Cosa è accaduto il 30 luglio 2018? Chi sono gli imputati del caso della nave Asso 28? Quali sono i reati loro contestati e le questioni giuridiche più dibattute?
Il caso della nave Asso 28: il fatto
Il caso della nave Asso 28 è la storia di una nave italiana che, in data 30 luglio 2018, ha riportato a Tripoli 101 migranti soccorsi nel Mediterraneo, dando luogo a un illecito che mai prima d’allora aveva visto protagonista un mezzo marittimo nazionale.
L’Asso 28, nave di supporto alla piattaforma petrolifera libica Sabratha, riceve l’ordine da parte di questa ultima di tenere distante un gommone avvistato nelle vicinanze, carico di migranti, e, al contempo, di avvicinarsi alla stessa piattaforma così da imbarcare un presunto rappresentante delle Autorità libiche; questi avrebbe poi, a sua volta, ordinato ad Asso di effettuare il trasbordo dei 101 migranti presenti sul gommone per sbarcarli presso il porto di Tripoli. La nave italiana, recuperati i migranti e ormai quasi arrivata a Tripoli, viene successivamente affiancata da una motovedetta libica, la Patrol Boat, che ultima l’operazione di sbarco, senza che più nulla si saprà dei 101 migranti. L’Asso 28 rimane, invece, ormeggiata al porto di Tripoli; si dirigerà, in ultimo, verso Malta. Il suo comandante denuncerà l’evento straordinario solo il 13 agosto 2018, a distanza di due settimane dal fatto.
Casso Asso 28: l’imputazione
Con riferimento agli accadimenti del 30 luglio 2018, risultano imputati il comandante di Asso 28 e il DPA (designated person ashore), la cd “persona a terra”. I reati loro contestati sono quelli di cui agli artt. 591 c.p., 323 c.p. e 1155 cod. navigazione.
Reato di abbandono
- Con riferimento alla norma 591 del codice penale, la disposizione prevede che chiunque abbandoni una persona minore degli anni quattordici o una persona incapace di provvedere a sé stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Nel caso di specie, infatti, si è trattato dell’abbandono di cinque minori e di cinque donne incinte in stato di pericolo che, dopo essere stati imbarcati assieme ad altri migranti, sono stati condotti nel porto di Tripoli, ovvero a dire in un porto non sicuro[1].
Reato di abuso d’ufficio
- L’articolo 323 del codice penale configura l’abuso di ufficio, disponendo la reclusione da uno a quattro anni per il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, oppure omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrechi ad altri un danno ingiusto. Nella fattispecie, ad essere state violate sono le disposizioni contenute nella Convenzione di Ginevra, nella Convenzione SOLAS, nella Convenzione SAR e nell’ISPS (the International Ship and Port Facility Security) Code. Ad essere stata omessa è, invece, la comunicazione immediata circa lo stato emergenziale dei migranti da parte del comandante della nave ai centri di coordinamento di Tripoli, l’identificazione degli stessi migranti, la sottoposizione di questi a visite mediche, la ricezione di loro eventuali richieste di asilo. Indici eloquenti dell’intenzionalità dell’evento da parte dell’autore di reato si ravvisano nella competenza professionale propria del comandante della nave, che esclude la non comprensione del fatto posto in essere, e nella macroscopica illegittimità dello stesso. Con riferimento all’abuso di ufficio, si segnala a dovere la recente modifica apportata in materia dal decreto semplificazioni del 2020[2], che ha ristretto l’ambito di applicazione dell’art. 323 c.p.: prima la norma disponeva “in violazione di norme di legge o di regolamento”; oggi dispone “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Si può, dunque, parlare di abolitio criminis parziale. Nel nostro caso, sono state violate le regole di condotta contenute nelle Convenzioni internazionali e nell’ISPS Code, considerate fonti super-legislative ex articolo 117 della Costituzione; ed inoltre sarebbe dovuta mancare, di fatto, la discrezionalità in capo al comandante circa l’osservazione ed il rispetto del complesso di dette normative. Per cui si ritiene che l’abolitio in parola non impedisca in alcun modo di perseguire penalmente il caso concreto, sussumendolo nella norma incriminatrice nella sua lettera attuale.
