Dall’emergenza covid-19 emerge una possibile responsabilità penale da epidemia colposa: analisi del reato e rilievi critici
Premessa
Prima di parlare specificamente dell’epidemia colposa, dobbiamo inquadrare il contesto normativo e l’attuale situazione contemporanea. Sin dagli inizi del mese di marzo, purtroppo, l’Italia è stata oltremodo colpita dall’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, meglio conosciuto come Coronavirus. Un diffondersi rapido che ha coinvolto, dapprima, e con maggiore violenza, la parte settentrionale, per poi propagarsi in tutta la penisola. L’inesorabile espansione del virus ha portato il governo ad assumere decisioni[1] volte a contenere l’attuale pandemia, mediante l’adozione di numerose misure restrittive allo scopo di ridurre sensibilmente la circolazione delle persone sul tutto il territorio[2].
Ma come far rispettare tali misure di contenimento?
La prima fonte normativa attraverso cui porre le fondamenta legali alle sanzioni introdotte per punire la violazione delle misure di contenimento (nello specifico, la misura di quarantena, per coloro che provenivano dalla Cina e per coloro che avevano avuto contatti con casi conclamati di contagio) è il D. L. n. 6 del 23 febbraio 2020. Difatti all’art. 3, comma IV si prevedeva che “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 c.p.. La sanzione, per l’inosservanza di un provvedimento dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è: l’arresto fino a tre mesi, l’ammenda fino a 206,00 euro.”
Successivamente, a seguito del D.P.C.M. del 9 marzo 2020 con cui sono state disposte nuove misure per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covid-19 sull’intero territorio nazionale, si è adottato il modulo di autodichiarazione, che tutti noi abbiamo imparato a conoscere, incorrendo, dunque, nel rischio di poter essere incriminati anche per i c.d. reati di falso.
Infine, con il D. L. n. 19/2020, da un lato, si è proceduto alla riorganizzazione della disciplina emergenziale, mentre dall’altro, le sanzioni penali di cui all’art. 650 c.p., previste in caso di violazione delle misure di contenimento sono state sostituite con sanzioni amministrative.
Tuttavia, oltre al rischio di incorrere in queste possibili sanzioni, dalla cronaca è emersa la possibilità di poter configurare una responsabilità penale ancor più grave, ossia quella del reato di epidemia, in particolar modo quello di epidemia colposa.
Sull’epidemia colposa
Il delitto di epidemia è disciplinato dall’art. 438 c.p. il quale punisce con la pena dell’ergastolo “chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni”[3]. L’epidemia colposa deriva dal combinato disposto degli artt. 438-452 c.p., ove quest’ultimo prevede la pena della reclusione da uno a cinque anni, aumentata da tre a dodici anni qualora ne consegua la morte di più persone.
Il bene giuridico posto a tutela è di primaria rilevanza e trova espresso riconoscimento nell’art. 32 Cost., ossia il bene della salute. Tuttavia, dalla collocazione codicistica degli artt. 438-452 c.p. nel Libro II, titolo IV – “Delitti contro l’incolumità pubblica”, capo II – “Dei delitti di comune pericolo mediante frode”, emerge come la salute da tutelare sia da interpretare nella sua accezione pubblica ancor prima che come diritto del singolo individuo.
Si tratta di un reato comune, in quanto l’art. 438 c.p. utilizza il termine “chiunque”, ravvisando la possibilità che ogni persona possa porre in essere tale comportamento criminoso. Ciononostante, appare evidente che solo colui che sia portatore di germi patogeni possa realizzare la condotta di cui all’art. 438 c.p.
Giova precisare, dunque, il significato che è stato attribuito al termine “epidemia”, al fine di comprendere maggiormente la fattispecie criminosa trattata.
Dal punto di vista scientifico, si considera epidemia ogni malattia infettiva o contagiosa suscettibile, per la propagazione dei suoi germi patogeni, di una rapida ed imponente manifestazione in un medesimo contesto e in un dato territorio, capace di colpire un numero elevato di persone, tale da destare un notevole allarme sociale e un correlativo pericolo per un numero indeterminato di individui.
