La conquistata autonomia legislativa della protezione offerta ai testimoni di giustizia rispetto a quella prevista per i collaboratori di giustizia

 

Chi sono i testimoni di giustizia e perché distinguerli dai collaboratori di giustizia

Quando leggiamo o parliamo di mafia, l’immagine che – con grande probabilità – come un lampo illumina le nostre menti è quella dei grandi boss che sull’illegalità hanno costruito imperi corrotti oppure l’immagine dei più ammirevoli e coraggiosi magistrati e uomini dello Stato che hanno impugnato le armi del diritto per abbattere la fortezza costruita dalla criminalità organizzata. Tutto questo è innegabile; ma altrettanto innegabile è il fatto che le fortificazioni della mafia hanno iniziato a sgretolarsi anche grazie a uomini e donne che hanno deciso di vivere al di fuori delle mura criminali e denunciare ad alta voce – senza paura di essere sentiti – quanto avveniva (e avviene tutt’ora) al loro interno. Purtroppo, proprio queste urla di coraggio hanno costretto loro a doversi silenziare e vivere nell’ombra solo per aver fatto il proprio dovere di uomini e donne, prima ancora che di cittadini. Con ciò ci riferiamo ai c.d. testimoni di giustizia, i quali devono essere nettamente distinti dai collaboratori di giustizia.

Precisiamo, innanzitutto, che testimone di giustizia è colui che, in quanto persona offesa del reato oppure persona informata sui fatti oppure testimone, “rende, nell’ambito di un procedimento penale, dichiarazioni di fondata attendibilità intrinseca, rilevanti per le indagini o per il giudizio[1]. Di conseguenza, la posizione di testimone di giustizia viene riconosciuta ogniqualvolta si sia a conoscenza di informazioni determinanti ai fini del procedimento penale ma le quali possono essere attinenti a qualsiasi tipo di reato, seppur sia noto come le dichiarazioni rese dai testimoni di giustizia abbiano soprattutto riguardo a reati di associazione mafiosa e di criminalità organizzata[2].

 

Similitudini e differenze tra testimoni di giustizia e collaboratori

Quanto appena detto permette di marcare la differenza tra i testimoni di giustizia e i collaboratori di giustizia in quanto, questi ultimi, sono coloro che rendono dichiarazioni in relazione a reati di stampo mafioso, di terrorismo, oltre a reati per i quali si prevede la pena dell’ergastolo e altri reati gravi specificati dalla legge[3].

Si aggiunga, però, se entrambi sono destinatari di speciali misure di protezione in seguito alla loro attività di informazione svolta all’interno di un procedimento penale, la causa (apparentemente simile) di una tale posizione è, invero, assai diversa: il collaboratore di giustizia decide di “pentirsi” e, appunto, collaborare, fornendo dichiarazioni rilevanti circa un reato di cui lui stesso è imputato o comunque coinvolto penalmente; il testimone di giustizia, invece, non ha commesso nessun reato ma è a conoscenza di fatti rilevanti per le indagini e per il processo in quanto semplice testimone oppure vittima del reato.

Per maggiore chiarezza: da una parte il collaboratore di giustizia si è macchiato di reati molto gravi ma decide, “pentendosi” e collaborando nel processo, di staccarsi dall’organizzazione criminale di cui faceva parte con la finalità di ottenere degli sconti di pena e una serie di premialità previste dalla legge; dall’altra, il testimone di giustizia non è responsabile di alcuna commissione di reato ma decide, in virtù delle informazioni possedute, di esporsi e testimoniare con la finalità di compiere il proprio dovere di cittadino[4].

 

Il lungo cammino del legislatore terminato nel 2018

Il punto di arrivo dell’appena delineata distinzione tra testimoni di giustizia e collaboratori di giustizia ha attraversato un percorso tortuoso.

Proprio durante gli anni delle stragi ad opera della mafia, il legislatore ha approvato il “Decreto legge 15 gennaio 1991, n.8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n.82[5]  con il quale si detta una disciplina relativa esclusivamente ai c.d. “pentiti”.

L’articolo 9 e l’articolo 13 comma 5 della suddetta normativa prevedono la possibilità di adottare delle speciali misure di protezione nei confronti di appartenenti ad una associazione criminale ma che hanno deciso di collaborare con lo Stato. Tali misure volte a tutelare la persona in pericolo, stante le informazioni fornite durante le indagini e il processo, possono andare dalla tutela fisica del collaboratore fino all’inserimento in un programma speciale di protezione (articolo 13 comma 5); quest’ultimo consiste nell’assistenza economica, nel trasferimento della residenza in un comune diverso e, inoltre, la modifica delle proprie generalità con la finalità di una maggiore tutela della persona del collaboratore[6].

