Come è strutturata la giornata del detenuto? E come invece dovrebbe essere nel rispetto di principi di umanità

 

Premessa

«Fui chiamato alla continuazione dell’interrogatorio, e ciò durò tutto quel giorno, e parecchi altri, con nessun altro intervallo che quello de’ pranzi. Finché il processo non si chiuse, i giorni volavano rapidi per me, cotanto era l’esercizio della mente in quell’interminabile rispondere a sì varie dimande, e nel raccogliermi alle ore di pranzo ed a sera, per riflettere a tutto ciò che mi s’era chiesto e ch’io aveva risposto, ed a tutto ciò, su cui probabilmente sarei ancora interrogato», Silvio Pellico, “Le mie prigioni”.

Nel corso dei secoli diversi scrittori hanno narrato lo svolgimento della giornata del detenuto – romanzieri come Alexadre Dumas nel suo “Il conte di Montecristo”, oppure Fëdor Dostoevskij nell’opera “Memorie della casa dei morti” – ovvero prigionieri, per lo più politici, che hanno trasmesso ai posteri la loro esperienza. Nell’immaginare la giornata tipica del detenuto, infatti, affiorano alla mente frammenti di storie tratte dalla letteratura, dalle opere saggistiche o storiche, che descrivono una realtà monotona ed alienante: le ore scandite da rigidi e ripetuti rituali (ad esempio: l’appello, la distribuzione del cibo, le docce) e l’interminabile scorrere del tempo, che conduce alla spersonalizzazione ed a una “mutilazione personale”[1].

Dal momento dell’ingresso in carcere gli individui sono privati di tutto ciò che caratterizza la loro identità per essere inseriti in un circuito standardizzato. Tali meccanismi sono tipici delle “istituzioni totali”[2], volte a soggiogare le persone fisiche internate sotto il controllo dell’autorità ed a un rigido apparato burocratico. Il risultato sarà l’assegnazione di una nuova identità, completamente assoggettata all’istituzione, ossia l’identità del detenuto.

 

La divisione temporale della giornata del detenuto

Per ovviare a questa deriva totalizzante – nonché per attuare la previsione costituzionale della funzione rieducativa della pena –  il nostro legislatore ha previsto la possibilità di strutturare la giornata del detenuto, mediante le attività previste dal trattamento penitenziario. Il riferimento è principalmente al Capo III della Legge 26/07/1975 n. 354 e successive modifiche ed integrazioni, rubricato: “Modalità del trattamento”.

Il sistema carcerario deve, così, gestire la quotidianità della pena detentiva rispettando l’umanità e la dignità del detenuto, ciò si realizza anche tramite gli elementi del trattamento penitenziario[3].

Nel rispetto delle previsioni normative, a ciascun istituto è concesso un margine di autonomia per l’organizzazione della quotidianità. Ad esempio per gli orari delle diverse attività o dei pasti, oppure l’ora della sveglia al mattino[4].

In questo articolo, nella convinzione della loro importanza per uno svolgimento decoroso e costruttivo della giornata del detenuto, saranno trattati alcuni aspetti del trattamento:

  • l’istruzione,
  • il lavoro,
  • la religione e le pratiche di culto,
  • le attività culturali, sportive e ricreative.

 

La giornata del detenuto: gli elementi del trattamento penitenziario

L’art. 15 della L. n. 354/1975 sancisce che:

Il trattamento del condannato e dell’internato è svolto avvalendosi principalmente dell’istruzione, della formazione professionale, del lavoro, della partecipazione a progetti di pubblica utilità, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia.

Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurato il lavoro.

Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell’autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica”.

 

Tutte le attività elencate nel presente articolo riguardano l’impiego del tempo a disposizione del detenuto, affinché preservi la sua integrità psico-fisica ed acquisisca capacità spendibili al momento del reinserimento nella società.

