Il giudizio abbreviato condizionato prevede che l’integrazione probatoria sia necessaria e compatibile con le esigenze di economia processuale proprie del rito
Non più solo un giudizio allo stato degli atti: l’emergere dell’abbreviato condizionato
Il giudizio abbreviato costituisce un procedimento speciale avente finalità deflative, ossia volte a permettere la definizione del contenzioso con forme più snelle. La legge Carotti[1] ne ha riscritto le regole procedurali tentando di rendere il giudizio abbreviato lo strumento ordinario di definizione delle controversie, in modo da perseguire una più efficiente amministrazione della giustizia. Perchè allora si parla anche di giudizio abbreviato condizionato? Guardiamo la normativa italiana.
Tra le novità più significative apportate dalla legge Carotti vi è la previsione di un doppio meccanismo di integrazione probatoria, l’una ad iniziativa dello stesso imputato (art. 438 comma 5 c.p.p.), l’altra rimessa nelle mani del giudice (art. 441 comma 5 c.p.p.)
L’art. 438 comma 5 c.p.p.
Concentrandoci sulla richiesta presentata dall’imputato, ci accorgiamo che mentre la presentazione di un’istanza “secca” configura una domanda di tipo potestativo obbligando il pubblico ministero a prenderne atto e il giudice a predisporre il rito in questione, la richiesta condizionata postula un meccanismo di integrazione probatoria rimesso alla volontà della parte e l’instaurazione del rito anziché essere obbligata come nell’accezione semplice, è subordinata ad un duplice controllo:
- che la integrazione probatoria sia «necessaria ai fini della decisione»
- che sia «compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento».
Necessarietà della prova
Per quanto concerne il primo criterio, il riferimento normativo a cui fare riferimento è l’art. 190 c.p.p. che disciplina la prima fase del procedimento probatorio: tale articolo stabilisce i criteri in ordine all’ammissibilità delle prove escludendo quelle che sono vietate dalla legge nonché quelle che risultano manifestamente superflue o irrilevanti.
Da una lettura sistematica di queste due disposizioni pare ragionevole affermare che non si possa operare una totale sovrapposizione – posto che comunque anche nel vaglio di ammissibilità il giudice deve verificare che le richieste probatorie non siano vietate dalla legge[2] – in quanto la lettera dell’art. 438 c.p.p. individua un criterio molto più restrittivo della non manifesta superfluità o rilevanza[3] e che il vaglio di ammissibilità debba essere condotto sulla scorta di quelli che sono gli atti già conosciuti.
L’art. 438 comma 5 evidenzia che il vaglio di ammissibilità dipenda direttamente dalla conoscenza del quadro probatorio preesistente, condizione che non si ravvisa invece nell’art. 190 c.p.p.[4] Questa è la ragione per cui in dottrina si è affermato che il requisito della necessità della integrazione probatoria non si identifichi con quello dell’art. 190 c.p.p. posto che si considera come “necessario” ogni mezzo di prova indispensabile[5] per accertare i fatti che si riferiscono all’imputazione e alla punibilità e che quindi occorre una qualificazione ulteriore rispetto alla mera irrilevanza o superfluità. Per essere valutate come “necessarie” si prevede che le ulteriori prove si debbano configurare come integrative[6] e non sostitutive del materiale già acquisito e utilizzabile.
La prova che si richiede occorre che sia nuova nella misura in cui sia necessaria, cioè inerente ad elementi connessi alla regiudicanda che altrimenti rimarrebbero irrisolti. Nulla vieta di subordinare l’integrazione probatoria ad una prova già esperite anteriormente, ma il concetto di novità deve considerarsi in maniera tale che rimanga un collegamento permanente tra la richiesta istruttoria a cui si subordina la scelta del rito e il thema probandum[7].
Atti già acquisiti ed utilizzabili
Proseguendo nell’analisi, non si può prescindere dall’inciso complementare contenuto sempre nel comma 5 dell’art. 438 c.p.p. ossia «tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili». I parametri di riferimento del giudice, oltre ai criteri della necessità ed al rispetto del risparmio processuale, incontrano una sorta di limite orientativo nella misura in cui la richiesta di integrazione probatoria non deve tradursi in una mera riproposizione di attività già precedentemente svolte ma deve essere orientata a completare il materiale già ispezionato.
