smart working: cos’è e come funziona
Capire in cosa consiste lo smart working non è né facile né immediatamente intuitivo ma possiamo partire, in primis, dalla definizione che ne dà lo stesso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per provare a semplificare il tutto:
“Lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività[2]”.
Accanto a questa definizione “ufficiale” derivante dalla Legge 81/2017, esistono altresì altre formulazioni fornite da Enti o centri di studi, come ad esempio quella che ne dà l’Osservatorio del Politecnico di Milano che definisce per l’appunto lo smart working come:
“una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati[3]”.
Oppure si veda la definizione coniata da Emanuele Madini, esperto di smart working e HR Transformation secondo cui tale nuovo strumento è:
“un modello organizzativo che interviene nel rapporto tra individuo e azienda. Propone autonomia nelle modalità di lavoro a fronte del raggiungimento dei risultati e presuppone il ripensamento “intelligente” delle modalità con cui si svolgono le attività lavorative anche all’interno degli spazi aziendali, rimuovendo vincoli e modelli inadeguati legati a concetti di postazione fissa, open space e ufficio singolo che mal si sposano con i principi di personalizzazione, flessibilità e virtualità[4]».
Ma quindi cos’è in concreto il lavoro “agile” e quali sono gli elementi in comune a queste (e ad altre) definizioni?
Partiamo da cosa non è lo smart working. Esso non è assimilabile al cosiddetto telelavoro e di conseguenza è errato utilizzare i due termini come sinonimi, anzi è bene specificare come l’uno derivi direttamente dall’altro. Infatti:
- nello smart workingil lavoratore dipendente svolge la sua prestazione lavorativa in parte dentro l’azienda e in parte fuori agli ambienti di lavoro aziendali e con totale autonomia organizzativa in ordine a orari, luoghi di svolgimento della prestazione e senza avere una postazione fissa.
- Nel telelavoro, invece, il lavoratore dipendente svolge la sua prestazione di lavoro in un luogo esterno ai locali aziendali, ma da una postazione di lavoro esplicitamente definita nel contratto di assunzione e dotato di tutti gli strumenti necessari per lo svolgimento della prestazione medesima (pc, tablet, ecc.). Gli orari di lavoro, a differenza di quanto previsto per lo smart working, sono anch’essi definiti nel contratto di assunzione e non possono essere modificati unilateralmente dal lavoratore.
Quindi smart working non è un nuovo tipo di contratto di lavoro ma una nuova e diversa modalità di svolgere la prestazione lavorativa. È una versione più evoluta del telelavoro, per cui è un tipo di lavoro che si adatta di più alle esigenze del lavoratore, che gli permette di svolgere la professione fuori dai tradizionali luoghi di lavoro e di organizzarsi nel modo più consono alle sue necessità.
L’idea è quella di poter lavorare da casa, al bar, creando una postazione di lavoro insieme ad altri professionisti ed utilizzare a tal fine strumenti di lavoro adeguati alle proprie esigenze: tablet, pc, documenti condivisi, Skype per le riunioni. L’unico obiettivo di primaria importanza per l’azienda è che venga raggiunto il risultato stabilito. Lo scopo, quindi, è sicuramente quello di rendere più semplice la vita del lavoratore, ma soprattutto quello di incrementare la produttività.
Diritti e doveri dello smart worker alla luce della legge 81/2017
Per mezzo della legge n.81 del 22 maggio 2017, entrata poi in vigore il 14 giugno, viene tutelato il lavoro dello smart worker, il quale può liberamente svolgere la sua attività da qualsiasi postazione e location desideri.
Già prima dell’approvazione, molte aziende lo avevano sperimentato, ruotando attorno alle regole del telelavoro, e gestendolo con accordi collettivi stipulati a livello aziendale.
Un esempio di azienda che ha provato ad aprirsi allo smart working è quello di Alpitour, che ha fatto in modo che oltre 800 persone di tutte le sedi della società lavorassero in modalità smart almeno un giorno alla settimana, operando da casa e risparmiando quindi su tempi e costi di trasferimento per raggiungere l’ufficio.
Ma cosa comporta la legge sullo smart working per il lavoratore?
Il principio cardine, su cui si basa questa nuova modalità di lavoro, è la volontarietà che si concretizza attraverso un accordo riguardante diversi aspetti del rapporto lavorativo: modalità di utilizzo degli strumenti di lavoro, orari, recesso. Nello specifico, il lavoratore e l’azienda, tramite un accordo consensuale (che non va in alcun modo a sostituire alcun accordo preesistente) definiscono un contratto che può essere rescisso con preavviso unilaterale e che potrà avere natura sia temporanea che indeterminata.
Un altro aspetto delicato regolato dalla legge 81/2017 riguarda la retribuzione per cui si garantisce il diritto del lavoratore smart di avere una retribuzione pari a quella dei colleghi che lavorano in ufficio: lo smart working permette lo svolgimento delle proprie mansioni da una sede diversa, ma non comporta assolutamente una diminuzione delle ore di lavoro o della produzione, e tantomeno della paga. Lavorare in un luogo diverso rispetto al proprio ufficio non deve essere causa di uno stipendio diverso: il lavoro e l’impegno, infatti, non variano!
La legge n.81 tutela il lavoratore anche per quanto riguarda il diritto al riposo e alla disconnessione. L’orario lavorativo deve, infatti, rimanere immutato, e il datore di lavoro deve rispettare il diritto alla disconnessione.
