In alcune ipotesi di inerzia della pubblica amministrazione, la legge prevede la nomina del commissario ad acta

 

Il “silenzio inadempimento” e il commissario ad acta

La figura del commissario ad acta “entra in gioco” nei procedimenti amministrativi per supplire alle ipotesi di inoperosità della pubblica amministrazione. Si tratta di una figura mutuata dal diritto processuale amministrativo, dove ha origine l’istituto, come vedremo nei paragrafi successivi.

Infatti, l’art. 97 della Costituzione italiana sancisce il principio del buon andamento: questo postula uno svolgimento dell’attività amministrativa all’insegna della massima efficienza[1] possibile, che si traduce nella doverosità dell’azione amministrativa. Per l’appunto, nei casi in cui si deve procedere d’ufficio, oppure dinanzi all’istanza del privato portatore di un interesse legittimo, l’amministrazione ha il duplice dovere di avviare il procedimento amministrativo e di emanare un provvedimento amministrativo, come si evince dall’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241[2].

L’obbligo riguarda non soltanto il se provvedere, ma anche il quando: il procedimento, infatti, si basa su precisi termini dettati dalla citata legge, e l’inutile decorso di questi determinerà specifiche conseguenze giuridiche[3].

In proposito, il legislatore disciplina tassativamente i casi in cui il silenzio dell’amministrazione si debba intendere come significativo: solo in tali ipotesi, la mancata risposta dell’amministrazione alle istanze del privato, entro i termini stabiliti, sarà da intendersi come silenzio-rigetto o silenzio-assenso, in base all’espressa previsione di legge[4].

In tutti gli altri casi, si parla di silenzio-inadempimento: l’amministrazione, che non si adoperi per rispondere al privato, tradisce la sua legittima aspettativa in una certezza dei tempi del procedimento e così mina l’efficienza[5] dell’attività amministrativa.

Per questo motivo, la legge prevede svariati istituti per rimediare all’inerzia, fra cui appunto quello del commissario ad acta.

In particolare, il comma 2 bis dell’art. 2, legge 241/90, prevede l’esistenza di un potere sostitutivo, da attribuire ad un soggetto in posizione apicale all’interno dell’amministrazione: di regola, il dirigente generale o il dirigente dell’ufficio. Decorso il termine per la conclusione del procedimento, il privato può rivolgersi al titolare del potere sostitutivo. Ai sensi del comma 9 ter, quest’ultimo, entro un termine pari alla metà del tempo previsto in origine, potrà concludere il procedimento oppure nominare un commissario[6]. Il commissario, a propria volta, potrà sostituirsi all’amministrazione e compiere gli atti necessari per concludere il procedimento amministrativo ed emanare un provvedimento.

Nel quarto e nel quinto paragrafo affronteremo le conseguenze della nomina del commissario, rispetto al potere dell’amministrazione che ne viene sostituita.

 

Il commissario ad acta nel processo amministrativo

La prima ipotesi di commissario si ravvisa all’interno del ricorso avverso il silenzio amministrativo, introdotto dagli artt. 31 e 117[7]  del codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, d’ora in poi c.p.a.)[8].

Dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali (o TAR), infatti, il privato può chiedere che sia accertato l’obbligo di provvedere che l’amministrazione aveva, in modo che sia pronunciata, se la domanda è fondata, una sentenza di condanna[9] ad emettere il provvedimento per il quale era stata fatta originaria istanza. In questa sede, il giudice nominerà, ove necessario, il commissario ad acta con la sentenza, o successivamente su istanza della parte interessata.

Così, il commissario eserciterà i poteri originariamente spettanti all’amministrazione, in modo da compiere tutti gli atti necessari per pervenire all’emanazione del provvedimento dovuto.

Ai sensi dell’art. 117 comma 4, inoltre, la competenza per eventuali controversie attinenti l’adozione del provvedimento, compresi gli atti del commissario, spetta allo stesso giudice adito per il ricorso avverso il silenzio.