La nozione invece adottata dal nostro Legislatore, nonostante accolga quella espressa dalla scienza medica, appare più circoscritta. Con l’inciso “mediante la diffusione di germi patogeni”, si è inteso restringere la punibilità alle sole condotte caratterizzate da determinati percorsi causali[4]. Ciò configurerebbe il reato di epidemia come un reato causalmente orientato “a mezzo vincolato”[5].
Pertanto, l’epidemia costituisce l’evento cagionato dalla condotta sanzionata dalla norma, la quale deve estrinsecarsi secondo una precisa modalità di realizzazione, ossia mediante la propagazione volontaria, o nel caso di epidemia colposa, per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di disposizioni, di germi che il soggetto agente sa essere patogeni.
In concreto, l’epidemia si connota per la diffusione, diffusibilità, incontrollabilità del propagarsi del male in un dato territorio e su un numero alto e indefinibile di persone, con conseguente esclusione del reato nell’ipotesi di malattie che insorgano e si esauriscono entro un ambito circoscritto quale può essere un ente ospedaliero[6].
Infine, circa l’elemento soggettivo, ai fini della punibilità del soggetto agente, in caso di epidemia volontaria, è sufficiente che lo stesso abbia agito con dolo generico, dunque, animato dalla volontà di diffondere agenti patogeni. Nel caso dell’epidemia colposa, il soggetto attivo deve agire, come anzidetto, per negligenza, imperizia o inosservanza di disposizioni, diffondendo germi che l’agente riconosce e conosce come patogeni, senza però l’intenzione di cagionare un’epidemia.
Rilievi critici della fattispecie di epidemia colposa
Innanzitutto, appare opportuno procedere ad una breve premessa circa il concetto di diffusione dell’epidemia. Essa difatti assume un ruolo centrale nella possibile incriminazione per il reato oggetto dell’odierna analisi.
Ma in cosa consiste la diffusione? Nello spargimento di germi patogeni capaci di colpire in tempi brevi, un numero elevato di soggetti[7]. Orientamento seguito anche dalla giurisprudenza di legittimità più recente[8], ove si è esclusa la responsabilità penale per il delitto di epidemia colposa di un soggetto che aveva contagiato con HIV numerose donne attraverso plurimi rapporti sessuali non protetti, poiché difettava, nel caso concreto, l’evento tipico dell’epidemia, da intendersi come “malattia contagiosa con elevata tendenza a diffondersi”, non potendo il contagio umano realizzatosi attraverso il contatto fisico con le vittime, essere ricondotto alla nozione normativa di diffusione.
Da siffatta interpretazione, emerge come ai fini della configurabilità del delitto in esame, sia necessario che la malattia provocata dalla diffusione di germi patogeni abbia un ulteriore quid pluris, consistente nella capacità di colpire un numero elevato di soggetti, altrimenti verrebbe a mancare l’offensività[9].
Inoltre, il reato di epidemia è stato oggetto di diatribe dottrinali e giurisprudenziali circa la struttura della fattispecie, anche se ad oggi, si ritiene che l’epidemia abbia natura di evento o danno quanto di pericolo.
Questo è l’orientamento emerso dalla più recente giurisprudenza, la quale ritiene necessario, ai fini della configurazione del reato di epidemia:
- di un evento di danno, consistente nella concreta manifestazione, in un sostenuto numero di persone, di una patologia eziologicamente connessa ai germi patogeni di cui era portatore il soggetto attivo, e;
- di un evento di pericolo, rappresentato dalla possibilità che il morbo possa propagarsi ad altri soggetti in ragione della capacità degli agenti patogeni di trasmettersi ad altri individui senza l’intervento dell’autore del reato[10].
Un ulteriore problema si realizza qualora si voglia procedere ad imputare il reato di epidemia colposa in caso di comportamento omissivo. Si pensi alla figura dell’operatore sanitario che esegua in ritardo il tampone diagnostico per rilevare l’infezione da Covid-19 e, conseguentemente adottare tutte le misure precauzionali necessarie allo scopo di contenere e ridurre la diffusione del contagio.
