Il diritto di difesa dell’indagato si concretizza nella possibilità di nominare un difensore e nella possibilità di non collaborare con le autorità

 

L’origine costituzionale del diritto di difesa dell’indagato

Il diritto di difesa dell’indagato è tutelato dalla Costituzione. L’origine di tale diritto deriva da una serie di garanzie fondamentali che la carta costituzionale individua per l’imputato, tra le quali si riscontra “il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento” sancito dall’articolo 24 e 111 (che richiama l’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).

Anzitutto, è opportuno domandarsi: chi è l’imputato? È colui nei confronti del quale è stata esercitata l’azione penale, e dunque nei confronti del quale il pubblico ministero (p.m.) ha formulato l’imputazione.

Con l’imputazione si determina la fine delle indagini preliminari svolte dalle autorità di polizia e giudiziaria e l’inizio del processo. La qualità di imputato è mantenuta dal soggetto accusato di reato in ogni stato e grado del processo fino a sentenza di non luogo a procedere non impugnabile, formulata dal giudice dell’udienza preliminare (g.u.p.); oppure con sentenza di condanna o proscioglimento divenuta irrevocabile. Attraverso la sentenza di non luogo a procedere, il g.u.p. dispone l’archiviazione del caso, non ritenendo sussistano sufficienti elementi di prova per sostenere l’accusa in giudizio.

Prima della formulazione dell’atto di imputazione, il soggetto è un indagato, dunque persona sottoposta alle indagini preliminari. Chi è l’indagato? È colui che è stato iscritto dal p.m. nel registro generale delle notizie di reato. Come tale, ha diritto all’estensione delle garanzie previste per l’imputato. In particolare, potendo questa persona subire esami molto invasivi da parte dell’autorità giudiziaria (quali intercettazioni, perquisizioni, sequestri, interrogatori, prelievi coattivi di campioni biologici, ecc.), il codice di procedura penale all’articolo 61 sancisce l’estensione temporale del diritto di difesa anche durante le indagini. Da questo momento, qualunque contatto con le autorità deve avvenire nel rispetto del diritto di difesa dell’indagato[1] per evitare possibili abusi. Nell’intento di evitare tale situazione, l’ordinamento ha introdotto la figura del il giudice delle indagini preliminari (g.i.p.), che interviene nei passaggi delicati dove la figura del giudice è necessaria. Perciò, egli non ha compiti decisori, in quanto non c’è ancora formalmente un’accusa. Durante le indagini, il g.i.p. si occupa, tra le altre cose, delle intercettazioni, di valutare l’applicazione delle misure cautelari, o di qualunque misura limitativa della libertà personale dell’indagato.

 

Il diritto dell’indagato a non collaborare con le autorità

Il diritto di difesa dell’indagato si realizza, da un lato, attraverso il diritto di nominare un difensore, cosiddetto diritto di difesa tecnica; e dall’altro, attraverso il diritto del soggetto sottoposto alle indagini a non collaborare con le autorità. Per quanto concerne quest’ultimo diritto, è opportuno effettuare una distinzione tra il divieto di testimonianza, individuato dall’articolo 62 del codice di procedura penale, e la tutela della persona contro il rischio di auto-incriminazione, anche detta tutela anticipata del diritto al silenzio.

Con divieto di testimonianza sulle dichiarazioni rese dall’indagato, si intende il divieto dell’ufficiale di polizia di partecipare come testimone al processo, in quanto questo soggetto ha ascoltato le affermazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini in qualità di pubblico ufficiale. Questo non significa che non possa essere resa alcuna testimonianza da parte dello stesso ufficiale, per esempio, in qualità di cittadino. Ciò può avvenire solo in riferimento a dichiarazioni rese dall’indagato in un’occasione diversa dall’interrogatorio, dall’intercettazione, dalla perquisizione o dal sequestro. Questo divieto è proprio volto ad evitare l’elusione del diritto di difesa, perché è l’indagato (divenuto successivamente imputato) che deve poter decidere liberamente se intervenire o meno nel processo.

La seconda garanzia prevista dalla costituzione riguarda la cosiddetta tutela anticipata del diritto al silenzio, anticipata in quanto inizialmente garantita solo in fase processuale; essa opera in ogni contatto tra l’autorità e la persona sentita a qualunque titolo. Infatti, il codice di procedura penale all’articolo 63 individua due ipotesi: il caso in cui il p.m. senta un individuo ritenuto come possibile testimone e la situazione nella quale senta una persona in qualità di indagato. Questa tutela è volta ad evitare che chi è stato convocato dall’autorità, tanto un testimone quanto un soggetto sottoposto a indagine, possa fare delle affermazioni auto-indiziarie e compromettere la propria posizione senza l’affiancamento di un difensore che tuteli gli interessi e i diritti del proprio assistito. Nell’eventualità in cui il testimone dovesse rendere tali dichiarazioni, l’autorità giudiziaria è tenuta immediatamente ad interrompere l’esame e avvertire l’interessato della natura auto-indiziante delle dichiarazioni e che, per questo, potranno essere svolte delle indagini nei suoi confronti. Inoltre, per tutelare il diritto di difesa tecnica, il soggetto viene invitato dal pubblico ministero a nominare un difensore. Diversamente, nella seconda circostanza, l’indagato deve essere fin da subito avvertito della sua posizione ed è necessario che il p.m. interroghi il sospettato a seguito di una convocazione formale, non necessaria per il testimone, nella quale è contenuto l’invito a presentarsi con il proprio difensore. Nel caso in cui gli inquirenti non abbiano adempiuto a tali obblighi, le dichiarazioni rese dall’indagato, in assenza del difensore oppure in assenza della convocazione formale, non potranno essere utilizzate non solo contro l’interessato, ma contro chiunque (per es. contro il complice della persona sottoposta alle indagini).

