In questi ultimi giorni, per via della forsennata ricerca delle mascherine protettive a causa del coronavirus, si sente parlare del concetto di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale). Il mondo lavorativo li conosce molto bene, ma perché sono così fondamentali per tutti?

 

Premessa

Il mondo della sicurezza nei luoghi di lavoro è estremamente complesso e in maniera veramente elementare è necessario spiegare che alla base della gestione della sicurezza nei luoghi di lavoro è presente la valutazione del rischio (VDR) che è un obbligo non delegabile del datore di lavoro[1]. Ai sensi dell’art. 2, lett. q) del D.Lgs. 81/2008[2], per VDR si intende “la valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”.

Determinati tutti i rischi devono essere intraprese le misure di minimizzazione del rischio, considerare il rischio come nullo non è infatti possibile. Sin da ora si vuole sottolineare che quando entrano in campo i DPI significa che a livello organizzativo e di riduzione del rischio non è stato possibile evitare l’uso di questi strumenti, o che comunque i DPC (Dispositivi di Protezione Collettiva) non sono sufficienti. La tutela è infatti principalmente collettiva e poi singolare.

 

I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)

La definizione di DPI è dettata dall’art. 74 del D.Lgs. 81/2008, il Testo Unico per la sicurezza nei luoghi di lavoro (TUSL): “qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo”.

In realtà non basta “qualsiasi attrezzatura”, a livello normativo sono presenti stringenti requisiti che disciplinano la progettazione, la fabbricazione e la messa sul mercato, in Europa tutti i DPI devono essere infatti marcati CE[3]. Insieme al Regolamento Europeo 2016/425[4], sono presenti svariate norme tecniche catalogate come standard internazionali[5], grazie alle quali vengono uniformati a livello globale i sistemi di produzione, in modo da avere un minimo comun denominatore per ogni attrezzatura destinata ad essere DPI.

Il Datore di Lavoro, insieme al Medico Competente e al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione sceglie i DPI da utilizzare e li consegna al lavoratore, in caso di DPI di Categoria III è obbligatorio l’addestramento del lavoratore. I DPI devono essere mantenuti in buono stato di conservazione e soprattutto per alcuni, non scaduti.

Ci sono tre diverse categorie di DPI[6]:

  • I DPI di I^ Categoria vengono utilizzati per proteggere da rischi minimi: lesioni meccaniche superficiali; contatto con prodotti per la pulizia poco aggressivi o contatto prolungato con l’acqua; contatto con superfici che non superino i 50° C; lesioni oculari dovute all’esposizione alla luce del sole; condizioni atmosferiche di natura non estrema;
  • I DPI di II^ Categoria sono tutti i DPI che non rientrano nella I^ o nella III^ Categoria;
  • I DPI di III^ Categoria vengono utilizzati in caso di rischi che possono causare conseguenze molto gravi (morte o danni alla salute irreversibili): sostanze[7] e miscele pericolose per la salute; atmosfere con carenza di ossigeno; agenti biologici nocivi; radiazioni ionizzanti; ambienti ad alta o bassa temperatura (almeno + 100° C o – 50° C); cadute dall’alto; scosse elettriche o lavoro sotto tensione; annegamento; tagli da seghe a catena portatili; getti ad alta pressione; ferite da proiettile o da coltello; rumore nocivo.

 

Un cenno alle mascherine

Prima dell’emergenza coronavirus, non molte persone erano a conoscenza delle mascherine in uso nei luoghi di lavoro, probabilmente ci si soffermava solo su quelle ad uso chirurgico, ma abbiamo visto che nel mondo dei dispositivi di protezione individuale, tra le primissime attrezzature che possiamo anche ritenere come “usa e getta”, ci sono alcune mascherine filtranti, nel gergo tecnico chiamate FFP 1-2-3. Quali sono le differenze?

