Caratteri, struttura e problematiche dell’istituto della recidiva
Natura giuridica della recidiva
L’istituto della recidiva si configura, per espressa previsione legislativa, come un’aggravante inerente alla persona del colpevole. La stessa è disciplinata all’art. 99 c.p. e prevede, quale presupposto applicativo, che un soggetto, già condannato per un delitto non colposo, commetta un nuovo delitto non colposo.
Ai fini della sua configurabilità è dunque necessaria la commissione di un delitto non colposo in relazione al quale sia intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato ex art 648 c.p.p prima della commissione del nuovo delitto[1]. La recidiva, inoltre, non opera in relazione a tutte le fattispecie criminose ma solo in relazione ai delitti non colposi, ne restano dunque escluse tanto le contravvenzioni quanto i delitti colposi.
La ratio dell’istituto è da ravvisarsi, come sostenuto da parte della dottrina e confermato dalla giurisprudenza[2], nella più accentuata colpevolezza e/o nella maggior pericolosità del reo. In particolare, le Sezioni unite, hanno sottolineato la natura della recidiva quale circostanza pertinente al reato che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto che deve risultare sintomatico di maggiore pericolosità e di colpevolezza respingendo, qualsiasi automatismo in sede applicativa ma prevedendo, invece, uno specifico obbligo motivazione.
L’istituto, dapprima modificato nel 1974, ha subito un’ulteriore riforma nel 2005 ad opera della legge Ex Cirielli i cui profili principali tuttavia sono stati oggetto di intervento successivo in un’ottica demolitoria sia ad opera del legislatore sia della giurisprudenza.
Disciplina codicistica
Il codice penale conosce varie forme di recidiva. L’art 99 c.p. che contiene la disciplina dell’istituto della recidiva assomma in sé quattro differenti ipotesi che vengono in evidenza in relazione a particolari situazioni in cui il condannato viene a trovarsi e incidono differentemente sul trattamento sanzionatorio allo stesso riservato.
Il comma I delinea infatti l’ipotesi di recidiva c.d. semplice, ossia quella dalla quale si ricava la definizione stessa dell’istituto e prevede l’aumento di pena nella misura fissa di 1/3 da infliggere per il nuovo delitto non colposo.
Il nuovo delitto, per non incorrere in forma aggravate di recidiva, deve esser commesso ad oltre cinque anni dal precedente.
Il comma II delinea invece tre forme di recidiva c.d. aggravata che operano rispettivamente:
- se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole[3]. Tale forma di recidiva è altresì detta specifica
- se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente. Il dies a quo per il calcolo del quinquennio parte dalla data di passaggio in giudicato della sentenza avente ad oggetto il medesimo reato presupposto. Tale ipotesi di recidiva è definita anche infraquinquennale
- se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena. Circa la nozione di pena può trattarsi non solo della pena detentiva ma anche di quelle limitative della libertà personale finanche della pena pecuniaria.
In tutte e tre le ipotesi ora delineate l’aumento di pena è previsto in misura variabile nel massimo della metà della pena che il giudice infliggerebbe per il reato base.
Il comma III si occupa invece della recidiva pluriaggravata che si configura quando ricorre più di una delle ipotesi delineate al comma II.
Il comma IV, infine, delinea l’ipotesi di recidiva reiterata che opera allorché il soggetto già recidivo commette un nuovo delitto non colposo. L’aumento di pena varia a seconda della tipologia di recidiva riconosciuta nella precedente sentenza di condanna e quindi a seconda che la stessa si configuri quale aggravata, semplice o pluriaggravata. Secondo la giurisprudenza maggioritaria questa forma di recidiva opererebbe anche a prescindere da una precedente dichiarazione giudiziale di recidiva.
Autorevole dottrina[4], invece, non condivide l’approdo giurisprudenziale ritenendo irragionevole che da una recidiva esclusa nella competente istanza possa, in un ulteriore episodio giudiziario, scaturire una contestazione di recidiva reiterata.