Reato di sbarco arbitrario
- La disposizione 1155 del codice della navigazione (da qui in avanti, c.d.n.) prevede la reclusione da sei mesi a tre anni per il comandante della nave che, fuori dal territorio nazionale, arbitrariamente sbarchi un passeggero o lo abbandoni, impedendone il ritorno a bordo, con l’aggravante di pena disposta dal secondo comma nel caso in cui lo sbarco arbitrario o l’abbandono riguardi persone sprovviste di mezzi di sussistenza quali, nel nostro caso, i 101 migranti.
Caso Asso 28: le questioni giuridiche più rilevanti
La giurisdizione e la competenza
Il fatto è avvenuto nella zona SAR libica[3]. Si è discusso, pertanto, sul punto se il giudice italiano sia o meno giurisdizionalmente competente.
L’articolo 4 del c.d.n. dispone che le navi italiane in alto mare e gli aeromobili italiani in luogo e in spazio non soggetto alla sovranità di alcuno stato sono considerati come territorio italiano. L’evento, nel caso di specie, si è verificato nella zona SAR libica sulla quale lo Stato libico detiene la responsabilità per le operazioni di ricerca e soccorso che ivi vengono effettuate, ma non, al pari, la sovranità: si riconosce, dunque, la giurisdizione in capo allo Stato italiano. Inoltre l’articolo 4 comma 2 c.p.p. prevede che le navi e gli aeromobili italiani siano considerati territorio dello Stato, ovunque questi si trovino (salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, ad una legge territoriale straniera).
Con riguardo alla competenza territoriale, l’articolo 9 co 3 c.p.p. la riconosce in capo al giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del Pubblico Ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. Nel caso in esame è stata la Procura di Napoli a provvedere per prima all’iscrizione nel registro dei reati, per quelli di cui agli articoli 591 c.p. e 323 c.p. (abbandono e abuso d’ufficio). Per l’illecito di cui all’articolo 1155 del c.d.n. (sbarco arbitrario), pur non mutuando la competenza, si deve rinviare specificamente alla norma 1240 comma 2 dello stesso codice, che prevede che se prima dell’approdo nella Repubblica italiana ha avuto luogo la presentazione del rapporto, della denuncia o della querela alle Autorità consolari o ai comandanti di navi da guerra, la competenza appartiene al giudice del luogo di iscrizione della nave su cui era imbarcato l’imputato al momento del commesso reato. La nave Asso 28 risultava iscritta nel registro delle navi nazionali.
I concorsi di reato
Il caso della nave Asso 28 s’è caratterizzato da una serie di accadimenti che hanno visti partecipi più soggetti. Da qui l’esigenza di configurare correttamente i reati da questi commessi, anche in rapporto tra loro.
- È stato riconosciuto un concorso di persone nel reato, ai sensi dell’articolo 110 del codice penale, con riferimento ai coimputati, il comandante della nave e il DPA.
- Per quanto riguarda l’imputabilità del comandante, è necessario comprovare la sua pubblica funzione in materia di navigazione: ai sensi dell’art. 357 co 2 c.p.p. è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi. Più dettagliatamente, gli articoli 295 e 321 del codice della navigazione delineano la caratterizzazione dell’equipaggio marittimo e, in particolare, della posizione apicale ricoperta dalla figura del comandante con gli obblighi da questa derivanti, tra i quali spicca quello di sovraintendere a tutte le funzioni attinenti alla salvaguardia delle persone imbarcate, come, peraltro, sancito dall’autorevole Cassazione del 2017 che si espressa sul noto caso della Costa Concordia[4].
- Il DPA è, invece, la cd persona a terra che, tipica d’ogni Compagnia, ai sensi dell’art. 4 ISM (The International Safety Management) Code, è tenuta a garantire il funzionamento sicuro di ogni nave e a fornire un collegamento tra la società e i soggetti a bordo, avendo così accesso al più elevato livello di gestione. Rilevante compito del DPA è inoltre quello di fornire aggiornamenti sulla normativa vigente e supportare le decisioni del comandante, verificandone la conformità giuridica. Non c’è dubbio che possa essere considerato incaricato di pubblico servizio in quanto la sua funzione è disciplinata da norme di diritto pubblico, ha natura pubblicistica connessa alla sicurezza della nave ed, al contempo, non attiene ai poteri autorizzativi propri del pubblico ufficiale.