Il riferimento all’art. 507 c.p.p.
Un ulteriore riferimento normativo in materia di integrazione probatoria necessaria è rappresentato dall’art. 507 c.p.p.[8] nel quale si evince l’utilizzo di una terminologia similare anche se non identica. Infatti, l’art. 507 postula uno stato di «assoluta necessità» in ordine all’assunzione di una prova o di una pluralità di prove, tanto da ravvisare un ambito operativo molto più circoscritto[9] e soprattutto caratterizzato da eccezionalità, come tale dunque diverso da quanto previsto all’art. 438 comma 5 c.p.p.
Economia processuale
In relazione al requisito correlato ad esigenze di economia processuale[10], ci si è resi conto di essere di fronte ad una espressione connotata da eccessiva vaghezza nella misura in cui il giudice è tenuto a formulare una prognosi sulla durata ipotetica dell’integrazione richiesta[11] e verificare che la stessa rispetti la caratteristica di celerità del giudizio abbreviato.
Tuttavia, la portata del principio è stata definitivamente ridimensionata dalla pronuncia interpretativa di rigetto delle Sezioni Unite che con sentenza n. 115/2001 hanno rapportato il criterio valutativo in relazione alle tempistiche del procedimento ordinario stabilendo che:
«anche se viene richiesta o disposta una integrazione probatoria, il minor dispendio di tempo e di energie processuali rispetto al procedimento ordinario continua dunque ad essere un carattere essenziale del giudizio abbreviato.»
Rischio di disparità processuale
Si intravede un ulteriore dubbio di costituzionalità della disciplina se paragonata a quanto previsto dall’art. 441 comma 5. In quel caso, infatti, si riconosce all’organo giudicante il potere di richiedere un ampiamento ulteriore rispetto al materiale probatorio conosciuto, prescindendo da qualsiasi valutazione circa la complessità della prova ritenuta indispensabile al fine di adottare una decisione di merito. Emerge quindi anche un’altra situazione di iniquità in quanto:
- nel caso di richiesta condizionata ad una integrazione probatoria ritenuta troppo dispendiosa si andrebbe incontro ad una pronuncia di diniego, mentre
- dinnanzi ad una richiesta semplice – che ha come esito obbligato l’instaurazione del giudizio abbreviato in quanto diritto potestativo riconosciuto all’imputato – l’accesso al giudizio abbreviato sarebbe comunque salvaguardato.
Conclusioni sul giudizio abbreviato condizionato
Il fatto di non aver delineato con sufficiente chiarezza quali sono i mezzi di prova da ammettere fa sì di rimettere nelle mani dell’organo giudicante una valutazione che potrebbe generare discriminazioni tra imputati in ordine non solo alla valutazione della prova specificamente richiesta ma anche in ordine alla situazione di iniquità che si potrebbe generare in vista di fattori interni a ciascun ufficio[12]. Sul punto il giudice delle leggi ha richiamato quanto già precedentemente enunciato nelle sentenze n. 66 e n. 183 del 1990, dichiarando illegittima la mancanza di un sindacato giurisdizionale sul rigetto del rito abbreviato[13] in quanto genererebbe una situazione di disuguaglianza[14] in ordine alla facoltà dell’imputato di vedersi applicato lo sconto di pena.
Sarebbe stato quanto meno auspicabile che il legislatore o utilizzasse una espressione connotata da una chiarezza tale da non lasciare uno spazio tanto ampio all’interpretazione ovvero avesse imposto un ritorno al procedimento ordinario tutte quelle volte in cui l’integrazione probatoria richiesta risulta tanto laboriosa da collidere con le esigenze di celerità tipiche del giudizio abbreviato[15].
Informazioni
Codice di procedura penale
[1] Legge, 16/12/1999 n. 479: prende il nome dalla proposta dell’On. Avv. Carotti: ha favorito l’introduzione dei riti premiali deflativi al dibattimento.
[2] Si ritiene che anche nell’ambito del giudizio abbreviato condizionato nel vaglio di ammissibilità il giudice dovrà operare una valutazione nel senso di accertare che la prova sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e che non pregiudichi la libertà morale della persona ai sensi dell’art. 188 c.p.p.
