L’estorsione quale fattispecie di reato plurioffensiva prevista e punita dall’art. 629 c.p. all’interno del contesto dottrinale e giurisprudenziale
L’estorsione: classificazioni e premesse
L’estorsione, delitto previsto e punito ai sensi dell’art. 629 c.p., è riconducibile alla condotta illecita di chi, mediante violenza o minaccia, costringendo qualcuno a fare o a omettere qualche cosa, procura a sé o a terzi un ingiusto profitto con altrui danno.
Tradizionalmente, l’estorsione viene classificata come reato contro il patrimonio, in quanto si tende ad esaltare l’ingiusto profitto conseguito dal reo o da terzi il quale, al medesimo tempo, produce un danno patrimoniale per la vittima. Tuttavia, si deve evidenziare che la fattispecie richiede la necessaria cooperazione della persona offesa, la cui volizione e volontà vengono compromesse dalla minaccia e dalla violenza posta in essere. Invero, l’oggetto giuridico del reato è tanto l’inviolabilità del patrimonio quanto la libertà di autodeterminazione della vittima. Pertanto, si tratta di un delitto plurioffensivo.
Ciò posto, chi può essere considerata persona offesa del reato? La dottrina[1] afferma pacificamente che è vittima sia il titolare dell’interesse patrimoniale tutelato ovvero colui che dispone dei beni poi sottratti mediante coazione psicologica. Ci si interroga, però, se soggetto passivo possa essere persona diversa da chi dispone del proprio patrimonio, la quale è, però, destinataria della minaccia e della violenza.
I giudici di legittimità hanno recentemente statuito che:
«integra il delitto di estorsione la condotta dell’agente che rivolga la violenza o la minaccia a persona diversa dal soggetto al quale è richiesto l’atto di disposizione patrimoniale, sempre che la condotta sia idonea ad influire sulla volontà di quest’ultimo»[2].
D’altro lato, il delitto può essere posto in essere da chiunque e, dunque, trattasi di reato comune. Qualora l’estorsione venga commessa da un Pubblico Ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio e si accerti che la costrizione sia avvenuta mediante abuso della propria qualifica o dei propri poteri si configurerà il reato di concussione cui all’art. 317 c.p.
La condotta e l’evento
Il delitto di estorsione si presenta come reato a forma vincolata: la condotta è tipica se l’agente fa uso di violenza o di minaccia.
La nozione di «violenza» è stata oggetto di discussione. Oggi si ammette che tale concetto sia riconducibile a quelle condotte che non sfociano in una violenza assoluta – ciò in quanto la persona offesa deve essere in grado compiere un atto dispositivo del proprio patrimonio –, ma quelle che abbiano una forza intimidatrice in più rispetto alla minaccia.
Tuttavia, la dottrina non concorda nel ricondurre in tale alveo anche la violenza contro le cose. Alcuni autori[3] sostengono che il concetto richiamato dall’art. 629 c.p. si riferisca esclusivamente alla violenza alle persone. Diversamente, la corrente maggioritaria[4] sottolinea che la violenza alle cose può compromettere la volontà della vittima coartando psicologicamente il soggetto.
Quanto alla «minaccia», questa è intesa come la prospettazione di un male ingiusto e futuro, la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente[5]. La minaccia potrà essere esplicita o implicita, palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata purché sia – anche astrattamente – idonea ad intimorire la vittima impedendone la libera autodeterminazione[6].
La minaccia può avere ad oggetto qualsiasi bene tanto di carattere patrimoniale quanto avente rilevanza esclusivamente morale. Siffatto bene può anche essere futuro o non essere nella disponibilità della vittima.
La condotta descritta è finalizzata al verificarsi di due eventi:
- Il primo è costringere qualcuno a fare o a omettere qualche cosa. Ci si trova in presenza del momento di coazione, di compressione della libertà di autodeterminazione che vede la persona offesa costretta a fare o a omettere qualche cosa e – in genere – a disporre dei propri beni.
- Il secondo è procurarsi o procurare ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Se l’ingiusto profitto è stato individuato in qualsiasi vantaggio, il danno è necessariamente patrimoniale[7]. Si ha, ad esempio, nel caso di estorsione cd. contrattuale. Ovvero, a detta della Corte di Cassazione, «quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti; l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto più opportuno»[8].
È altresì ingiusto il danno che deriva dalla condotta con cui l’agente, dopo aver acquisito lecitamente delle immagini sessualmente esplicite, minacciando la donna di diffondere le fotografie, le chieda una cospicua somma di denaro o, in alternativa, prestazioni sessuali[9].
L’elemento soggettivo e il tentativo
Per quanto concerne il profilo dell’elemento soggettivo del reato è necessario sottolineare che il delitto è integrato quando il soggetto agisce con la volontà di arrecare un ingiusto profitto con altrui danno mediante l’uso consapevole della violenza o della minaccia. L’estorsione è, a parere della dottrina maggioritaria e recente[10], fattispecie a dolo generico.
Si approfondisca ora il momento consumativo dell’estorsione. Si riconosce pacificamente che il reato si consuma nell’istante e nel luogo nei quali si verifica tanto l’ingiusto profitto quanto il danno cagionato alla persona offesa.
