Tra i Paesi del Maghreb, la forma di governo del Marocco mantiene la struttura tradizionale monarchia. Ma come si combina la presenza del re, con un’autorità religiosa e con una Costituzione che si richiama alle Carte Costituzionali dei Paesi occidentali?
Introduzione alla forma di governo del Marocco
Il Regno del Marocco è una monarchia semi-costituzionale, con un’assemblea legislativa eletta a suffragio universale. Secondo l’indice di democrazia dell’Economist[1], è una forma di governo che può essere definita come un “sistema ibrido”, dato che combina elementi fondamentali per il funzionamento dei sistemi democratici a tratti di impronta autoritaria, legati a strutture di potere tradizionali. Nel 2011, dopo un lungo dibattito politico, il Regno del Marocco ha adottato una nuova Costituzione, basata sul principio della separazione dei poteri e dello stato di diritto.
Le origini della monarchia
Il ceppo della famiglia reale marocchina, gli Alaouiti, trae origine dal principe Ismail Ibn Sharif, che per primo tentò l’unificazione nazionale nel 1631. La famiglia dichiara di discendere dal califfo Ali, cugino del profeta Maometto e figura centrale nell’Islam. La parentela con il Profeta è un elemento comune con altre monarchie di Paesi a maggioranza musulmana, come la dinastia hashemita del Regno di Giordania e il sovrano Idris al-Senussi, che governava la Libia prima del colpo di stato del 1969 e la salita al potere di Gheddafi. La discendenza dal fondatore dell’Islam acquista in questi contesti una funzione “legittimante” nei confronti del sovrano, che può così fregiarsi del titolo onorifico di Sayyid (“discendente del Profeta”), a cui vengono attribuiti tradizionalmente particolari meriti e un ruolo di leadership naturale della comunità islamica.
L’attuale sovrano del Marocco è Sua Maestà Mohammed VI, incoronato nel 1999. Il titolo monarchico si trasmette su base ereditaria, per linea maschile. In assenza di discendenti diretti maschi, primo sulla linea di successione è il parente di sesso maschile di grado più vicino.
Il ruolo del re
Il re rappresenta l’unità nazionale ed è garante della nazione. È a capo delle forze armate e arbitro in caso di crisi o contrasti istituzionali.
L’articolo 47 della Costituzione prevede che, sulla base del risultato elettorale, il monarca proceda a nominare il capo del governo e, su sua indicazione, i ministri. In caso di dimissioni del governo, ha il potere-dovere di sciogliere le camere e indire nuove elezioni parlamentari. Laddove la richiesta di dimissioni riguardi solo alcuni ministri e non il governo nel suo complesso, è sempre il re a vagliare la ratifica delle dimissioni. La Costituzione del 2011, inoltre, conferma la titolarità esclusiva del re del potere di dichiarare lo stato di guerra o assedio, del potere di grazia, nonché delineare gli orientamenti generali della legge finanziaria e della politica di governo. Oltre a ciò, il sovrano ha potere di rinvio dei progetti di legge approvati dal Parlamento; ma, in caso di nuova approvazione del medesimo testo di legge, ha l’obbligo di firmare e promulgare il disegno di legge.
La Costituzione attribuisce il potere legislativo al Parlamento, ma ci sono alcune categorie di leggi che devono essere discusse dal Consiglio dei Ministri, presieduto dal re: progetti di revisione costituzionale, leggi di amnistia o indulto, normative in ambito militare, leggi quadro su materie dove è prevista la riserva di legge. Si tratta, dunque, di una categoria piuttosto ampia di atti che vengono di fatto sottratti alla sfera di competenza dell’assemblea legislativa.
Nella forma di governo del Marocco, tuttavia, il re non ha un ruolo meramente di rappresentante della nazione. In quanto sayyid, il monarca ha anche il titolo di Amir Al Mouminin, “Comandante dei fedeli”, uno dei termini con cui la tradizione identifica la figura del Califfo. In quanto Amir Al Mouminin, il re vigila sul rispetto dell’Islam e della libertà di culto. Presiede il Consiglio degli Ulama (giuristi islamici), responsabile di decidere attraverso fatwa questioni inerenti all’interpretazione della sharia. La composizione e il funzionamento del Consiglio degli Ulama, inoltre, sono decisi con dahir (decreto reale). I politologi riconoscono nel coinvolgimento del sovrano nelle questioni religiose una dimensione particolare della monarchia marocchina, che la distingue sia dalla figura del sovrano saudita che dalla dinastia hascemita di Giordania, che generalmente si astengono dall’intervenire in maniera diretta in questioni di stretto interesse religioso[2].
Verso una ‘democrazia islamica’?
Nel corso degli ultimi decenni, è nato un ampio dibattito sulla compatibilità tra Islam e le democrazie di stampo occidentale. Al contrario della Tunisia e gli altri Stati del Maghreb, il Marocco ha scelto di mantenere la struttura monarchica, a cui continua ad essere riconosciuto un ruolo in ambito religioso.
