Come l’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli ha modificato i rapporti geopolitici

 

Il principio di autodeterminazione dei popoli quale norma di ius cogens

Come è noto, il principio di autodeterminazione dei popoli è riconducibile alle norme di diritto internazionale cogente ai sensi degli artt. 1, par. 2, 55 e 76 della Carta delle Nazioni Unite[1].

Tale classificazione consente di considerare le norme in esame come inderogabili se non da altre norme di pari grado. L’espressione “autodeterminazione dei popoli” indica l’assenza di dominazione straniera che per tutta l’era del colonialismo ha invece assediato le popolazioni locali.

Soprattutto nei primi decenni del ‘900 le grandi potenze europee hanno approfittato del loro potere contrattuale ed economico per attuare progetti di sfruttamento su territori abitati da altri popoli, disinteressandosi della volontà di questi ultimi.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, in seguito all’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, la comunità internazionale ha riconosciuto a ciascun popolo la libertà di autodeterminarsi sia rispetto ai confini esterni che rispetto alla scelta di un proprio governo, acquisendo così il rango di ius cogens. Tuttavia la portata – inizialmente solo formale – del principio di autodeterminazione dei popoli si è ampliata quando nel 1960 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione n. 1514 recante “Dichiarazione per la garanzia dell’indipendenza dei Paesi e dei popoli coloniali”, con la quale il colonialismo viene a delinearsi come illecito internazionale[2]. Sarà poi la Corte Internazionale di Giustizia a dare piena operatività al principio, soprattutto in sede consultiva, in ragione di una serie di pareri adottati per tentare una conciliazione in situazioni di conflitto interno[3].

Da queste molteplici fonti si delinea un diritto in formazione nella misura in cui si riconosce al popolo, sottoposto al governo straniero, l’aspettativa di divenire Stato ovvero di associarsi o integrarsi con un altro Stato indipendente, scegliendo il proprio regime politico. Infatti la soggettività internazionale – quale idoneità ad essere destinatario di diritti e obblighi – non è riconosciuta al popolo, bensì allo Stato-organizzazione capace di esercitare un effettivo potere d’imperio su un determinato territorio e nei confronti degli individui che ivi insistono, traendo la propria forza giuridica da una Costituzione.

 

Movimenti di liberazione nazionale: conflitto israelo-palestinese, Kosovo e Daesh

La prassi testimonia l’insorgere di numerosi movimenti di liberazione nazionale che lottano per l’affermazione del principio di autodeterminazione dei popoli.

Dal punto di vista giuridico-formale si rende difficile il delinearsi del riconoscimento della soggettività internazionale a tali associazioni private, laddove manchevoli del principio di effettività; tuttavia non si può negare sic et simpliciter che sul piano internazionale a tale movimenti vengano riconosciuti diritti e che essi siano destinatari di sanzioni.

Un paradigma è rappresentato sicuramente dall’O.L.P. (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), fondata nel 1964 per l’istituzione di uno Stato Palestinese a fronte di una sovranità territoriale israeliana, alla quale l’ONU ha riconosciuto lo status di membro osservatore in seno all’Assemblea Generale. Benchè negli ultimi decenni si sia giunti al riconoscimento di un’Autorità statale palestinese nella persona di Maḥmūd ʿAbbās, la questione isreaelo-palestinese è tornata ad avere rilievo nell’ambito dell’attualità internazionale quando – in seguito ad una crisi politica in Isreaele, aggravata dalla situazione epidemiologica data dalla pandemia da Covid 19 –  i due attuali leader partitici del Paese, Netanyahu e Gantz, hanno concluso un accordo per la formazione di un Governo di emergenza nazionale. Tra gli obiettivi di questo innovativo modus operandi vi è anche l’annessione delle colonie e, successivamente, di migliaia di chilometri quadrati nella Valle del Giordano: un territorio, questo, che è considerato parte di un possibile e futuro Stato palestinese. L’avvio delle operazioni di annessione era previsto per il primo luglio ma le possibili conseguenze diplomatiche[4], che un tale atto avrebbero avuto, ne hanno determinato un rinvio. È ictu oculi evidente che l’annessione unilaterale di un territorio si configuri da un lato come una violazione del principio di autodeterminazione dei popoli – determinandosi così un illecito internazionale -, dall’altro come un reagente per le relazioni geopolitiche mediorientali già molto lontane dalla stabilità.