Regime giuridico dell’istituto della recidiva
L’istituto della recidiva, in tutte e quattro le forme indicate, veniva concepito, sotto la vigenza del codice Rocco, come circostanza obbligatoria nell’an[5]e facoltativa nel quantum[6]. In adesione a tale impostazione, dunque, il giudice accertata la presenza dei requisiti formali per la sussistenza della recidiva era tenuto a contestarla, permanendo, invece, in capo allo stesso, un potere discrezionale per quanto atteneva alla determinazione del quantum di pena.
Con la riforma del 1974, invece, la recidiva diviene in tutte e quattro le sue manifestazioni facoltativa tanto nell’an quanto nel quantum di talché viene rimesso all’autorità giudiziaria un duplice momento di discrezionalità attinente sia alla scelta del se contestarla, pur in presenza dei requisiti formali per la sussistenza della stessa, sia, una volta ritenutala sussistente, relativamente alla determinazione dell’aumento di pena.
Tale impostazione è stata oggetto di parziale modifica per effetto della legge Ex Cirielli, la quale, pur mantenendo fermo il profilo di discrezionalità attinente all’an della contestazione, ha eliminato la discrezionalità relativa al quantum dell’aumento prevedendo per tre delle quattro forme di recidiva l’aumento di pena in misura fissa.
La fattispecie del V comma: l’istituto della recidiva obbligatoria
A ben vedere, almeno fino alla pronuncia di incostituzionalità del 2015[7], il codice ammetteva un’ipotesi di recidiva obbligatoria, ovverosia quella del comma V dell’art 99 c.p.
Il testo originario della norma affermava infatti che “se si tratta di uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto”.
In tal caso dunque, il giudice doveva limitarsi ad un accertamento formale circa la sussistenza dei presupposti dal comma V richiesti, senza dover anche accertare se la commissione del nuovo delitto fosse indice di una maggiore pericolosità sociale e/o colpevolezza del soggetto agente.
Sotto la vigenza di tale regime la giurisprudenza era giunta ad affermare che la commissione di una dei reati di cui all’art 407 comma 2 lettera a) desse vita ad un regime differente estensibile a tutte le ipotesi di recidiva dall’art 99 c.p. contemplato, per cui, per gli autori dei delitti ivi menzionati valeva il regime obbligatorio della recidiva per tutte le varie forme dalla norma declinate.
Con la sentenza n. 185/2015, tuttavia, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma limitatamente all’espressione “è obbligatoria”, di talché anche la contestazione in relazione a tale ipotesi è ad oggi facoltativa.
La norma rimane efficace dunque per quanto riguarda il range dell’aumento di pena – da un terzo alla metà – applicabile per la recidiva monoaggravata in relazione ai delitti di cui all’art 407 comma 2 lettera a). Sennonché lo stesso aumento di pena per la recidiva monoaggravata indipendentemente dalla tipologia di delitto commesso deve a ben vedere prevedersi sulla base di un criterio di ragionevolezza atteso che la recidiva semplice comporta l’aumento fino ad 1/3 per cui, stante l’attuale regime degli aumenti di pena, tale comma appare sostanzialmente privo di effetti.
Effetti della recidiva
L’istituto della recidiva può comportare per il condannato ulteriori effetti rispetto all’aumento di pena. Tali effetti prendono il nome di c.d. effetti indiretti della recidiva e si inquadrano tra gli effetti penali della condanna.
Tra i principali effetti indiretti vi rientrano sul piano del diritto sostanziale:
- l’impossibilità di impiegare ai fini dell’applicabilità delle attenuanti generiche ex art 62/2 bis c.p. i criteri di cui all’art 133 co 1 n. 3 e co 2 c.p[8]. nel caso di recidivo reiterato condannato per uno dei delitti di cui all’art 407 co 2 lettera a) c.p.p. che sia punito con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni;
- il restringimento, nel caso di recidivo reiterato, circa l’operatività del bilanciamento tra circostanze ex art 69/4 c.p. di modo che le eventuali attenuanti non possono esser considerate prevalenti rispetto alla contestata recidiva.