Tuttavia, la giurisprudenza si è occupata per anni di distinguere tra estorsione consumata e tentata nel caso in cui la vittima si adoperi per allertare le Forze dell’Ordine e cooperi con quest’ultime al fine di trarre in arresto colui che si impossessa momentaneamente del denaro da lei appena consegnato.
Dopo alcune oscillazioni, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate nel 1999 affermando che in siffatto caso si versa nella fattispecie di estorsione consumata. Invero, tale orientamento è stato confermato recentemente da una sentenza dei giudici di legittimità.
Più precisamente, la pronuncia numero 12675 del 20 dicembre 2018 afferma che:
«ricorre il delitto di estorsione consumata e non tentata nel caso di consegna da parte della vittima all’estorsore di una somma di denaro sotto il diretto controllo della polizia giudiziaria, che immediatamente dopo provveda all’arresto del responsabile, in quanto l’adoperarsi della vittima affinché si giunga all’arresto dell’autore della condotta illecita integra una delle molteplici modalità di reazione soggettiva della persona offesa allo stato di costrizione in cui versa, senza eliminarlo»[11].
Le circostanze aggravanti e l’inapplicabilità della circostanza attenuante cui all’art. 649 c.p.
Le circostanze aggravanti applicabili all’estorsione sono previste dal secondo comma dell’art. 629 c.p. La disposizione richiama l’ultimo capoverso dell’art. 628 c.p. – articolo che punisce il reato di rapina – ovvero, per effetto delle modifiche apportate nel 2009, il terzo comma della norma.
In particolare, l’art. 629 comma 2 c.p. commina la pena della reclusione da sette a venti anni e della multa da euro 5.000 a euro 15.000 se:
- la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite;
- la violenza consiste nel porre taluno in stato d’incapacità di volere o di agire;
- la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell’associazione di cui all’articolo 416-bis p.[12];
- il fatto è commesso nei luoghi di cui all’art. 624-bisp. o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
- il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
- il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro;
- il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.
È necessario fare alcune precisazioni in merito alle prime tre circostanze aggravanti. Quanto alla prima, è sufficiente che l’arma venga anche solo esibita, non essendo richiesto che la stessa venga puntata nei confronti della persona offesa. Altresì, per il configurarsi dell’aggravante che il fatto è stato commesso da più persone riunite non è necessario che l’estorsione sia posta in essere in concorso, bastando la percezione della vittima circa la costrizione da più soggetti.
Quanto alla seconda, si ribadisca che lo stato di incapacità di volere o di agire della vittima non deve essere assoluta altrimenti non sarebbe possibile per la stessa compiere l’atto di disposizione necessario per la configurazione dell’estorsione.
Per ciò che concerne la terza, la persona appartenente all’associazione mafiosa non deve necessariamente usare la violenza o la minaccia avvalendosi della forza intimidatrice tipica dell’organizzazione criminale né manifestare di farne parte.
Informazioni
De Giorgio M. – Guagliani M. – Tovani S., I reati contro il patrimonio, Giappichelli, Torino, 2010
[1] Raffaelli R., Delitti contro il patrimonio mediante coazione psicologica della vittima, in I reati contro il patrimonio, a cura di De Giorgio M., Guagliani M., Tovani S., Giappichelli, Torino, 2010, p. 132.
[2] Massima della Cass., pen., sez. II, 11 marzo 2021, sentenza n. 23759, in CED Cassazione, 2021. Il caso di specie prendeva come riferimento la violenza o la minaccia poste in essere nei confronti dell’amministratore di condominio per orientare la decisione dei condomini o dell’assemblea condominiale.
[3] Manzini V., Trattato di diritto penale, 5° ed., vol. IX, Torino, 1984, p. 448 citato da Raffaelli R., op. cit., p. 134.
[4] Fiandaca G. – Musco E., Diritto penale, parte speciale, vol. II, Bologna, 2005, p. 146 citato da Raffaelli R., op. cit., p. 135.
[5] Raffaelli R., op. cit., p. 135.
[6] Fiandaca G. – Musco E., op. cit., p. 150 citato da Raffaelli R., op. cit., p. 135.
[7] A tal proposito si veda la Cass., pen., sez. II, sentenza 11 giugno 2013, n. 37515, in CED Cassazione, 2013, la cui massima statuisce che «in tema di delitto di estorsione, la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui danni si atteggia a ulteriore evento, sicché si ha solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di costringere una persona al “facere” ingiusto».
[8] Cass., pen., sez. VI, sentenza 1° aprile 2021, n. 21319, in Massima redazionale, 2021.
[9] Cass., pen., sez. II, sentenza 14 maggio 2021, n. 25122, in CED Cassazione, 2021.
[10] Così Raffaelli R., op. cit., p. 139.
[11] Cass., pen., sez. II, sentenza 20 dicembre 2018, n. 12675, in CED Cassazione, 2019.
[12] Per un approfondimento circa la disciplina dettata dall’art. 416-bis c.p. si veda l’articolo pubblicato il 7 giugno 2018, reperibile al seguente link http://www.dirittoconsenso.it/2018/06/07/articolo-416bis-codice-penale-italiano/

Serena Ramirez
Ciao, sono Serena. Classe 1996, torinese e di origini sudamericane, laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino. Dai primi anni di studio sono appassionata al diritto penale e, avendo trascorso sei mesi di mobilità all'estero, anche al diritto internazionale. Mi piace descrivermi come una persona determinata, curiosa, tenace e perseverante.