Un’esperienza giuridicamente molto vicina a quella dell’O.L.P. – seppur lontana in ragione di un sostrato geografico-diplomatico diverso – è quella vissuta in Kosovo a partire dagli anni ’90 quando il dittatore Milošević ha abolito l’autonomia regionale di questo territorio: tale atto ha spinto alcuni cittadini kosovari a costituire nel 1992 l’U.C.K. (Ushtria Çlirimtare e Kosovës – Esercito di Liberazione del Kosovo). Anche questo leading case in materia di autodeterminazione è un esempio di conflitto politico interno, sfociato poi in una vera e propria guerra civile[5], tanto che l’ONU nel 1998 inserisce l’U.C.K. nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Deve riservarsi un approccio non molto diverso anche alla questione del Daesh[6], in quanto gli accordi di Sykos-Picot, all’indomani della Prima Guerra Mondiale, hanno fatto naufragare la possibilità di creare una confederazione di Stati arabi; pur tuttavia l’appartenenza ad una comunità araba ha a lungo prevalso – forse prevale ancora –  sui concetti di popolo siriano ed iracheno.  Soprattutto l’U.C.K. e il Daesh hanno trasformato la loro lotta per l’affermazione del principio di autodeterminazione dei popoli in terrorismo[7]: questa è la causa per cui, nonostante il tentativo del Tribunale penale per il Libano[8], non è possibile individuare una netta linea di demarcazione tra le due nozioni giuridiche. Tale ultima conclusione costituisce la causa principale della mancata configurazione del terrorismo quale crimine internazionale, laddove non c’è un riconoscimento universale della antigiuridicità degli atti connessi.

 

Il principio di autodeterminazione dei popoli contemporanei: cenni

Le questioni dell’indipendenza catalana, dei disordini ad Hong Kong e del recesso del Regno Unito dall’Unione europea[9] si qualificano quali volontà dei popoli coinvolti di autodeterminarsi.

In particolare la Catalunia ha goduto di una certa autonomia dalla Spagna sin dal Medioevo, salvo la parentesi della dittatura franchista. Anche la Costituzione spagnola del 1978 riconosce un regime di autogoverno alla Regione, ampliatosi nel 2006 in seguito all’adozione di un nuovo Statuto, alcune norme del quale sono state impugnate presso il Tribunale costituzionale spagnolo per violazione del principio di unità indissolubile dello Stato ex art. 2 Cost. I due referendum plebiscitari del 2014 e del 2017 – l’uno dichiarato inammissibile dai giudici costituzionali, l’altro non riconosciuto dal Parlamento di Madrid – hanno portato alla dichiarazione unilaterale di indipendenza della Cataluna dalla Spagna che è costata la condanna al Presidente catalano Carles Puidgemont da parte della Corte Suprema spagnola.

La questione hong-kongese invece prende avvio nel 1997 quando il Regno Unito ha trasferito questa sua colonia all’amministrazione speciale cinese[10]: da questo momento Hong Kong sarà sottoposto alla sovranità territoriale di Pechino ma godrà di un sistema – quasi – democratico (c.d. one country, two systems). Tra l’estate e l’autunno scorso, tuttavia, hanno preso avvio numerose manifestazioni in piazza tra i cittadini hong-kongesi, a seguito di alcuni tentativi del governo centrale cinese di limitare l’autonomia democratica della Regione. L’allora proposta di emendamento della legge sull’estradizione poi ritirata e la recente approvazione della legge sulla sicurezza da parte dell’Assemblea Nazionale del Popolo hanno sostanzialmente messo fine al sistema di amministrazione speciale, giungendo così alla omogeneizzazione ordinamentale del territorio con il resto della Cina.