Una deroga a tale restringimento è data dal caso in cui tra le attenuanti che intervengono nel giudizio di bilanciamento vi sia quella connessa al vizio parziale di mente di cui all’art 89 c.p.; in questo caso infatti è ammesso il giudizio di bilanciamento consentendo, in ipotesi, anche la soccombenza della recidiva rispetto all’attenuante. Tale scelta è dettata dalla peculiarità della tipologia di attenuante che viene in evidenza in quanto, trattandosi di vizio di seminfermità mentale, incide sul piano della colpevolezza e merita, dunque, una particolare rilevanza[9];
- la previsione, nel caso di recidivo reiterato, di un limite minimo all’aumento di pena nel caso di reato continuato o concorso formale ex art 81/4;
- l’aumento del termine di prescrizione ex art 157 c.p., del termine di estinzione del reato, del tempo necessario per ottenere la riabilitazione ex art 179/2 c.p.;
- la preclusione della possibilità di ottenere una pronuncia di indulto o di amnistia.
Per quanto attiene invece all’incidenza dell’istituto della recidiva sul versante penitenziario, gli effetti principali sono:
- Aumento del tempo necessario per poter fruire di un permesso premio ex art 30 ter o.p. nel caso di recidivo reiterato[10].
- Nei confronti dei condannati ai quali sia stata “applicata” la recidiva reiterata la l. n. 251/2005 ha introdotto una serie di vincoli in ordine ai permessi premio e alle misure alternative alla detenzione, precludendone l’accesso o introducendo delle limitazioni nei presupposti o elevando i limiti di pena espiata per l’accesso al beneficio.
Recidiva subvalente equivalente e procedibilità
L’applicazione della recidiva dunque comporta, come appena visto, una serie di conseguenze sia sul versante penale propriamente inteso sia su quello penitenziario. Da qui l’importanza di capire quando la recidiva si può considerare effettivamente applicata con conseguente propagazione degli effetti che le sono propri.
La giurisprudenza, con due successive pronunce[11], è andata a ritenere che la circostanza aggravante della recidiva deve ritenersi, oltre che riconosciuta, anche applicata non solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento della pena ma, anche quando produce, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti ed attenuanti di cui all’art 69 c.p. la conseguenza di paralizzare l’effetto alleviatore di una circostanza attenuante. Nel caso in cui, dunque, la recidiva venga dichiarata equivalente rispetto alle attenuanti, la stessa deve comunque ritenersi applicata dal giudice con conseguente produzione degli effetti indiretti propri della stessa.
Infatti, ad avviso delle Sezioni Unite, l’azione di applicare la recidiva deve ritenersi già esaurita nel semplice fatto che si è operato il bilanciamento che solo nel caso in cui vengano in evidenza due circostanze di segno opposto trova applicazione.
Partendo da tali considerazioni circa l’incidenza della recidiva nel giudizio di bilanciamento, gli Ermellini[12] sono giunti a considerazioni diametralmente opposte nel caso in cui, all’esito di tale operazione, la recidiva risulti subvalente rispetto alle attenuanti.
In questo caso, sebbene il giudizio di bilanciamento abbiamo comunque esplicato la funzione che gli è propria e quindi si dovrebbe ritenere la recidiva applicata, le Sezioni Unite hanno affermato, proprio privilegiando l’incidenza che il riconoscimento dell’istituto della recidiva ha soprattutto sul percorso detentivo del condannato e la significativa frustrazione che la stessa comporta rispetto all’ideale rieducativo sancito dalla carta costituzionale, che, quando la recidiva sia stata ritenuta subvalente, fuori dai casi in cui la rilevanza di tale giudizio sia espressamente esclusa dal legislatore, come non si produce l’effetto diretto sulla pena, così non si producono gli effetti indiretti della recidiva
In tale occasione la corte ha altresì affermato che la valorizzazione dei precedenti penali dell’imputato per la negazione delle attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva in assenza di aumento della pena a tale titolo o di giudizio di comparazione tra le circostanze concorrenti eterogenee; in tal caso la recidiva non rileva ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato.
