Analizziamo uno dei diriti più importanti della nostra democrazia, stabilito dall’art. 21 Cost.: la libera manifestazione del pensiero e i suoi limiti
Art. 21 Cost.: l’importanza della norma
L’art. 21 Cost., al 1° comma, così dispone:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”
Tale norma può essere definita come una norma aperta, una sorta di contenitore nel quale confluiscono quelle situazioni che, seppur non espressamente previste, possono comunque rientrare nella tutela della norma costituzionale. Infatti, l’art. 21 Cost. riconosce[1] il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero non solo con la parola e lo scritto, ma anche con ogni altro mezzo di diffusione[2].
Queste norme costituzionale cc.dd. aperte permettono alla Costituzione di respirare, in quanto permettono di far rientrare nella tutela costituzionale anche situazioni che, al momento in cui la Carta fu scritta (parliamo del 1947), non esistevano né erano immaginabili.
La libertà di manifestazione del pensiero è una pietra angolare della democrazia e di uno Stato di diritto, così come affermato dalla Corte Costituzionale più volte fin dalle sue prime sentenze. Infatti, così come affermato dalla Consulta, “è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle […] che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com’è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale” (sent. n. 9/1965): quindi, il diritto di cui all’art. 21 è forse “il diritto più alto dei diritti primari e fondamentali sanciti dalla Costituzione” – parafrasando quanto affermato dalla Consulta (sent. n. 168/1971).
Libera manifestazione del pensiero: in cosa consiste?
Ma in cosa si sostanzia la libera manifestazione del pensiero riconosciuta dall’art. 21 Cost.?
Essa comporta il fatto che ciascun soggetto può crearsi liberamente un proprio pensiero e manifestarlo in qualunque luogo e con qualunque mezzo: chiunque, quindi, può manifestare le proprie idee.
Tuttavia, l’art. 21 Cost. stabilisce il diritto del soggetto a manifestare il proprio pensiero e non l’obbligo: ciò significa che non si può essere obbligati a manifestare il proprio pensiero, e quindi di esternare le proprie idee. Pertanto, così come le altre libertà garantite costituzionalmente, anche questa è garantita non solo in positivo (ossia si può liberamente manifestare il proprio pensiero), ma è garantita anche in negativo, cioè si può anche non manifestare il proprio pensiero, non manifestare le proprie idee e mantenerle segrete, e non si può essere obbligati a manifestarle, salvo si tratti di testimoniare in un processo (in tal caso, infatti, vi è l’obbligo di comunicare ciò di cui si è a conoscenza al fine di non ostacolare la giustizia, pena il sorgere di una responsabilità penale in capo al soggetto).
Occorre distinguere la manifestazione del pensiero dalla comunicazione del pensiero. Infatti, la comunicazione del pensiero è quel diritto che trova tutela nell’art. 15 Cost., secondo cui “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”: la comunicazione del pensiero consiste, quindi, nel diffondere il proprio pensiero ad una o più persone determinate.
La manifestazione del pensiero, invece, ha un più ampio respiro, in quanto consiste nel comunicare il proprio pensiero nei confronti di una collettività indeterminata, nei confronti quindi una pluralità di soggetti indeterminati (qualora la pluralità di soggetti sia determinata, allora si rientra nella comunicazione del pensiero, come avviene ad esempio quando si comunica il proprio pensiero a più amici).
Quali limiti alla libertà di manifestazione del pensiero?
Il diritto di libertà di espressione, o di libera manifestazione del pensiero, è uno di quei diritti fondamentali, appunto pietra angolare della democrazia. Tuttavia, questo sembrerebbe anche essere il diritto più abusato, troppo spesso invocato come scriminante, ossia come un qualcosa che legittima alle persone a dire tutto ciò che passa loro per la testa, finendo spesso per ledere anche gli altri.
Così come ogni altro diritto riconosciuto dalla Costituzione, anche il diritto di cui all’art. 21 Cost. ha fortunatamente dei limiti. Infatti, la libertà assoluta non esiste, quindi nessuno è libero totalmente: libertà vuol dire poter fare ciò che ci è permesso, e non fare ciò che vogliamo (si sfocerebbe altrimenti nell’anarchia): quindi, se la libertà consiste in ciò che ci è permesso fare, significa che possiamo muoverci comunque entro dei limiti, e anche il diritto più ampio di tutti è comunque non assoluto.
Con specifico riferimento all’art. 21 Cost., anche esso è sottoposto a dei limiti, e per esso vale la regola prevista per qualsiasi altra libertà costituzionalmente garantita: sono ammessi soltanto limiti previsti dalla norma che riconosce la libertà, oppure da altre norme costituzionali e quindi ricavabili dall’intera impalcatura costituzionale. Pertanto, sono presenti limiti espliciti e limiti impliciti.
Quanto ai limiti espliciti, l’art. 21 Cost. stabilisce che “sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”: è previsto il buon costume quale limite esplicito alla libertà di manifestazione del pensiero. Da sottolineare come la clausola del buon costume sia una clausola generale, quindi caratterizzata da vaghezza, da dover riempire di volta in volta sulla scorta del contesto sociale che viene di volta in volta in riferimento, tenuto conto dell’evoluzione del costume sessuale e della moralità in un determinato momento storico.
Quanto ai limiti impliciti, tra questi vi rientrano la dignità, l’onore e la reputazione altrui. La libertà di manifestazione del pensiero, infatti, inevitabilmente viene a scontrarsi con questi valori propri della persona, e ricordiamo che il diritto all’onore e alla reputazione altrui rientrano tra le cc.dd. situazioni esistenziali, cioè trattasi di diritti non patrimoniali e legati fortemente alla persona umana, spesso indisponibili.