- È configurato anche il concorso formale eterogeneo tra i reati di abuso d’ufficio e di abbandono, di cui agli artt. 323 c.p., 591 c.p. Chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata sino al triplo, ai sensi dell’articolo 81 c.p.
- Si riconosce, in aggiunta, un concorso formale omogeneo di reati (ex art. 71 e ss c.p.) con riferimento ai due eventi, l’ingiusto danno e l’ingiusto vantaggio patrimoniale, quest’ultimo ravvisabile nella scelta del luogo di sbarco nel porto di Tripoli, che ha consentito una riduzione ingente delle spese che, al contrario, la procedura di soccorso avrebbe normalmente implicato.
Le scriminanti
Si è posta la questione della eventuale applicabilità di cause di giustificazioni atte ad escludere la punibilità dei rei.
- L’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo
L’articolo 51 del codice penale disciplina una importante causa di giustificazione, quella del fatto compiuto nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere. Il Legislatore richiede, con riferimento a quest’ultimo, che sia imposto da disposizioni legislative o dall’ordine legittimo di una Pubblica Autorità. L’ordine deve essere legittimo sia formalmente sia sostanzialmente: sussiste legittimità formale ogni qualvolta si ravvisi la competenza del superiore ad emanare l’ordine, l’idoneità dell’inferiore ad eseguirlo, e la forma dell’ordine quale prescritta ex lege; la legittimità sostanziale, invece, è sinonimo di conformazione dell’atto ai presupposti stabiliti dalle norme di diritto. Nel caso di specie è mancata la legittimità formale dell’ordine, con specifico riferimento alla competenza del soggetto alla sua emanazione, stante la Convenzione SOLAS e le Direttive IMO, secondo le quali “autorità competenti” a tal fine sarebbero stati solo i centri di coordinamento di Tripoli o l’IMRCC di Roma (Italian Maritime Rescue Coordination Centre), e non, invece, un rappresentante (o eventuale dipartimento) della Piattaforma Sabratha. È, inoltre, mancata la legittimità sostanziale per la violazione degli articoli:
- 3 Cedu: divieto di trattamenti inumani e degradanti
- 33 Convenzione di Ginevra: principio di non refoulement (espulsione verso territori in cui la vita o la libertà personale è minacciata) e
- 19 T.u. immigrazione: divieto di espulsione e di respingimento
Si deve, dunque, escludere l’applicabilità della scriminante “per aver compiuto il fatto nell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo”.
- L’errore di fatto
Può, invece, applicarsi la scriminante di cui all’articolo 51 comma 3 c.p.?
Si tratta dell’errore di fatto: se il reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine, e inoltre chi l’ha eseguito, salvo che, per errore di fatto, questi abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Con riferimento alla vicenda che noi esaminiamo, si consideri che il comandante ricopriva l’incarico sin dal 2012, avendo, peraltro, in passato gestito eventi analoghi con modalità differenti. Inoltre per ricoprire la carica di comandante di nave si deve essere in possesso di una qualificazione professionale e di una conoscenza approfondita della legislazione italiana, in quanto requisiti richiesti dall’articolo 292 bis del codice della navigazione. Infine si ritiene comunemente nota la situazione libica con riferimento al trattamento disumano dei migranti e alla sua rappresentazione di porto non sicuro per lo sbarco degli stessi.
Pertanto si esclude anche l’applicabilità della scriminante dell’errore di fatto ex art. 51 co 3 c.p.
Informazioni
[1] Sul tema si rimanda ad un altro approfondimento pubblicato su DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2021/05/06/soccorso-in-mare-migranti/
[2] https://www.altalex.com/documents/news/2020/07/30/abuso-d-ufficio-la-riforma-contenuta-nel-decreto-semplificazioni
[3] http://www.dirittoconsenso.it/2021/05/06/soccorso-in-mare-migranti/
[4] http://www.salvisjuribus.it/la-corte-di-cassazione-sul-naufragio-della-costa-concordia-cass-pen-sez-iv-12-05-2017-n-35585/

Desireè Ferrario
Ciao, sono Desirèe. Ho conseguito cum laude la laurea in Giurisprudenza presso l'Università Statale di Milano. Attualmente svolgo il tirocinio ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Corte d'Appello di Milano, IV Sez. Pen. Il mio sogno è fare il Magistrato, ed una mia grande passione è la scrittura.