Conclusioni
L’istituto della recidiva, come brevemente evidenziato da questo excursus, è un elemento fortemente impattante sulla persona del condannato. Ne consegue che è da rifuggire qualsivoglia automatismo nell’applicazione della stessa. La contestazione della recidiva, priva di un concreto e puntuale accertamento o riflessione critica circa il rapporto tra il reato pregresso, il crimine commesso e l’effettiva incidenza dello stesso sulla sua propensione a delinquere e quindi pericolosità sociale, rischia infatti di aprire le porte ad un diritto penale d’autore.
L’incidenza dell’istituto della recidiva sulla persona del colpevole si apprezza inoltre nell’ambito del percorso carcerario, la contestazione, infatti, rischia di frustrare sensibilmente l’ideale rieducativo e pregiudicare la posizione del condannato nella fruizione di tutti quei benefici parte integrante dell’iter rieducativo. Da qui, numerosi interventi giurisprudenziali, volti a circoscrivere alla dispiegazione degli effetti della recidiva qualora concorra con altre circostanze.
Informazioni
F. Di Gennaro, L’istituto della recidiva: la pronuncia delle SSUU con sentenza 15 maggio 2019, n. 20808, iusinitinere, aprile 2020 consultabile al link: https://www.iusinitinere.it/listituto-della-recidiva-la-pronuncia-delle-ssuu-con-sentenza-15-maggio-2019-n-20808-26281
G. De Francesco, diritto penale 2, forme del reato, G. Giappichelli-Torino, 2013
G. Passarin, Prescrizione, recidiva non rileva se non ha aumentato la pena, pubblicato il 01/0772019 e consultabile al link: https://www.altalex.com/documents/news/2019/07/01/prescrizione-recidiva-pena
G. Piffer, i nuovi vincoli alla discrezionalità giudiziale: la disciplina della recidiva in Diritto penale contemporaneo, 2010 consultabile al link: https://www.penalecontemporaneo.it/upload/piffer_recidiva.pdf
R. Giovagnoli, manuale di diritto penale parte generale, Itaedizioni, 2019.
R. Pellino, La recidiva ex art. 99 c.p.: in particolare, la Legge “ex Cirielli” e la recidiva reiterata in Diritto.it, 2019 consultabile al link: https://www.diritto.it/la-recidiva-ex-art-99-c-p-in-particolare-la-legge-ex-cirielli-e-la-recidiva-reiterata/
[1] Non è invece necessario, per la delineazione dello status di recidivo che a tale condanna sia seguita l’esecuzione della pena.
[2] Sezioni Unite n. 20798/2011, Indelicato
[3] Per la nozione di reato della stessa indole si ricorre alla definizione contenuta nell’art 101 c.p. stando alla quale “sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo preveduti da disposizioni diverse di questo codice ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni
[4] Pedrazzi, La nuova facoltatività della recidiva, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1976, 304
[5] L’espressione significa letteralmente “se”
[6] L’espressione significa letteralmente “quanto”
[7] Sentenza Corte costituzionale n. 185/2015
[8] E quindi, ai fini dell’applicazione delle attenuanti generiche non è possibile tener conto dell’intensità del dolo o del grado della colpa nonché della capacità a delinquere del colpevole, desunta dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
[9] Così ha stabilito la corte costituzionale con sentenza n. 73/2020 per effetto della quale la corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 69/4 c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art 89 c.p. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art 99/4 c.p.
[10] Della stessa autrice, su tematica parzialmente differente L’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario e i permessi premio consultabile al link: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/30/larticolo-4-bis-dellordinamento-penitenziario-e-i-permessi-premio/
[11] Cass Sezioni Unite 25 maggio 2010 n. 35738, Calibè e Cassazione Sezioni Unite 23 giugno 2016 n. 31669, Filosofi
[12] Cassazione Sezioni Unite 15 maggio 2019, n. 20808 Schettino

Rebecca Giorli
Ciao, sono Rebecca. Sono nata a Lucca nel 1994. Mi sono laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Pisa con una tesi sul trattamento penitenziario per i condannati per i reati di criminalità organizzata. Attualmente svolgo il tirocinio formativo ex art 73 d.l. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Lucca. Nutro un forte interesse per il diritto penale e penitenziario, in particolar modo per quanto riguarda i reati di criminalità organizzata.
Ho fatto parte di DirittoConsenso da marzo 2020 ad aprile 2022.