Come gli interventi di ingegneria societaria incidono sull’attribuzione della responsabilità dell’ente

 

La responsabilità dell’ente: cenno introduttivo

La responsabilità dell’ente, ad oggi, può sussistere in relazione alla commissione di illeciti amministrativi derivanti da reato.

La consapevolezza che il sistema sanzionatorio italiano non fosse idoneo a prevenire la commissione dei c.d. white collar crimes iniziò a farsi sempre più forte a partire dalla fine del secolo scorso. La necessità di adeguarsi alle varie fonti normative internazionali ed europee, che facevano pressione affinché i vari Stati prefigurassero la responsabilità penale anche per le persone giuridiche, permise di approdare prima alla legge delega 29 settembre 2000, n. 300 e poi al decreto attuativo di quest’ultima, il decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231[1].

 

La responsabilità dell’ente e il fondamentale d. lgs. 231/2001

Come espressamente indicato dal d.lgs. 231/2001, affinché la responsabilità dell’ente per illecito amministrativo derivante da reato sussista, è necessaria la compresenza di molteplici condizioni. In primo luogo, come indicato dall’articolo 1 del suddetto decreto, sarà necessaria la commissione di un reato presupposto, tassativamente incluso nel catalogo dei reati stilato dal legislatore agli articoli 24 e ss.

Vi è poi la necessità che il reato sia commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente, secondo la previsione dell’articolo 5 del d.lgs. 231/2001[2]. A tale proposito appare d’obbligo una precisazione: l’alternatività dell’elemento dell’interesse rispetto a quello del vantaggio è puramente fittizia, l’unico elemento realmente indefettibile è infatti il primo tra i due, l’interesse, ben potendosi verificare l’ipotesi in cui a seguito della commissione del reato nell’interesse dell’ente, cioè con il fine di creare per quest’ultimo delle condizioni più favorevoli, non si verifichi il raggiungimento di alcun concreto ed oggettivo vantaggio[3].

In aggiunta, sarà poi indispensabile individuare il rapporto qualificato che intercorre tra l’autore del reato e l’ente. L’autore del reato deve potersi qualificare come un vertice, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera a) o come un subordinato, cioè un soggetto sottoposto alla vigilanza e alla direzione del vertice stesso, ai sensi dell’articolo 5, comma 1 lettera b). La determinazione di questo elemento si presenta estremamente rilevante, in quanto, a seconda che l’autore del reato si ricomprenda nell’una o nell’altra categoria, si verificherà una modificazione del criterio imputativo ai sensi degli articoli 6 e 7 del d.lgs. 231/2001.

L’ultimo punto imprescindibile, affinché la sussistenza della responsabilità dell’ente possa essere rinvenuta, è la c.d. colpa di organizzazione.

 

Responsabilità dell’ente e vicende modificative

Molte perplessità sono spesso state sollevate in relazione alla possibile sussistenza della responsabilità dell’ente a seguito di vicende modificative che coinvolgessero lo stesso.

Il d.lgs. 231/2001 prevede agli artt. da 28 a 33 la disciplina esplicita delle vicende modificative dell’ente affrontando in particolar modo il tema della trasformazione dello stesso, della fusione (anche per incorporazione) e della scissione chiarendo quali possano essere le conseguenze di tali scelte di strategia societaria sulla responsabilità dell’ente.

L’articolo 28 del decreto si occupa di determinare che cosa succeda a seguito di trasformazione dell’ente, asserendo che la responsabilità in tali casi rimane ferma anche per i reati commessi anteriormente rispetto alla data dell’operazione effettuata.

D’altronde, il ragionamento del legislatore è perfettamente coerente in tale ipotesi: l’ente di certo non va in contro ad estinzione, pur verificandosi delle modificazioni statutarie, di conseguenza non sarebbe logico presupporre assenza di responsabilità in conseguenza a trasformazione.

Più complessa e certamente più contestata la disciplina per la fusione. L’articolo 29 del decreto asserisce che l’ente risultante da fusione, anche per incorporazione, risponde dei reati di cui erano precedentemente responsabili i partecipanti alla fusione stessa.

L’articolo 30 del decreto, infine, si occupa della scissione stabilendo che in caso di scissione parziale la responsabilità dell’ente scisso rimane ferma per i reati commessi anteriormente alla scissione. Gli enti che sono beneficiari della scissione, totale o parziale, sono obbligati in solido per il pagamento delle sanzioni pecuniarie dovute dall’ente scisso per reati commessi anteriormente alla data della scissione. Tale obbligo si riferisce solo al valore effettivo del patrimonio netto trasferito al singolo ente, a meno che non si tratti dell’ente a cui è stato trasferito (anche in parte) il ramo di attività nel cui ambito è stato commesso il fatto di reato. Le sanzioni interdittive, in particolare, si applicano agli enti a cui è rimasto o è stato trasferito (anche in parte) il ramo di attività nell’ambito del quale il reato è stato commesso.

 

Fusione e incompatibilità costituzionale

La disciplina della fusione merita un particolare focus. Molte perplessità sono state sollevate rispetto alla legittimità costituzionale degli artt. da 28 a 33 e in particolare dell’articolo 29 d.lgs. 231/2001. Il tema trova il proprio snodo cruciale nella possibilità di rinvenire un contrasto tra la disciplina in tema di vicende modificative descritta dal decreto legislativo 231/2001 e l’articolo 27 comma 1 della Costituzione, che stabilisce che la responsabilità penale sia personale.

Tale questione di illegittimità costituzionale e in particolar modo la perplessità riguardo ad una possibile estensione della responsabilità dell’ente incorporante per un reato commesso, in un momento precedente alla fusione stessa, dalla incorporata è stata sollevata di fronte alla Corte di Cassazione in due occasioni che meritano di essere ricordate: la prima nel caso Intesa San Paolo S.p.A. (Cass., sez. V, 27 ottobre 2015)[4] e la seconda nel caso Saipem (Cass., sez. VI, 12 febbraio 2016)[5].