Tempo e luogo di lavoro sono divenuti concetti più “fluidi”, e a volte si mischiano, rendendo la linea tra “tempo di lavoro” e “tempo personale” davvero sottilissima. Ma smart working non significa lavorare 24/7 dato che si è sempre connessi, quanto, piuttosto, svolgere le mansioni in un orario predefinito, esattamente come tutti gli altri. Non andare in azienda e non essere sotto gli occhi di tutti non significa avere massima libertà, ma sapersi responsabilizzare ed organizzare autonomamente.
Infine, il datore di lavoro deve dare al lavoratore smart un documento in cui lo informa su tutti i rischi e infortuni possibili ed eventuali: il secondo infatti, nonostante non sia in ufficio, deve rispettare tutte le normative che riguardano sicurezza e salute (nonostante la palese difficoltà nel definire tutti i rischi connessi al lavoro in qualsiasi luogo possibile).
A controbilanciare i vari diritti garantiti allo smart worker ci sono precise responsabilità per il lavoratore. L’accordo relativo alla modalità di smart working, disciplina l’esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. L’accordo individua le condotte connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari.
In parole povere, seppur non lavori fisicamente in azienda, con lo smart working il dipendente ha l’obbligo di portare a termine gli obiettivi prefissati con il proprio datore di lavoro. Inoltre in alcuni casi, e qualora si fosse stabilita la “reperibilità” in determinate ore della giornata lavorativa, il “lavoratore smart” dovrà risultare attivo e reperibile per qualsiasi necessità del proprio datore di lavoro.
Il lavoratore è tenuto a custodire con diligenza gli strumenti tecnologici messi a disposizione dal datore di lavoro ed è responsabile della riservatezza dei dati cui può accedere tramite gli stessi ed è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro, per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.
Inevitabile adesso domandarci quali sono i principali pro e contro di questo nuovo strumento rispetto alla “normale” attività lavorativa.
Vantaggi e svantaggi dello smart working
Questi i principali vantaggi per il lavoratore in smart working:
- Riduzione dello stress
- risparmio nei costi di trasporto
- aumento dell’efficienza
- maggiore flessibilità
- possibilità di gestire l’orario lavorativo, in base alle esigenze personali e a quelle dell’azienda.
Questi i principali svantaggi per il lavoratore in smart working:
- Può capitare che il lavoro si amalgami troppo con la vita personale;
- non avere più un orario lavorativo ben preciso, potrebbe spingere il lavoratore preoccupato per la propria produttività a non staccare mai e a mettere in secondo piano la vita domestica;
- il confronto diretto con i colleghi e il relativo team building potrebbe ridursi;
- lavorando da casa, che diventerebbe di fatto anche il proprio ufficio, si potrebbe perdere il senso di relax delle quattro mura domestiche: è quindi importantissimo organizzare bene il proprio lavoro, prestabilendo orari ben precisi ed una postazione specifica nella propria casa.
Giurisprudenza in merito
Essendo lo smart working un tema abbastanza recente propongo due sentenze per chi volesse approfondire il tema in oggetto.
La prima sentenza emessa dal Tribunale di Roma è la n° 6022 dell’11 luglio 2018 e riguarda il rischio di contestazioni per il lavoratore sull’uso di internet e social: in species lo smart working non salva il lavoratore da contestazioni disciplinari per l’uso scorretto di internet e dei social, infatti lavorare a distanza consente comunque al datore di lavoro di esercitare il proprio potere disciplinare ex artt. 2106 cc e impone al dipendente di usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione.
La seconda sentenza emessa dalla Suprema Corte, sez. penale è la n° 45808 del 27 giugno 2017 e riguarda il rapporto tra smart working e sicurezza del lavoro: il caso esaminato dalla Corte riguardava un infortunio avvenuto nello svolgimento di un’attività in un luogo terzo rispetto alle strutture aziendali e la Sezione IV ha sottolineato come anche in questo caso il datore di lavoro abbia in capo la responsabilità della valutazione del rischio cui il lavoratore potrebbe essere esposto.
Conclusioni
Come ha sottolineato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, «Lo Smart Working non può essere la soluzione per “bloccare” l’epidemia ma, con l’impegno di tutti, può rappresentare una misura per ridurre rischi, attenuare disagi e contenere gli enormi danni economici e sociali che questa emergenza rischia di causare. I lavoratori, e soprattutto coloro che sono già smart workers, devono restituire il credito di fiducia dimostrando autonomia, impegno e senso di responsabilità».
Informazioni
Tribunale di Roma, n° 6022 dell’11 luglio 2018
Corte Cassazione, sez. penale n° 45808 del 27 giugno 2017
https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx
[1] Per un approfondimento al tema avente ad oggetto la decretazione d’urgenza si rimanda all’articolo di G. Casavecchia dal titolo “Ll decreto legge come strumento emergenziale” consultabile in http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/16/il-decreto-legge-come-strumento-emergenziale/
[2] Definizione contenuta nella legge 81/2017 e direttamente rintracciabile nel sito ufficiale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx
[3] https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/smart-working

Carlotta Pellecchia
Ciao, sono Carlotta. Nata a Carrara nel 1991. Sono dottoressa magistrale in giurisprudenza avendo discusso una tesi presso l’Università di Pisa in ambito penal processualistico incentrata sulla figura dell’agente provocatore come valido strumento volto alla repressione di delitti; nel medesimo ateneo ho conseguito anche la laurea triennale in diritto dell’impresa, del lavoro e delle Pubbliche Amministrazioni, discutendo una tesi riguardante il Pubblico Ministero nel processo penale. Avendo collaborato in uno studio legale ho avuto modo di approcciarmi sia al ramo civilistico che penalistico ma da sempre nutro un forte interesse per quest’ultimo, oltreché per temi inerenti la criminologia e la filosofia del diritto.
Ho fatto parte di DirittoConsenso da dicembre 2019 ad aprile 2020.