Sempre in sede giurisdizionale, esiste inoltre l’istituto dell’ottemperanza. Si tratta di un rimedio disciplinato dagli artt. 112-115 del c.p.a., che la parte interessata può azionare dopo la pronuncia della sentenza passata in giudicato se l’amministrazione non vi si è conformata, restando inerte.

Tale ricorso si propone dinanzi al medesimo giudice che aveva pronunciato la sentenza non eseguita dall’amministrazione: questo, in caso di accoglimento, potrà nominare il commissario, che si sostituirà anche in questa ipotesi all’amministrazione, allo scopo, appunto, di ottemperare alle statuizioni del giudice.

In modo parallelo rispetto all’art. 117, l’art. 114 comma 6 prevede che gli atti del commissario siano eventualmente reclamabili dinanzi al medesimo giudice dell’ottemperanza.

Inoltre, ulteriore ipotesi di nomina del commissario è contemplata dall’art. 34, comma 1 lettera e: il giudice, nella sentenza di merito, può disporre ”le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza”.

Per assicurare l’attuazione delle sentenze passate in giudicato, quindi, prima ancora che sia proposto il ricorso in ottemperanza il giudice, anche d’ufficio, può nominare un commissario.

Ancora, nell’ambito delle misure cautelari[10], ai sensi dell’art. 59 c.p.a. il giudice, su istanza motivata dell’interessato può esercitare i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza, ivi compreso quello di nominare il commissario ad acta.

 

Che natura ha la figura del commissario ad acta?

Quanto alla natura del commissario, questi è espressamente collocato dal codice amministrativo fra gli ausiliari del giudice: l’art. 21 c.p.a., appunto, dichiara che il giudice, se nell’ambito della propria giurisdizione deve sostituirsi all’amministrazione, può nominare il commissario come proprio ausiliario.

E’ opportuno menzionare, tuttavia, la differenza operata da parte della dottrina[11] tra la natura del commissario in sede di ricorso avverso il silenzio ed in sede di ottemperanza.

Si ritiene, infatti, che la qualificazione come ausiliario del giudice valga solo per il commissario dell’ottemperanza, la cui funzione sostitutiva attiene solo al compimento degli atti necessari per eseguire una sentenza; il commissario nominato dal giudice nel ricorso contro il silenzio, invece, si distinguerebbe in quanto gode di poteri più ampli, poiché potrà sostituirsi all’amministrazione in modo pieno, per adottare appunto un provvedimento che l’amministrazione aveva omesso. Per questo motivo, quindi, questo tipo di commissario è considerato organo amministrativo straordinario, titolare di un potere sostitutivo assimilabile a quello esercitato da un dirigente in caso di inerzia dell’amministrazione a sé subordinata. Si tratta, tuttavia, di una lettura dottrinale che è stata recentemente sconfessata, come vedremo tra poco.

 

Cosa succede ai poteri dell’amministrazione sostituita?

Considerata l’entità dei poteri del commissario ad acta, in tutte le ipotesi di legge che abbiamo passato in rassegna, sorge spontaneo chiedersi cosa resti dei poteri originari dell’amministrazione sostituita da questo e, in particolare, se possano essere esercitati tardivamente con l’emanazione di atti amministrativi.

La risposta a tale quesito è di notevole peso perché affermare che esista ancora o si sia esaurito il potere dell’amministrazione dopo la nomina del commissario, comporta che gli atti compiuti in quel lasso di tempo siano efficaci, se si ammette che esiste ancora un potere, o inefficaci, se si afferma che quel potere non esiste più.