Importante limite previsto non dalla Costituzione ma dal codice penale è costituito dal reato di diffamazione (art. 595 c.p.), il quale si sostanzia qualora il soggetto offende la reputazione altrui comunicando con più persone (ne sono sufficienti anche soltanto due), e in assenza del soggetto la cui reputazione viene lesa. Inoltre, è prevista anche una circostanza aggravante, e cioè un aumento di pena, nel caso in cui la diffamazione avvenga con il mezzo della stampa.
Infatti, diritto di cronaca e libera manifestazione del pensiero vanno sì di pari passo, ma spesso entrambi si vengono a scontrare con la reputazione delle persone.
Occorre allora far riferimento all’art. 51 c.p., il quale prevede quale causa di giustificazione[3] l’esercizio di un diritto: non è punibile colui il quale commette un reato esercitando un proprio diritto. La cronaca ricordiamo che rientra tra i diritti, essendovi un diritto ad informare ed un diritto ad essere informati, e pertanto il giornalista che, nell’esercizio di tale diritto, commette il reato di diffamazione non sarà punibile proprio in ragione della scriminante di cui all’art. 51 c.p.
Tuttavia, affinché la scriminante possa operare, è necessario che comunque il diritto sia esercitato entro i limiti stabiliti ad esso, non potendo scriminare l’abuso del diritto, ossia l’esercizio distorto di un diritto: in tal caso, infatti, il diritto viene esercitato travalicando i limiti posti allo stesso.
Ma quali sono questi limiti? La Corte Costituzionale, così come la Cassazione, hanno più volte affrontato la questione, e ad oggi possiamo affermare che il diritto di cronaca è lecito, pur ledendo la reputazione altrui, quando:
- Il giornalista riporta fatti veri o almeno verosimili, e cioè di cui non si abbia la certezza potremmo dire empirica, ma le ricerche che ha compiuto – e quindi le fonti attinte – sono talmente valide da poter pensare ad una verità della notizia.
- Che la notizia sia riportata in modo oggettivo, scevra da ogni opinione o supposizione personale;
- Che vi sia un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti narrati.
Essenziale, quindi, è il bilanciamento tra i diritti: occorre appunto bilanciare il diritto di cronaca (o all’informazione) e il diritto alla riservatezza, alla dignità, a non vedersi lesa la propria reputazione. La conseguenza è che, qualora prevalga l’uno, l’altro dovrà soccombere.
Ulteriori limiti previsti dall’art. 21 Cost.
Altri limiti (espliciti) sono previsti dall’art. 21 Cost. Infatti, dopo aver affermato che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure, la disposizione costituzionale afferma che si può procedere a sequestro conservativo soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria (riserva di giurisdizione) e qualora per mezzo della stampa siano commessi delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente autorizzi il sequestro, oppure nel caso di violazione delle norme che la legge prescrive circa l’indicazione dei responsabili: infatti, non è ammessa la stampa anonima, propri per consentire di risalire all’autore della stampa attraverso cui si commettono reati.
Nel caso in cui vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito dagli ufficiali di polizia giudiziaria, e questo deve essere comunicato entro 24 ore all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle successive 24 ore, oppure qualora il sequestro non viene comunicato entro 24 ore dallo stesso, esso si intende revocato e privo di ogni effetto.
Quindi la Costituzione è anche attenta a prevede le specifiche ipotesi in cui si può procedere al sequestro, al fine di evitare quanto accadeva nel precedente regime fascista, in cui le stampe contrarie al regime e all’idea fascista venivano sequestrate e gli editori arrestati.
Informazioni
Libertà di manifestazione del pensiero e tutela della personalità nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, a cura di Giuseppe Nicastro, 2015.
Libertà di manifestazione del pensiero, Barile, Giuffré Editore, 1975.
Sentenza Corte Costituzionale n. 9/1965: http://www.giurcost.org/decisioni/1965/0009s-65.html
Sentenza Corte Costituzionale n. 168/1971: http://www.giurcost.org/decisioni/1971/0168s-71.html
[1] Importante è sottolineare come i diritti fondamentali vengono sempre riconosciuti e mai concessi. Lo stesso art. 2 Cost. stabilisce che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo […]”, segno che i diritti inviolabili dell’uomo appartengono ad esso in quanto tale, preesistono allo Stato, alla legge, alla stessa Costituzione, e quindi vengono riconosciuti perché propri di ciascun individuo in quanto persona umana. Se i diritti fondamentali si attribuissero anziché essere riconosciuti, ciò comporterebbe la possibilità per il legislatore di poter disconoscerli in qualsiasi momento.
[2] Trattasi di un diritto cardine, se consideriamo anche l’epoca buia dei totalitarismi, in cui non si aveva il diritto di libera espressione, e molti erano i reati d’opinione. Con l’entrata in vigore della Costituzione in Italia si volta pagina: ognuno ha il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero
[3] Sulle cause di giustificazione, Giuseppe Nicolino ha scritto per DirittoConsenso sugli istituti della legittima difesa e dell’uso legittimo delle armi, rispettivamente: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/10/la-legittima-difesa-nella-cronaca-e-nel-codice/ e http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/31/la-scriminante-delluso-legittimo-delle-armi/

Gennaro De Lucia
Ciao, sono Gennaro. Sono nato e vivo in Calabria, e dopo aver conseguito la maturità scientifica ho deciso di iscrivermi a Giurisprudenza per coltivare la mia passione per il diritto. Nel mio percorso di studi ho scoperto la passione per il diritto costituzionale e, in parte, anche per il diritto penale (sostanziale e procedurale) e ciò mi ha portato ad approfondire questi campi di studio e di ricerca.