 

L’interrogatorio: un mezzo per tutelare il diritto di difesa dell’indagato

L’interrogatorio è un mezzo attraverso il quale si estrinseca il diritto di difesa dell’indagato, infatti è essenzialmente di carattere difensivo. È un mezzo attraverso il quale l’interessato ha diritto di fornire la propria ricostruzione dei fatti e, per questo, può essere richiesto dallo stesso indagato, oppure ciò può essere disposto dall’autorità giudiziaria. Se è stato convocato, il soggetto sottoposto all’interrogatorio ha l’obbligo di presentarsi ma non ha l’obbligo di rendere alcun tipo di dichiarazione. Egli può scegliere se rispondere, restare in silenzio, rispondere selettivamente.

L’articolo 64 del codice di procedura penale dichiara che il p.m. non può in alcun modo condizionare la libertà di dichiarazione dell’interessato. Questa regola vale a garantire l’attendibilità della dichiarazione testimoniale resa. Per questo, l’indagato interviene sempre libero, anche se sottoposto alla misura di custodia cautelare, in quanto la coercizione fisica è un mezzo in grado di condizionare tale libertà. Per lo stesso motivo, non possono essere utilizzati metodi o tecniche idonei a influire sulla volontà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e valutare i fatti. Come spesso si vede nei film, nel sistema statunitense si fa ricorso alla macchina della verità, all’ipnosi o ad altri metodi che possono in modo più o meno accentuato incidere sulla capacità di determinazione. Nel nostro ordinamento, tali sistemi sono preclusi. Ugualmente vietati sono quegli atteggiamenti che potrebbero provocare simili risultati, anche se non tramite metodi meccanici o chimici, come, per esempio, per mezzo di un interrogatorio lungo e in orario notturno, o attraverso la tecnica della fame e della sete.

Altrettanto importante, in sede di interrogatorio, sono gli avvertimenti, che devono essere dati alla persona indagata. Innanzitutto, l’interessato deve essere a conoscenza del fatto che le dichiarazioni potranno essere usate nei confronti dello stesso in sede processuale. La regola verte sul fatto che ognuno è libero di parlare e deve essere consapevole che le sue affermazioni potranno avere delle conseguenze. In secondo luogo, la persona sottoposta all’interrogatorio deve essere informata del fatto che ha la possibilità di non rispondere, come affermato in precedenza in relazione alla cosiddetta tutela anticipata del diritto al silenzio. E infine, gli inquirenti sono tenuti a comunicare al soggetto che se dovesse rendere dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui, su quei fatti potrebbe essere chiamato a testimoniare. Quest’ultimo avvertimento evidenzia un’importante differenza tra la figura del testimone e il ruolo dell’indagato (che poi eventualmente diverrà imputato) nel processo penale. La persona sottoposta alle indagini, e più in generale l’imputato, non può essere chiamato a testimoniare per fatti concernenti la propria responsabilità, dove sarebbe obbligato a rispondere secondo verità; infatti, la costituzione sancisce il diritto di non collaborare con le autorità. Diversamente, il testimone, non dovendo esercitare il diritto di difesa, in quanto rende dichiarazioni che concernono la responsabilità altrui, è tenuto a rispondere secondo verità.

 

Il diritto di difesa tecnico dell’indagato

Concludendo, proprio per garantire che i diritti sopraelencati siano stati compresi dall’indagato e vengano rispettati in sede di indagine da parte delle autorità, la Costituzione all’articolo 24 tutela e garantisce la possibilità di essere affiancati da un difensore, cosiddetto diritto di difesa tecnico. Non solo, conferisce la possibilità della cosiddetta difesa d’ufficio: “sono assicurati ai meno abbienti (…) i mezzi per agire e difendersi”. Per poter svolgere al meglio il compito di difesa, l’ordinamento, all’articolo 327 del codice di procedura penale, legittima l’avvocato a svolgere le cosiddette indagini difensive, volte ad acquisire elementi di prova a favore del proprio assistito. Questa norma è, più in generale, un’espressione del diritto di difesa dell’imputato, e nel caso in esame, dell’indagato.

Ovviamente, le garanzie dell’imputato sono adattate alla fase in cui operano, in quanto devono essere bilanciati il diritto di difesa dell’indagato e il diritto di segretezza delle indagini disposto dal codice di procedura penale all’articolo 329, giustificato dalla necessità di un efficace accertamento dei fatti. Per questo, non trovano applicazione le garanzie costituzionali al pari della fase processuale ma sono ridimensionate; segnatamente viene escluso il diritto di piena conoscenza dei fatti o il diritto di piena partecipazione degli atti.

Informazioni

Costituzione italiana

Codice di procedura penale Gazzetta Ufficiale.

“Indagini preliminari e udienza preliminare: libro V, Artt. 326-437”; a cura di Gastone Andreazza, Rocco Blaiotta, Giuseppe Borrelli, Fabio D’Alessio, Maria Lucia Di Bitonto [e altri], coordinamento di Pasquale Bronzo e Enrico Gallucci; Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020.

“L’archiviazione della notizia di reato: i diritti dell’indagato e della persona offesa”; Fabio Varone; Milano; Giuffrè Editore; 2015.

“Manuale di procedura penale”; Paolo Tonini; Milano; Giuffrè Editore; 2018.

[1] Per un approfondimento più specifico sulla figura dell’indagato si rimanda a: http://www.dirittoconsenso.it/2021/01/04/indagini-preliminari-e-tutela-indagato/