La situazione legislativa dell’epoca metteva a fuoco esclusivamente la protezione dei collaboratori di giustizia ed escludeva, quindi, i testimoni di giustizia da qualsiasi effettiva tutela normativa[7]. L’obiettivo fotografico del legislatore inizia ad intravedere anche i testimoni di giustizia solamente nel 2001. Pertanto, la legge 45/2001 modifica, innanzitutto, il titolo della legge 82/1991 con “nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia” ed introduce il Capo II-bis. – Norme per la protezione dei testimoni di giustizia. Il risultato di tali modifiche consiste nell’inserimento nella legge 82/1991 dell’articolo 16 bis e dell’articolo 16 ter con i quali, di fatto, si estendendo le speciali misure di protezione previste – ai sensi dell’articolo 9 e 13 comma 5 – già per i collaboratori di giustizia.

Nonostante nel 2001 si sia compiuto qualche passo avanti, la riforma tanto agognata con la quale si sarebbe introdotta una distinzione effettiva tra testimoni di giustizia (i quali non hanno commesso alcun reato) e collaboratori di giustizia (i quali, invece, sono responsabili di reati gravi ma decidono di “parlare” con lo scopo di ottenere le premialità previste dalla legge) verrà data alla luce solamente nel 2018.

 

La legge 6/2018: la fine di un’attesa silenziosa

Attualmente (e finalmente) la posizione dei testimoni di giustizia è disciplinata e tutelata in virtù della Legge 11 gennaio 2018, n. 6, la quale è completamente focalizzata a dettare – questa volta – “disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia[8].

Un testo (e non più due semplici articoli che richiamano le norme previste già per i collaboratori di giustizia) dedicato esclusivamente a chi, sì, parla ma per onestà e non per semplice convenienza.

La nuova disciplina stabilisce che il testimone di giustizia, i suoi familiari e “gli altri protetti[9]” saranno destinatari di misure di tutela (fisica), misure di sostegno economico e misure di reinserimento sociale e lavorativo (articolo 3).

Un grande traguardo raggiunto dal legislatore nel 2018 consiste nell’aver fatto venir meno la disparità di trattamento tra chi aveva aderito al programma speciale di protezione -consistente nel trasferimento in una località protetta e al mutamento delle proprie generalità – e chi, invece, rimaneva nella località originaria. Infatti, per i primi, oltre alle misure di tutela, erano previsti aiuti economici e sostegni per l’inserimento sociale e lavorativo (articolo 16 ter l. 45/2001). I secondi, invece, erano destinatari delle misure di tutela della propria persona ma non erano riconosciuti loro tutti i sostegni previsti dal programma speciale di protezione.

Ad oggi, viene meno lo squilibrato bagaglio di protezione e di diritti, in quanto gli aiuti economici e le misure volte al reinserimento sociale e lavorativo vengono disposte sia per chi rimane in loco (ossia nel comune originario) e sia per chi viene trasferito in una località diversa. È opportuno precisare, pertanto, che con la legge 6/2018 si parla di “speciali misure di protezione[10]” le quali comprendono le misure di tutela (tra le quali troviamo, tra l’altro, il trasferimento in una diversa località, l’uso di documenti di copertura e il mutamento delle generalità), le misure economiche e di reinserimento sociale e lavorativo.

Novità centrale della legge in esame è senz’altro l’articolo 4, il quale dispone che le speciali misure di protezione vanno modulate caso per caso e prevedendo come eccezionali le misure volte al trasferimento in una località protetta, l’uso di documenti di copertura e il   cambiamento delle generalità[11].

Dall’enunciazione, nel medesimo articolo, di assicurare sempre “un’esistenza dignitosa” discende anche il diritto garantito di continuare a lavorare svolgendo la propria attività oppure, qualora ciò non sia più possibile, reperendo un altro posto di lavoro per il testimone di giustizia e per gli altri protetti[12].

Restando ancora un istante sugli aspetti economici e sulla linea di demarcazione tracciata dal legislatore del 2018 tra i collaboratori di giustizia e i testimoni di giustizia, è doveroso precisare che l’articolo 6 prevede il diritto ad un indennizzo come “ristoro per il pregiudizio subito   a   causa   della testimonianza resa” oppure il risarcimento per eventuali danni biologici o esistenziali[13].

Ulteriore novità che non può essere sottaciuta è l’introduzione della figura del referente del testimone di giustizia, disciplinata dall’articolo 16. I compiti affidategli sono assai versatili, in quanto finalizzati ad assistere il testimone di giustizia sotto ogni aspetto della loro nuova vita: informare il testimone circa i propri diritti, mantenere un rapporto continuo con la commissione centrale così da poter adeguare tempestivamente le speciali misure secondo le necessità dell’interessato[14], fornire assistenza nella gestione patrimoniale, economica e nella fase del rinserimento lavorativo.

La centralità del testimone di giustizia, della sua dignità e del suo valore per lo Stato emerge, ancora una volta, specificando che il referente deve espletare il proprio compito fino all’acquisto dell’autonomia economica (quindi anche terminato il programma di protezione) ma la titolarità delle decisioni, rispetto le quali è prevista l’assistenza della figura del referente, spetta sempre e comunque al testimone di giustizia.

Informazioni

10 febbraio 2021 “Audizione del direttore Servizio centrale di protezione Aceto in Commissione antimafia”,10 febbraio 2021. Si veda <<https://www.interno.gov.it/it/notizie/audizione-direttore-servizio-centrale-protezione-aceto-commissione-antimafia-video>>.