Al riguardo, si contrappongono i seguenti orientamenti in proposito:

  • il primo si basa sul c.d. principio dell’inesauribilità del potere, tale per cui l’amministrazione possa provvedere anche scaduto il termine, fintantoché non abbia provveduto il commissario. In proposito, la legge 6 dicembre 1971, n. 1034, di istituzione dei TAR, all’art. 21 bis prevedeva che il commissario, all’atto dell’insediamento e preliminarmente all’emanazione del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accertasse se anteriormente alla data dell’insediamento l’amministrazione avesse già provveduto, anche in seguito alla nomina del commissario da parte del giudice. Questo fa propendere a favore del principio di inesauribilità: tuttavia, nel c.p.a., che ha abrogato le precedenti norme in materia processuale amministrativa, non è confluita questa previsione, e da ciò si potrebbe desumere una diversa volontà del legislatore.
  • il secondo orientamento considera esistente il potere dell’amministrazione solo fino alla nomina del commissario da parte del giudice. Il fondamento di tale lettura si trova nella considerazione che il medesimo potere non possa essere esercitato in contemporanea sia dall’amministrazione, sia dal commissario, ragion per cui si verifica un esautoramento dell’amministrazione non appena viene nominato il commissario.
  • il terzo orientamento ritiene invece sopravvivere il potere dell’amministrazione fino all’effettivo insediamento del commissario, perché solo allora avverrebbe il trasferimento del potere pubblico a costui.

 

Altra questione molto dibattuta, al contempo, riguarda il tipo di eventuale inefficacia che colpirebbe l’atto amministrativo tardivo: l’opinione prevalente[12] la classifica come nullità, evidenziando come un atto adottato in carenza di potere integri l’ipotesi di difetto assoluto di attribuzione di cui all’art. 21 septies della legge 241/90[13].

Si tratta della più grave forma di patologia dell’atto amministrativo, non convalidabile; inoltre, ai sensi dell’art. 31 comma 4 c.p.a., può essere rilevata d’ufficio dal giudice amministrativo in qualsiasi momento.

 

I chiarimenti offerti dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

Su tali dibattute questioni, è intervenuta recentemente un’importante pronuncia di Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la n. 8 del 25 maggio 2021, che ha chiarito come interpretare il panorama normativo sull’istituto.

Quanto alla natura del commissario, ne è stata ribadita la qualifica di ausiliario del giudice, in relazione a cui si configura un’ipotesi di potere concorrente fra costui e l’amministrazione. Non si verifica, quindi, alcun esautoramento, né con la nomina né con l’insediamento del commissario.

Viene negato in quest’occasione, quindi, l’orientamento che propendeva per la natura di organo straordinario dell’amministrazione, per molteplici ragioni:

  • il codice amministrativo all’art. 21 prevede espressamente la sola nozione di commissario come ausiliario;
  • il fondamento del suo potere si trova nella sentenza del giudice, mentre il potere dell’amministrazione nasce dalla legge stessa;
  • anche il fine è differente: il primo è funzionale all’esecuzione di quanto disposto in giudizio, il secondo è finalizzato alla cura degli interessi pubblici. Ecco perché i due poteri coesistono e non vanno confusi, né si può ritenere che il potere amministrativo si esaurisca in favore di quello del commissario.

 

Ad ulteriore conferma di ciò, si pone il dato normativo circa la competenza sugli atti del commissario, ad esempio qualora vengano adottati dopo che l’amministrazione abbia provveduto. Ai sensi degli artt. 114 comma 6 e 117 comma 4 c.p.a., tale competenza spetta al medesimo giudice che lo ha nominato, non vi è autonoma impugnabilità con ricorso amministrativo come per i provvedimenti dell’amministrazione, né possono essere revocati in autotutela o annullati d’ufficio dall’amministrazione.

Similmente, qualora l’amministrazione adotti provvedimenti dopo che il commissario abbia già provveduto, chi vi abbia interesse può chiedere che ne sia dichiarata l’inefficacia al medesimo giudice di cui sopra.

Quando invece gli atti dell’amministrazione pervengono successivamente alla nomina o l’insediamento del commissario, ma prima che questi abbia provveduto, essendo adottati con pieni poteri sono perfettamente validi ed efficaci, non affetti da nullità per difetto di attribuzione. Semmai, invece, fossero in contrasto con le disposizioni del giudice, potrebbero essere nulli per violazione o elusione del giudicato.