L’articolo 3 della Costituzione precisa che l’Islam è religione di Stato, anche se è riconosciuta piena libertà di culto alle altre religioni. La formazione di partiti politici e la prolungazione di leggi contrari all’Islam sono vietate dalla Costituzione (Articolo 7); “offesa alla religione islamica” o “alla Monarchia” sono gli unici casi in cui viene meno l’immunità parlamentare (Articolo 64). L’apostasia, o abbandono dell’Islam, non è reato ma secondo una fatwa del Consiglio degli Ulama dovrebbe essere punita con la morte. I poteri del re, inoltre, rimangono molto ampli e non riconducibili ad un ruolo di mero garante dell’ordine costituzionale. La questione del Sahara Occidentale, contesto tra Marocco e Fronte Polisario, è ancora irrisolta e getta ombra sui rapporti del Marocco con le Nazioni Unite e la comunità internazionale[3]. Appare arduo, se non impossibile, associare la forma di governo del Marocco alle monarchie costituzionali di stampo europeo.
La scuola giuridica islamica prevalente nel Regno è la scuola malikita, presente anche in Tunisia, che attribuisce la qualifica di fonte del diritto islamico all’ ijmāʿ (consenso dei dotti), e in forma residuale, all’istiḥsān (discrezionalità del giudice). Il rilievo che viene dato a queste fonti, escluse da altre scuole giuridiche musulmane, ha permesso una maggiore duttilità ed adeguamento dei principi islamici al consenso prevalente tra i dotti nel periodo storico attuale. Il femminismo islamico, una corrente di pensiero che si propone di promuovere la parità di genere nella religione musulmana, ha avuto in Marocco un certo margine di influenza. Il Mudawwana del 2003, nuovo codice del diritto di famiglia, ha rimosso gli elementi di maggiore disparità tra i coniugi, alzando l’età legale per sposarsi a 18 anni, restringendo i casi in cui è permessa la poligamia, trasformando il ripudio unilaterale (talaq) in un procedimento giudiziale e, infine, sostituendo il diritto del marito alla fedeltà della moglie con un impegno reciproco alla fedeltà.
Nel 2011, echi delle Primavere arabe sono arrivati anche nel Regno del Marocco. I dimostranti chiedevano incisive modifiche costituzionali in senso democratico e un ridimensionamento del potere della Monarchia. A seguito delle proteste, è stata approvata la Costituzione del 2011, che ha in effetti in parte modificato lo status precedente. Il berbero e l’hassani, lingue parlate rispettivamente dalla minoranza berbera e Saharawi, sono state riconosciute come lingue ufficiali del Paese. Tra i principi fondamentali dell’ordinamento, è stata inserita la parità tra uomo e donna e il corrispondente impegno dello Stato ad eliminare qualsiasi forma di discriminazione (Articolo 19).
Mentre la riforma ha effettivamente rafforzato i poteri del Parlamento e l’autonomia della magistratura, la sfera di influenza del re è rimasta in larga parte non scalfita. Se a seguito della riforma il sovrano è formalmente tenuto a tener conto del risultato elettorale per procedere alla nomina del governo, la monarchia rimane ancora oggi l’autorità religiosa più alta del Paese e mantiene il potere di indirizzo politico generale[4].
Alcuni principi fondamentali della forma di stato democratica sono stati quindi gradualmente introdotti in Marocco, dove si sono combinati assieme ad elementi pre-esistenti dell’ordine nazionale.
Come alcuni studiosi hanno osservato, perché si crei una democrazia non sono sufficienti l’affermazione dell’uguaglianza formale dei cittadini, l’indipendenza della magistratura o la presenza o meno di regolari elezioni: è necessario creare una cultura democratica per evitare di dar vita ad una «democrazia senza democratici» destinata ab origine al fallimento[5]. In questo senso, la forma di governo del Marocco è un interessante esperimento ibrido, in graduale transizione verso una struttura politica non sovrapponibile ad una democrazia europea, ma con aspetti di apertura e che avvicinano il Paese al percorso politico della Tunisia.
Informazioni
Costituzione del Marocco (2011) in traduzione integrale in inglese: https://www.constituteproject.org/constitution/Morocco_2011.pdf (ultimo accesso in data 02.04.2021)
[1] https://www.eiu.com/public/topical_report.aspx?campaignid=democracyindex2019
[2] https://www.bakerinstitute.org/media/files/files/02d67a3e/cme-pub-luce-sheline-030719_hvUZDee.pdf
[3] Su DirittoConsenso ne abbiamo parlato qui http://www.dirittoconsenso.it/2020/09/29/sahara-occidentale-dispute-territoriali-e-popolo/
[4] https://carnegieendowment.org/2011/06/20/new-moroccan-constitution-real-change-or-more-of-same-pub-44731
[5] R. Guolo, L’Islam è compatibile con la democrazia?, Edizioni Laterza, 2004, p. 133ss.

Maria Savigni
Ciao, sono Maria. Sono nata a Lucca nel 1994. Mi sono laureata in giurisprudenza presso l’Università di Pisa con una tesi in Diritto comparato, incentrata sugli effetti del multiculturalismo nel diritto privato di Canada, Grecia e Italia. Sto svolgendo il tirocinio ex art 73 presso gli uffici giudiziari del Tribunale civile di Lucca e il servizio civile in un centro d’accoglienza per rifugiati, dove mi occupo principalmente di assistere l’operatore legale. Nel tempo libero amo leggere e viaggiare, soprattutto ad Est.