La Relazione al Parlamento sulle Speciali Misure di Protezione per i testimoni di giustizia, sulla loro efficacia e sulle modalità generali di applicazione (secondo semestre 2018).Si veda:<https://www.poliziadistato.it/statics/25/relazionetestimoni__10_luglio_2019_.pdf>>

Io sono nessuno. Da quando sono diventato il testimone di giustizia del caso Livatino”– di Piero Nava. Curatori: Lorenzo Bonini, Stefano Scaccabarozzi, Paolo Valsecchi, Rizzoli 2020.

[1] Legge 11 gennaio 2018 n. 6, “Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia”.

[2] Infatti, il 10 febbraio 2021 in occasione dell’ “Audizione del direttore Servizio centrale di protezione Aceto in Commissione antimafia” è stato precisato come il “41 per cento dei testimoni di giustizia ha denunciato fatti riconducibili alla ‘ndrangheta”. Si veda https://www.interno.gov.it/it/notizie/audizione-direttore-servizio-centrale-protezione-aceto-commissione-antimafia-video .

[3] Articolo 9 del Decreto-Legge 15 gennaio 1991 n. 8 convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1991 n. 82.

[4] La Relazione al Parlamento sulle Speciali Misure di Protezione per i testimoni di giustizia, sulla loro efficacia e sulle modalità generali di applicazione (secondo semestre 2018) esprime con chiarezza la distinzione: “mentre nei confronti del collaboratore viene previsto un sistema premiale come strumento diretto di contrasto all’illegalità, nei confronti del testimone occorre primariamente riaffermare la legalità come garanzia a tutela di chi, se pur a volte inserito in un contesto ambientale fortemente condizionato dall’operare di consorterie criminali (…), non ha legami di intraneità con tali consorterie, e ha reso allo Stato un servizio per sensibilità istituzionale, con ciò esponendo sé e i suoi familiari a possibili ritorsioni e vendette da parte dei clan malavitosi”. Si veda <https://www.poliziadistato.it/statics/25/relazione-testimoni__10_luglio_2019_.pdf>>.

[5] Così intitolato: “Nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia”.

[6] Invero, solo con decreto legislativo 29 marzo 1993 n. 119, “Disciplina del cambiamento delle generalita’ per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia” si modifica la legge 82/1991 riconoscendo la possibilità di modificare (su predisposizione della commissione centrale) le generalità dei collaboratori di giustizia e delle altre persone facenti parte del programma speciale di protezione.

[7] Per comprendere a fondo la situazione di un testimone di giustizia durante gli anni novanta, si permetta di suggerire la lettura -seppur non prettamente giuridica- di “Io sono nessuno. Da quando sono diventato il testimone di giustizia del caso Livatino”– di Piero Nava. Curatori: Lorenzo Bonini, Stefano Scaccabarozzi, Paolo Valsecchi, Rizzoli 2020.

[8] Un importante intervento della legge 6/2018 concerne la modifica dell’articolo 392 c.p.p., in virtù del quale, ad oggi, è possibile procedere con l’incidente probatorio per l’esame dei testimoni di giustizia e non più, come in passato, solo per l’esame dei “pentiti”. Per comprendere meglio le caratteristiche dell’incidente probatorio e del processo penale si veda << http://www.dirittoconsenso.it/2020/12/17/uno-schema-pratico-del-processo-penale/  >> .

[9] Ossia, i “soggetti che risultano esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa del rapporto di stabile convivenza o delle relazioni intrattenute con i testimoni di giustizia” ex articolo 1 legge 6/2018.

[10] Tali misure possono essere disposte per massimo sei anni (prima non vi era un termine massimo per le misure adottate a favore dei testimoni di giustizia), salvo il loro rinnovo da parte della commissione centrale in base all’ “attualità e gravità del pericolo” e all’ “idoneità delle misure adottate” (articolo 8 legge 6/2018).

[11] Invero, si precisa che tali misure eccezionali troveranno applicazione solo se le “altre   forme   di   tutela   risultano assolutamente inadeguate rispetto alla gravità e all’attualità’ del pericolo”.

[12] Sottolineiamo che gli oneri contributivi-nel caso in cui non sia possibile lavorare temporaneamente- per chi lavora nel pubblico impiego saranno versati dall’amministrazione di appartenenza e, invece, chi lavora nel privato dovrà versare di propria tasca gli oneri contributivi, i quali verranno poi rimborsati, su richiesta dell’interessato, dal Servizio Centrale di Protezione. Si veda La Relazione al Parlamento sulle Speciali Misure di Protezione per i testimoni di giustizia, sulla loro efficacia e sulle modalità generali di applicazione, cit., e D.M. 13 maggio 2005 n.138.

[13] Si sottolinea così la differenza con il trattamento offerto ai “pentiti” il quale ha carattere di premialità.

[14] Su questa linea ci si impegna, altresì, a rispettare a lungo termine quanto detto nell’articolo 4, ossia che le speciali misure vengono disposte “caso per caso secondo la situazione di pericolo e la condizione personale, familiare, sociale ed economica” dell’interessato e degli altri protetti.