In entrambi i suddetti casi la corte di Cassazione fornisce molti chiarimenti che convergono tutti verso uno stesso punto: non è possibile escludere una estensione di responsabilità alla società incorporante per illeciti amministrativi derivanti da reato commessi dalla incorporata prima che avvenisse l’operazione di fusione.

I due casi si differenziano leggermente tra loro: la posizione della corte nel caso Saipem S.p.A. è più rigida rispetto a quella adottata nel caso Intesa San Paolo S.p.A. pur essendo quest’ultimo cronologicamente precedente. Ad ogni modo, seppur con un argomentare non del tutto eguale, la conclusione della Corte tende sempre a propendere verso il possibile riconoscimento di un trasferimento di responsabilità.

 

Il caso Saipem

Nel caso Saipem S.p.A. la corte affronta e scardina sistematicamente i punti addotti dalla difesa della società. Prima di tutto, asserisce che l’ipotetico conflitto degli articoli da 28 a 33 con l’articolo 76 della Costituzione è da ritenersi infondato. La difesa aveva infatti sostenuto che tali articoli, inerenti alle vicende modificative, fossero stati inseriti dal legislatore delegato in modo discrezionale, senza rispettare i criteri direttivi dalla legge delega. La Corte, invece, ritiene che la discrezionalità del legislatore sia inevitabile nella costruzione di un testo normativo che si pone a completamento delle linee guida fornite della legge delega, purché la ratio di quest’ultima venga rispettata. La ratio, sottolinea la corte, era quella di strutturare un sistema inerente alla responsabilità dell’ente per la commissione di illeciti amministrativi derivanti da reato, con l’introduzione di sanzioni ‘’efficaci, proporzionate e dissuasive’’[6]. L’efficacia non potrebbe essere garantita se l’elusione del sistema sanzionatorio fosse facilmente concretizzabile tramite una semplice operazione modificativa. La costruzione delle norme in questione, dunque, che assicurano la responsabilità dell’ente risultante dall’operazione di ingegneria societaria, è perfettamente coerente con lo spirito della legge delega.

In secondo luogo, la corte si pronuncia sul contrasto dell’articolo 29 d.lgs. 231/2001 con l’articolo 27 della Costituzione. La mancata estensione della responsabilità dell’ente incorporato alla società incorporante, in virtù del principio di personalità della responsabilità penale, non sarebbe sostenibile. Infatti, la società incorporante non è una società terza rispetto alla incorporata, il dovere di due diligence e il suo onere di verificare che il soggetto acquisito non sia gravato dalla commissione di illeciti amministrativi sono elementi imprescindibili in un’operazione di fusione. La società incorporante è consapevolmente coinvolta nel processo modificativo e non si può dunque sostenere che l’ente risultante dalla fusione non possa rispondere per illeciti amministrativi commessi precedentemente alla fusione stessa dai suoi partecipanti.

 

Il caso Intesa San Paolo

La sesta sezione della Cassazione, nel caso Intesa San Paolo, si rivela più mite. Nel caso di specie, che trattava una vicenda analoga rispetto a quella svoltasi nel caso Saipem, la corte afferma che la responsabilità dell’ente incorporato non possa ricadere in modo automatico sulla società incorporante. La ratio di tale asserzione è giustificata dalla necessità di tutelare la posizione dei terzi in buona fede che, pur avendo adempiuto ai loro obblighi di due diligence e di controllo, si trovino ad aver acquisito e incorporato una o più società coinvolte nella commissione di illeciti amministrativi derivanti da reato. In questo caso, dunque, la corte non esclude la responsabilità dell’ente risultante dalla fusione per illeciti amministrativi commessi prima della stessa dai partecipanti, ma predispone che vi sia un controllo concreto, caso per caso, della consapevolezza dell’incorporante rispetto alle caratteristiche della incorporata, per evitare che gravino, su soggetti che hanno agito in buona fede, conseguenze penali.

In conclusione, possiamo affermare che l’articolo 29 d.lgs. 231/2001 è coerente non solo con i principi della legge delega ma è anche in totale armonia con la Costituzione. Esso è, infatti, finalizzato (come d’altronde anche gli altri articoli della Sezione II dedicata alle vicende modificative) ad evitare una facile elusione della disciplina del decreto stesso, che altrimenti potrebbe derivare da mere scelte di strategia societaria.

Informazioni

M. Ceresa-Gastaldo, Procedura penale delle società, G. Giappichelli Editore, Torino, 3 edizione, 2019

[1] La legge delega del 2000, n. 300 si apre, infatti, con la seguente dicitura: ‘’Ratifica ed esecuzione dei seguenti Atti internazionali elaborati in base all’articolo K. 3 del Trattato dell’Unione europea: Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, del suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27 settembre 1996, del Protocollo concernente l’interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee di detta Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996, nonché della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997. Delega al Governo per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica.”

[2] Per un approfondimento sul rapporto tra interesse e reati colposi di evento si veda: L. Lotti, Il rapporto tra modello 231 e giurisprudenza, in DirittoConsenso, http://www.dirittoconsenso.it/2020/01/21/il-rapporto-tra-modello-231-e-giurisprudenza/

[3] Per una definizione dettagliata rispetto alla differenza tra interesse e vantaggio si veda Cass., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343

[4] Cass., Sez. V, 27 ottobre 2015, n. 18941.

[5] Cass., Sez. VI, 12 febbraio 2016, n. 11442.

[6] L. 29 settembre 2000, n. 300.