 

L’art. 19: l’istruzione

Al primo comma dell’art. 19 è previsto che: “Negli istituti penitenziari la formazione culturale e professionale, è curata mediante l’organizzazione dei corsi della scuola d’obbligo e di corsi di addestramento professionale, secondo gli orientamenti vigenti e con l’ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti”.

Nell’ambito carcerario l’istruzione, diritto costituzionalmente garantito, è ancora oggi interpretato in un’ottica di esclusiva alfabetizzazione. Come riporta il “XIV Rapporto sulle condizioni detentive” dell’Associazione Antigone: “La scuola in carcere è stata e viene ancora utilizzata con lo scopo di alfabetizzare; se nel 1958, al momento dell’istituzione delle Scuole Carcerarie erano quasi esclusivamente gli italiani a dover imparare a leggere e scrivere seguendo quanto indicato da una circolare ministeriale del 1948), oggi i corsi di alfabetizzazione sono per lo più destinati a detenuti non italiani[5].

È un’ottica ristretta, miope dinanzi alle possibilità che l’accesso all’istruzione in carcere può fornire. La scuola non è solamente apprendimento di nozioni manualistiche, seppur basilari e imprescindibili, ma è anche socializzazione ed impiego del tempo in modo propositivo.

Al fine di superare tale visione, occorre potenziare l’attuazione concreta del comma 6 dell’art. 19: “Sono agevolati la frequenza e il compimento degli studi universitari e tecnici superiori, anche attraverso convenzioni e protocolli d’intesa con istituzioni universitarie e con istituti di formazione tecnica superiore, nonché l’ammissione di istruzione e internati ai tirocini di cui alla legge 28 giugno 2012, n. 92”.

L’interpretazione del sopracitato dettato normativo si fonda su una considerazione secondaria degli studi superiori ed universitari, suggellata nel termine: “agevolati”, quasi ad indicare un’importanza minoritaria rispetto alla funzione di alfabetizzazione dell’istruzione dei detenuti[6].

 

Gli articoli compresi tra il 20 e il 21: il lavoro

Il lavoro è ciò che contraddistingue la vita all’interno del consorzio sociale, poiché attribuisce posizioni e ruoli: grazie al lavoro è possibile raggiungere le mete prefissate (ed imposte) dalla società di appartenenza, realizzando la conformità alle stesse.

Il mancato conseguimento degli obiettivi lavorativi può essere pertanto causa di frustrazioni, nonché – in casi più complessi – di marginalità. A seguito di suddette premesse è facile comprendere la peculiarità del lavoro nei soggetti detenuti, specie in previsione della reintroduzione nella società.

Il comma 3 stabilisce che: “L’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale”.

Il lavoro non è più connotato dal carattere afflittivo – come avveniva in tempi in cui la funzione della pena non tendeva alla rieducazione – ma è un momento centrale nella giornata del detenuto.

È quanto di più simile alla “vita da libero” possa essere proposto al detenuto per vivere le due giornate, sottraendolo ad uno stato di prostrazione che altrimenti caratterizzerebbe lo scorrere del tempo.

 

L’art. 26: la religione e le pratiche di culto

I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto.

Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico.

A ciascun istituto è addetto almeno un cappellano.

Gli appartenenti a religione diversa dalla cattolica hanno diritto di ricevere, su loro richiesta, l’assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti“.

 

L’inserimento della religione tra gli elementi del trattamento penitenziario è frutto di un retaggio storico-culturale, basato sulle concezioni cattoliche di espiazione e di redenzione del condannato. È però possibile attribuire un nuovo significato alle pratiche di culto in carcere: possono essere un fattore di socializzazione, capace di “spezzare” la routine giornaliera.