Essendo, secondo l’orientamento maggioritario, l’epidemia un reato a forma vincolata, essa risulta incompatibile con il disposto di cui all’art. 40, comma 2, c.p., in quanto da riferirsi alle sole condotte omissive a forma libera, ossia quando non risulti necessario che la condotta presenti determinati requisiti modali[11]. La stessa giurisprudenza di legittimità si è espressa sul punto, proprio con riguardo al reato di epidemia colposa, negando la possibilità di poter integrare il reato di cui all’art. 452 c.p.[12] in caso di condotta omissiva.
Appare, dunque, inapplicabile la fattispecie di epidemia colposa alla condotta omissiva in quanto incompatibile con l’art. 40 co. 2 c.p., non potendosi ravvisare nell’omesso impedimento di un evento di cui si aveva l’obbligo giuridico di impedire, il disvalore espresso dalle modalità dell’azione indicate dalla fattispecie incriminatrice di parte speciale[13].
In conclusione, si deduce come il reato di epidemia circoscriva dunque la punibilità alle sole condotte commissive a forma vincolata, ossia a quelle condotte che abbiano cagionato l’evento secondo un preciso percorso causale, e cioè mediante la propagazione volontaria o colpevole di germi patogeni, ad un numero cospicuo di soggetti.
Informazioni
Marina Zalin, Le nuove fattispecie di reato introdotte ai tempi del coronavirus, in “Filodiritto”
M. Panattoni, La responsabilità penale dell’operatore sanitario per il reato di epidemia colposa. Il “caso Codogno”, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 4
[1] Si tratta di un susseguirsi di decreti legge. Tali strumenti sono stati considerati proprio per il loro uso in situazione dell’emergenza e approfonditi in questo articolo di DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/16/il-decreto-legge-come-strumento-emergenziale/
[2] Cfr. Marina Zalin, Le nuove fattispecie di reato introdotte ai tempi del coronavirus, in “Filodiritto” (https://www.filodiritto.com).
[3] Art. 438, comma 2 c.p.: “Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena [di morte].”
[4] Cfr. Cass. pen., Sez. IV 12 dicembre 2017, n. 9133.
[5] M. Panattoni, La responsabilità penale dell’operatore sanitario per il reato di epidemia colposa. Il “caso Codogno”, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 4.
[6] Cfr. Cass. pen., sez. I, 20 maggio 1966, n. 888.
[7] Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576: “l’evento tipico dell’epidemia si connota per diffusività incontrollabile all’interno di un numero rilevante di soggetti e quindi per una malattia contagiosa dal rapido e autonomo sviluppo entro un numero indeterminato di soggetti, per una durata cronologicamente limitata.”
[8] Cass. Pen., Sez. I, 30 ottobre 2019, n. 48014.
[9] Cfr. Trib. Savona, 6 Febbraio 2008 che ha escluso il delitto in questione in un caso di salmonella in cui l’insorgere della malattia si erano esauriti nell’ambito di un ristretto numero di persone.
[10] Cfr. Trib. Trento, 16 luglio 2004.
[11] https://www.diritto.it/coronavirus-il-reato-di-epidemia-considerazioni-anche-sulleventuale-concorso-con-lomicidio/
[12] Cfr. Cass., Sez. IV 12 dicembre 2017, n. 9133.
[13] M. Panattoni, La responsabilità penale dell’operatore sanitario per il reato di epidemia colposa. Il “caso Codogno”, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 4, cit.

Luca Lotti
Ciao, sono Luca. Sono nato nel 1993 a Lucca. Ho conseguito la Laurea in giurisprudenza presso l’Università di Pisa, con una tesi sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche da illecito colposo. Attualmente svolgo la pratica forense presso uno studio legale in Lucca e contestualmente il tirocinio formativo ex art 73 d.l. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Pisa. Nutro un profondo interesse per il diritto penale, con particolare riguardo al ramo del diritto d’impresa, e il diritto ambientale.