[3] Cfr. POTETTI D., Mutazioni del giudizio abbreviato. In particolare, il giudizio abbreviato condizionato (art. 438 comma 5 c.p.p.), cit., p. 336.
[4] Sul punto BRUNO O., L’ammissibilità del giudizio abbreviato, 2007, cit., p.139: «il parametro in esame presenta connotati comuni alle nozioni di utilità della prova in quanto postula sia la pertinenza al thema decidendi sia la non ridondanza della medesima; al contempo, supera tali elementi, imponendo di compiere un discernimento che si estende alla verifica più stringente circa la concreta idoneità della prova ad influire sul quadro conoscitivo preesistente»; nello stesso senso, LAVORINI B., Il nuovo giudizio abbreviato, cit., p. 762.
[5] Cfr. DEGL’INNOCENTI L.- DE GIORGIO M., Il giudizio abbreviato, 2013, cit.,p. 111.
[6] Si veda Cass., Sez. Unite, 27 ottobre 2004, n. 44711, Wajib: «È da considerarsi necessario quel contributo istruttorio il cui valore probatorio risiede nella oggettiva e sicura idoneità del probabile risultato ad assicurare il completo accertamento dei fatti rilevanti nel giudizio».
[7] Così ZAINA C.A., Giudizio abbreviato condizionato e divieto di frazionabilità delle prove richieste, commento ordinanza del 7 aprile 2006, Tribunale di Rimini.
[8] L’acquisizione di ufficio di nuovi mezzi di prova è prevista in via eccezionale del legislatore. Il potere spetta al collegio ed è esercitabile solo quando risulti assolutamente necessario.
[9] Cfr. BRUNO O., L’ammissibilità del giudizio abbreviato, 2007, cit., p.129. In particolare: «all’organo giurisdizionale, che dovrebbe mantenersi neutrale, dovrebbe consentirsi un intervento acquisitivo limitato alle tesi già palesate e non ancora dimostrate in modo completo.»
[10] Sul tema delle garanzie costituzionali, in particolare della ragionevole durata del processo si veda: http://www.dirittoconsenso.it/2019/07/09/diritto-penale-e-garanzie-costituzionali-supreme/
[11] Cfr. ZACCHÈ F., Il giudizio abbreviato, 2004, cit., p. 70.
[12] Sul punto POTETTI D., Mutazioni del giudizio abbreviato. In particolare il giudizio abbreviato condizionato (art. 438 comma 5 c.p.p.), Cass. pen., fasc.1, 2001, pag. 5, precisa: «È addirittura verosimile che la decisione del giudice, per tale aspetto, sia fortemente condizionata dalla concreta situazione del singolo ufficio giudiziario in cui opera il magistrato, e ciò finirebbe anche per avere qualche dignità di tesi (peggio sarebbe se il parametro finisse per essere quello della situazione lavorativa del singolo magistrato!), posto che l’economia processuale può essere anche intesa come parametro mobile, di incidenza maggiore nelle situazioni in cui il «servizio giustizia» sia più inefficiente.»
[13] Precisa, infatti, la Corte costituzionale nella sentenza n. 169 del 23 maggio 2003: «Anche nell’attuale sistema, infatti, la decisione negativa del giudice per le indagini preliminari sulla richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria è sottratta a qualsiasi forma di sindacato e preclude in via definitiva l’ammissione dell’imputato al rito alternativo.»
[14] Si ravvisa un contrasto con l’art. 3, art. 24 comma 2, art. 25 commi 1 e 2 Cost.
[15] BRUNO O., op.cit., p. 147.; così anche POTETTI D., Cass. pen., fasc.1, 2001, p.5.

Viviana Simi
Ciao, sono Viviana. Sono laureanda in giurisprudenza presso l’Università di Pisa con una tesi avente ad oggetto il giudizio abbreviato, in particolare l’aspetto concernente l’ambito probatorio. Sono appassionata di diritto penale ed in maniera specifica nutro profondo interesse per ciò che concerne il processo e le garanzie dell’imputato al suo interno.
Ho fatto parte di DirittoConsenso da ottobre a dicembre 2020.