La libertà di religione per i detenuti è da tempo oggetto di dibattito, a seguito di cambiamenti – come il fenomeno dell’immigrazione o le conversioni – che modificano sempre di più il tessuto sociale, quindi anche la realtà carceraria. Come riporta il “XIII Rapporto sulle condizioni della detenzione” dell’Associazione Antigone: “Ormai da decenni, all’interno delle prigioni italiane risuonano preghiere recitate in lingue diverse e indirizzate a divinità distinte (…). i detenuti cattolici sono i più numerosi: con 29.568 unità rappresentano il 54,7% del totale; seguono i detenuti musulmani, con 6.138 unità (l’11,4% della popolazione detenuta) principalmente concentrate negli istituti del Centro-Nord. Infine gli ortodossi, con 2.263 unità (il 4,2% del totale). Ci sono poi adepti di altre confessioni quali evangelisti, avventisti del settimo giorno, hindu e via dicendo: ma rappresentano percentuali al di sotto dell’uno per cento[7].

Il “XV Rapporto sulle condizioni della detenzione” di Antigone denunzia la mancanza di luoghi nelle carceri (circa il 22%) riservati ai fedeli delle religioni diverse da quella cattolica.

La problematica relativa all’individuazione ed alla destinazione di spazi dedicati ai culti a-cattolici si ripercuote anche sulla giornata del detenuto. La carenza di tali spazi, infatti, è compensata con la celebrazione di preghiere e riti nelle celle, a discapito della funzione socializzante degli stessi.

 

L’art. 27: attività culturali, ricreative e sportive

Il primo comma dell’art. 27 dispone che: «Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo».

Si tratta di una previsione importante per la gestione della giornata del detenuto, deputata alla conservazione dell’identità, grazie all’impiego del tempo in occupazioni che “ricordano” la vita sociale esterna al carcere.

La giornata del detenuto deve essere orientata anche alla conservazione dell’identità psico-fisica, id est, alla prevenzione di vere e proprie “patologie da detenzione”. Come afferma Raffaele Cicotti: “Si possono citare quali effetti le frequenti affezioni gastro-intestinali, le neurosi cardiache, alcune forme di reumatismi, sintomi quali la cefalea, l’insonnia, l’astenia, il respiro sospiroso, le laparestesie, i fenomeni allergici ecc…[8].

Le attività enucleate all’art. 27 dell’Ordinamento penitenziario non devono essere intese come un “mero svago”, bensì come un insieme di opportunità per generare cambiamenti positivi e creare una “cultura delle regole” necessaria per il reinserimento sociale.

Informazioni

Antonucci C., Studia che ti passa, XIV Rapporto sulle condizioni della detenzione, www.antigone.it.

Cicotti R., Le attività culturali, ricreative e sportive nel processo rieducativo dei detenuti, www.rassegnapenitenziaria.it.

Goffman E., Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino, Einaudi, ed. 2010.

Paterniti Martello C., Figli di un dio minore. La libertà di religione in carcere, XIII Rapporto sulle condizione della detenzione, www.antigone.it.

Pellico S., Le mie prigioni, Milano, Mondadori, ed. 1986.

Stinchelli E., La rieducazione del condannato, www.dirittoconsenso.it 22 ottobre 2021.

Tomba C., Il diritto allo studio in regime restrittivo delle libertà, www.dirittopenitenziarioecostituzione.it.

Fonte: La giornata di un detenuto, www.rai.it.

[1] E. Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Torino, Einaudi, ed. 2010.

[2] Ibidem.

[3] E. Stinchelli, La rieducazione del condannato, www.dirittoconsenso.it 22 ottobre 2021.

[4] Fonte: La giornata di un detenuto, www.rai.it.

[5] C. Antonucci, Studia che ti passa, XIV Rapporto sulle condizione della detenzione, www.antigone.it .

[6] C. Tomba, Il diritto allo studio in regime restrittivo delle libertà, www.dirittopenitenziarioecostituzione.it.

[7] C. Paterniti Martello, Figli di un dio minore. La libertà di religione in carcere, XIII Rapporto sulle condizione della detenzione, www.antigone.it

[8] R. Cicotti, Le attività culturali, ricreative e sportive nel processo rieducativo dei detenuti, www.rassegnapenitenziaria.it.