 

Conclusioni

Grazie a questa pronuncia sembra, quindi, sia stata posta fine al risalente dibattito inerente la figura del commissario ad acta.

In definitiva si può affermare che:

  1. va considerato come un ausiliario del giudice,
  2. eserciterà il potere di adottare provvedimenti amministrativi in maniera concorrente con l’amministrazione sostituita inerte, ma senza esaurirne il potere,
  3. gli eventuali atti dell’amministrazione saranno quindi efficaci, salvo che intervengano dopo che il commissario abbia già adottato i propri provvedimenti; e questi ultimi saranno eventualmente reclamabili dinanzi al giudice che ha nominato il commissario e non revocabili in autotutela né impugnabili autonomamente.

Informazioni

Fratini M., Manuale sistematico di diritto amministrativo, Accademia del Diritto, 2020

Garofoli R., Compendio di diritto amministrativo, NelDiritto Editore, 2021

https://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/1990_0241.htm

https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/09/10/codice-del-processo-amministrativo

http://www.dirittoconsenso.it/2020/11/30/uno-schema-sul-processo-amministrativo/

[1] Art. 1, comma 1 legge 241/90: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell’ordinamento comunitario”. Cfr. anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41 comma 1: “Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione”.

[2]Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. […]” . Per il testo di legge completo,  https://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/1990_0241.htm .

[3] Garofoli R., Compendio di diritto amministrativo, NelDiritto Editore, 2021, pagg. 410 e ss.

[4] Cfr. art. 20, legge 241/90.

[5] In riferimento alla legge 241/90 ricordiamo inoltre che: il mancato rispetto dei termini del procedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale del dirigente e del funzionario inadempiente, nonché della responsabilità disciplinare e contabile (art. 2, comma 9); il privato può inoltre chiedere il risarcimento del danno ingiusto causato dall’inosservanza dolosa o colposa del termine (art. 2 bis).

[6] Il comma 9 ter dell’art. 2 è stato introdotto dalla legge 120/2020, c.d. legge semplificazioni, e recita: “Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento o quello superiore di cui al comma 7, il responsabile o l’unità organizzativa di cui al comma 9-bis, d’ufficio o su richiesta dell’interessato, esercita il potere sostitutivo e, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, conclude il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario.”

[7] https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/09/10/codice-del-processo-amministrativo

[8] Per una panoramica sul processo amministrativo, v. http://www.dirittoconsenso.it/2020/11/30/uno-schema-sul-processo-amministrativo/

[9] Ciò potrà accadere purché si tratti di giurisdizione di merito ai sensi dell’art. 34 c.p.a.: infatti, nella giurisdizione amministrativa vige la regola generale, secondo cui il giudice conosce dei vizi di legittimità ma non può entrare nel merito dell’attività amministrativa discrezionale, in ossequio al principio di separazione dei poteri. Pertanto, ai sensi dell’art. 31 comma 3, il giudice potrà pronunciarsi sulla fondatezza dell’istanza originariamente presentata dal privato all’amministrazione, solo quando si tratti di attività vincolata o comunque non residuino margini di esercizio della discrezionalità, e non siano necessari adempimenti istruttori da parte dell’amministrazione.

[10] Disciplinate dagli artt. 55-62 c.p.a., sono misure temporanee ed urgenti che il ricorrente può richiedere al giudice in pendenza del giudizio principale, se dimostra che potrebbe subire un pregiudizio grave e irreparabile durante il tempo necessario per lo svolgimento del processo.

[11] Garofoli R., Compendio di diritto amministrativo, NelDiritto Editore, 2021, pag. 422.

[12] Fratini M., Manuale sistematico di diritto amministrativo, Accademia del Diritto, 2020, pag. 564.

[13] La nullità può altresì dipendere da violazione o elusione del giudicato oppure da mancanza degli elementi essenziali del provvedimento, o negli altri casi previsti dalla legge. Differente categoria di inefficacia del provvedimento amministrativo è invece quella dell’annullabilità ai sensi del successivo art. 21 octies, che colpisce il provvedimento adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.