Ed, infine, non appare avulsa dal tema la c.d. Brexit, laddove un’esigenza di autodeterminazione interna del popolo britannico – manifestatasi con il referendum consultivo del 2016 – ha portato i governi May e Johnson a negoziare il recesso del Regno Unito dall’Unione europea ai sensi dell’art. 50 TUE. Approvato l’accordo di recesso sia dal Parlamento britannico sia dal Parlamento europeo, ciò che maggiormente si teme è un no deal all’esito del periodo di transizione che si concluderà alla fine del 2020.

I leading case di una autodeterminazione dei popoli contemporanea realizzano esiti diversificati tra loro in ragione di presupposti altrettanto eterogenei: la situazione che maggiormente preoccupa, anche per le conseguenze diplomatiche che potrebbe avere nella tenuta degli equilibri internazionali, è sicuramente quella di Hong Kong che ha già dimostrato di non volersi svincolare dal meccanismo one country two systems, a protezione della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini che il governo di Pechino non garantirà ed a motivo di un (non) riconoscimento della nuova situazione da parte della Comunità internazionale.

Informazioni

Arangio Ruiz, Autodeterminazione (diritto dei popoli alla) in Enciclopedia Giuridica Giuffrè, 1988, vol.IV.

Conforti, 2014, Diritto internazionale, Napoli, Editoriale Scientifica.

Di Nolfo, 2004, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici. La politica internazionale nel XX secolo, Bari, Editori Laterza.

Frigo, Il caso catalano, il principio di autodeterminazione dei popoli e la posizione dell’Unione europea in www.eurojus.it, 30 ottobre 2017.

Nino, 2012, Terrorismo internazionale, privacy e protezione dei dati personali, Napoli, Editoriale scientifica.

[1] Disciplinanti rispettivamente i fini delle Nazioni Unite, i principi in materia di cooperazione internazionale economica e sociale e gli obiettivi del regime di amministrazione fiduciaria.

[2] E’ proprio nel 1960 che molti Stati del continente africano dichiarano la loro indipendenza dalle potenze europee. A titolo esemplificativo si ricordi il c.d. “communautè” dell’allora Ministro degli Esteri francese De Gaulle.

[3] Parere sulla Namibia (1971); parere sul Sahara occidentale (1975); parere sulla costruzione del muro (2004); parere sull’indipendenza del Kosovo (2010).

[4] Soprattutto rispetto alle relazioni con l’Autorità nazionale palestinese, la vicina Giordania e tutta la comunità araba globale.

[5] Nella quale vengono commessi crimini di guerra e crimini contro l’umanità, la cui giurisdizione è stata conferita al Tribunale speciale per il Kosovo.

[6] Daesh è l’acronimo arabo equivalente a Stato islamico: tuttavia l’inesistenza delle condizioni giuridiche per l’istituzione di un’organizzazione statale impongono l’utilizzo di una tale terminologia, seppur meno conosciuta rispetto a quella di ISIS.

[7] Sul tema si veda l’articolo di Nicolò Brugnera http://www.dirittoconsenso.it/2019/07/12/terrorismo-una-nuova-sfida-del-xxi-secolo/.

[8] Istituito nel 2007 per perseguire i crimini connessi all’assassinio del premier libanese Hariri avvenuto nel 2005. Tale tribunale speciale ha adottato una audace sentenza volta a definire il terrorismo quale crimine internazionale.

[9] Per alcuni riferimenti in materia di Brexit si veda l’articolo di Lorenzo Venezia http://www.dirittoconsenso.it/2018/12/01/il-futuro-allargamento-dellunione-europea/.

[10] Trattato c.d. Handover.