  • Mascherina chirurgica: protegge filtrando l’aria che espiriamo, ossia evitare la diffusione e il contagio di agenti, particelle, batteri o virus a un paziente o ad altre persone intorno a noi. Queste mascherine non erano considerate DPI fino all’entrata in vigore del DL 17 marzo 2020 n. 18[8].
  • Mascherina FFP1: protegge dalle polveri non tossiche e/o dagli aerosol a base acquosa (ad es. polvere di cemento, farina, carbonato di calcio (gesso), grafite, cotone, cemento). Essa ha una efficienza filtrante minima del 78% di ciò che inspiriamo.
  • Mascherina FFP2: protegge dagli aerosol solidi e/o liquidi debolmente tossici o irritanti (ad es. legno non trattato, sostanze derivanti da molatura, taglio, saldatura, fresatura, carbone, fibra di vetro, fibra minerale, grafite, pesticidi in polvere). Essa ha una efficienza filtrante minima del 92% di ciò che inspiriamo, sono omologate per trattenere particelle di spessore fino 0.6 micron. È adatta per proteggersi dal coronavirus.
  • Mascherina FFP3: Protegge dalle particelle e dagli aerosol solidi o liquidi classificati come tossici (ad es. Amianto, pesticidi in polvere, agenti biologici, polvere farmaceutica, legno trattato, cromo, calcare, piombo, grafite). Essa ha una efficienza filtrante minima del 98% di ciò che inspiriamo, sono omologate per trattenere particelle di spessore fino 0.6 micron. È adatta per proteggersi dal coronavirus.

 

La gestione rifiuti dei DPI

Il tema dei DPI non passa solo sotto la gestione della sicurezza, ma anche da quella ambientale. I DPI non possono essere smaltiti liberamente, ma in ambiente lavorativo, devono sottostare alla disciplina dei rifiuti disciplinata dalla parte IV dal D.Lgs. 152/2006.

Senza sminuire l’affascinante mondo dei rifiuti, in linea generale è importante chiarire che per definire un rifiuto ci devono essere tre elementi: un soggetto produttore; l’obbligo o la volontà di sbarazzarsi di qualcosa e, appunto, un qualcosa. È fondamentale focalizzarsi sul “qualcosa” perché esso deve essere univocamente inquadrato e il Testo Unico Ambientale ci spiega che esiste una classificazione. Principalmente si opera la distinzione tra i rifiuti urbani e i rifiuti speciali, questi ultimi vengono poi distinti in rifiuti speciali pericolosi o non pericolosi. A tutti i rifiuti è attribuito un codice univoco europeo.

Nel mondo delle attività produttive è responsabilità del produttore qualificare il rifiuto, ossia operare tutta una serie di attività al fine di individuare il codice da attribuire e far partire la catena che porterà quell’oggetto al recupero o allo smaltimento e tutto l’insieme di obblighi di registrazione connessi. In via semplificata anche il cittadino comune opera una classificazione, sempre che siano attivi i regimi di raccolta differenziata che permettono di separare la plastica, il vetro, la carta e di gestire rifiuti più ostici come le pile e gli accumulatori, gli oli ad uso alimentare e i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE[9]).

Un soggetto che svolge attività imprenditoriale quando non potrà più utilizzare una mascherina filtrante o un DPI gli attribuirà un codice e chiederà a soggetti autorizzati di prelevare il rifiuto e di recuperarlo o smaltirlo, possiamo ipotizzare che in caso di mascherine cercherà soggetti autorizzati a trasportare e smaltire un rifiuto con codice 15.02.02* o 15.02.03[10].

Un privato quando utilizzerà un DPI lo classificherà come rifiuto indifferenziato.

 

Le linee guida ISS per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell’infezione da coronavirus

Al fine di gestire i rifiuti urbani in relazione all’infezione da coronavirus, l’Istituto Superiore della Sanità ha stilato delle Linee Guida che consigliamo di approfondire[11]. Nel presente documento viene considerata la gestione di due tipi di rifiuti, e precisamente:

  1. Rifiuti urbani prodotti nelle abitazioni dove soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o in quarantena obbligatoria.

I rifiuti urbani provenienti dalle abitazioni dove soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o in quarantena obbligatoria, dovrebbero essere considerati equivalenti a quelli che si possono generare in una struttura sanitaria, come definiti dal DPR 254/2003[12].

Si raccomanda, quindi che nelle abitazioni in cui sono presenti soggetti positivi al tampone, in isolamento o in quarantena obbligatoria, sia interrotta la raccolta differenziata, ove in essere, e che tutti i rifiuti domestici, indipendentemente dalla loro natura e includendo fazzoletti, rotoli di carta, i teli monouso, mascherine e guanti, siano considerati indifferenziati e pertanto raccolti e conferiti insieme.

Per la raccolta dovranno essere utilizzati almeno due sacchetti uno dentro l’altro o in numero maggiore in dipendenza della loro resistenza meccanica, possibilmente utilizzando un contenitore a pedale. Si raccomanda di:

  • Chiudere adeguatamente i sacchi utilizzando guanti mono uso;
  • Non schiacciare e comprimere i sacchi con le mani;
  • Evitare l’accesso di animali da compagnia ai locali dove sono presenti i sacchetti di rifiuti;
  • Smaltire il rifiuto dalla propria abitazione quotidianamente con le procedure in vigore sul territorio (esporli fuori dalla propria porta negli appositi contenitori, o gettarli negli appositi cassonetti condominiali o di strada).

 

  1. Rifiuti urbani prodotti dalla popolazione generale, in abitazioni dove non soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o in quarantena obbligatoria.

 

Per le abitazioni in cui non sono presenti soggetti positivi al tampone, in isolamento o in quarantena obbligatoria, si raccomanda di mantenere le procedure in vigore nel territorio di appartenenza, non interrompendo la raccolta differenziata.

Bisogna comunque porre l’attenzione al fatto che, anche se al momento non sono presenti alcune indicazioni ufficiali, le mascherine utilizzate in ambito lavorativo in questa situazione di emergenza, anche se non in luogo di lavoro di tipo sanitario, potrebbe comportare la loro classificazione come rifiuti di tipo sanitario a causa della potenziale trasmissione biologica, potenziale poiché secondo i protocolli sanitari e le procedure aziendali, allo stato attuale possono svolgere mansioni solo soggetti privi di sintomi tipici del coronavirus. In tal caso i rifiuti sarebbero classificati come 18.01.03 e 18.01.04.

Informazioni

[1] Art. 17 del D.Lgs. 81.2008

[2] Qui il testo del T.U. aggiornato

[3] La marcatura CE, in vigore dal 1993, indica la conformità a tutti gli obblighi che incombono sui fabbricanti (o importatori) in merito ai loro prodotti (o a quelli immessi sul mercato sotto la propria responsabilità) in virtù delle direttive comunitarie, consentendo la libera commercializzazione dei prodotti marcati entro il mercato europeo.

[4] Qui il testo del Regolamento Europeo 425/2016

[5] Uno tra tutti è lo standard ISO – https://www.iso.org/home.html.

[6] Allegato I del Reg. EU. 425/2016

[7] Una sostanza pericolosa è l’Amianto, ne ho parlato qui.

[8] Art. 16 del DL 18.2020: Per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di  cui  alla  delibera  del  Consiglio  dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull’intero  territorio  nazionale, per i lavoratori che nello  svolgimento  della  loro  attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di  protezione  individuale (DPI), di cui all’articolo 74, comma 1,  del  decreto  legislativo  9 aprile 2008, n.81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il  cui  uso  è  disciplinato dall’articolo  34,   comma   3,   del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9.

[9] Cosa sono i RAEE? Leggi qui.

[10] CER 15.02.02* – assorbenti, materiali filtranti (inclusi filtri dell’olio non specificati altrimenti), stracci e indumenti protettivi, contaminati da sostanze pericolose;

CER 15.02.03 – assorbenti, materiali filtranti, stracci e indumenti protettivi, diversi da quelli di cui alla voce 150202.

[11] Qui il testo delle LG.

[12] Qui il testo del Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari