False comunicazioni sociali

Le false comunicazioni sociali

Breve analisi sugli elementi costitutivi del reato di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 c.c.

 

Introduzione al reato di false comunicazioni sociali

Il reato di ‘’false comunicazioni sociali’’ rientra all’interno del diritto penale dell’economia[1] e trova espressa disciplina nell’art. 2621[2] del Codice civile.

La fattispecie, nel corso della sua vita, è stata oggetto di varie riforme sia per ragioni giuridiche, essendo una figura centrale della sistematica penalistica societaria, sia per ragioni di carattere politico.

Quanto al primo motivo, si fa riferimento alla modifica del 1930, volta a modifica l’innocua previsione legislativa del codice di commercio del 1882; quanto al secondo motivo, con la riforma del 2002, vi è stata una volontà di sterilizzazione della maggior parte delle fattispecie penali societarie al fine di poter attenuare le condotte penalmente rilevanti.

Ai fini dell’analisi del reato, bisogna distinguere l’elemento oggettivo da quello soggettivo.

L’elemento oggettivo presenta tre elementi fondamentali: soggetto, condotta ed evento

 

I soggetti

Il reato di ‘’false comunicazioni sociali’’ rientra all’interno dei c.d. reati propri, ossia quei reati che possono essere commessi da soggetti preconfigurati normativamente.

I soggetti, delineati dalla fattispecie, sono:

  • gli amministratori;
  • i direttori generali;
  • i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari;
  • i sindaci;
  • i liquidatori.

 

I soggetti sopracitati devono essere affiancati dai soggetti di fatto, disciplinati dall’art. 2639 c.c., ossia da quei soggetti che, pur non avendo qualifiche formali, pongono in essere in modo continuativo e significativo le condotte tipiche dei soggetti qualificati.

 

La condotta

La condotta prevista dal reato di false comunicazioni sociali è duplice.

Da un lato, si ha la condotta attiva, che si concretizza nell’ipotesi in cui il soggetto agente consapevolmente esponga fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero; dall’altro lato si ha la condotta omissiva, che si concretizza nell’ipotesi in cui il soggetto agente ometta fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene.

Sebbene non si riscontrino particolari dubbi interpretativi riguardanti la condotta attiva, non si può dire lo stesso in merito a quella omissiva.

La condotta omissiva, infatti, si presenta come una condotta commissiva, quindi attiva, mediante omissione, traducendosi in un messaggio ingannevole per i destinatari.

Inoltre, per l’ipotesi omissiva, la punibilità riguarda l’omissione di fatti ‘’la cui comunicazione è imposta dalla legge’’.

È necessario chiedersi se la previsione dell’obbligatorietà della comunicazione riguardi esclusivamente la legge in senso stretto o anche fonti subordinate, come regolamenti o regolamenti delle autorità di vigilanza, come la Consob, o circolari della Banca d’Italia.

Sulla base del principio di legalità, dovrebbe valere la soluzione più restrittiva.

 

Mezzi di realizzazione della condotta: i veicoli tipici del falso

Il reato di false comunicazioni sociali può essere posto in essere attraverso dei mezzi espressamente previsti dalla fattispecie: bilanci, relazioni e comunicazioni sociali.

In merito ai bilanci, oltre a quello ordinario civilistico, si deve considerare anche quello consolidato e straordinario.

In merito alle relazioni, si devono considerare: nota integrativa e relazione sulla gestione, relazione dei sindaci; la relazione prevista dall’art. 2501-ter c.c. riguardante il progetto di fusione; la relazione sul governo societario e gli assetti proprietari (art. 123-bis t.u.f.), la relazione sulla remunerazione (art. 123-ter t.u.f.), le relazioni finanziarie (art. 154-ter t.u.f.) e la relazione sui pagamenti ai governi (art. 154-quater t.u.f.).

Per le comunicazioni sociali, la fattispecie prevede la rilevanza penale della falsità contenute nelle comunicazioni previste dalla legge. Sono escluse, pertanto, ad esempio, dichiarazioni orali degli amministratori.

 

Fatti materiali e fatti rilevanti

Una questione controversa, in merito all’analisi della fattispecie, è quella riguardante l’espressione “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero’’.

Nel corso degli ultimi anni, si è discusso in merito all’attuale formulazione, che, rispetto alla precedente[3], non prevede l’inciso ‘’ancorché oggetto di valutazioni’’.

Si deve dunque capire se la rilevanza penale può essere estesa alle valutazioni.

La questione ha visto un contrasto giurisprudenziale di legittimità, in cui venivano evidenziate due opinioni diametralmente opposte.

In un primo momento, la Suprema Corte ha escluso la rilevanza penale delle valutazioni, basandosi sul testo normativo; in un secondo momento, invece, ha riconosciuto la rilevanza penale delle valutazioni, sottolineando come il bilancio non rappresenta una mera rappresentazione matematica societaria, ma sia frutto di valutazioni.

Il contrasto è stato risolto dalla stessa Corte a Sezioni Unite con la Sentenza Passarelli[4], con la quale è stato enunciato il seguente principio di diritto: ‘’sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni’’.

 

L’idoneità a indurre in errore

In via generale, i reati di falso non sono mai fini a sé stessi.

Un soggetto, che pone in essere una condotta penalmente rilevante in tema di falso, persegue un obiettivo ultimo.

I reati di falso si presentano come mezzo per raggiungere fini che, in altri modi, non sarebbero, o sarebbero difficilmente, perseguibili.

La falsità, dunque, deve essere idonea a questo scopo e deve riguardare elementi essenziali per l’assunzione di azioni economiche razionalmente efficienti.

 

I destinatari

Un altro elemento fondamentale della fattispecie concerne i destinatari.

Il discorso riguardante la valutazione e l’idoneità sarebbe inconsistente se non si considerassero i destinatari della comunicazione.

Il dettato normativo presenta il termine “altri”. Non si deve, però, adottare un’interpretazione estensiva e generica del termine.

I destinatari, infatti, devono essere soggetti caratterizzati da conoscenze e competenze in ambito societario e, più in generale, economico.

 

L’evento

Il reato di false comunicazioni sociali è un reato di pericolo concreto, quindi, non è richiesto l’effettivo verificarsi di un danno nei confronti dei soggetti passivi.

La fattispecie si consuma nel momento e nel luogo in cui le comunicazioni sociali vengono portate a conoscenza dei destinatari.

 

L’elemento soggettivo

L’elemento soggettivo del reato di false comunicazioni sociali è il dolo.

Si presentano tre tipologie di dolo: dolo generico, dolo intenzionale e dolo specifico.

Il dolo generico consiste nella consapevole esposizione o omissione di fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, la cui comunicazione è imposta dalla legge. Il dolo generico richiede dunque la volizione e rappresentazione delle condotte previste dalla fattispecie in esame.

Il dolo intenzionale, invece, è rappresentato dall’avverbio ”consapevolmente” ed esclude la configurazione del dolo eventuale, ma non quello del dolo diretto.

Il dolo specifico, infine, è rappresentato dall’espressione ‘’conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto’’.

 

2621-bis e 2621-ter

La L. 69/2015, con cui è stato riformato il reato di ‘’false comunicazioni sociali’’, ha introdotto due novità fondamentali:

  1. i fatti di lieve entità, di cui all’art. 2621-bis, e
  2. la particolare tenuità, di cui all’art. 2621-

 

2621-bis: i fatti di lieve entità

In merito ai fatti di lieve entità bisogna considerare una questione di natura interpretativa. La disposizione, infatti, potrebbe essere letta sia come fattispecie autonoma che come circostanza attenuante.

Se si considerassero i fatti di lieve entità come circostanze attenuanti, vi potrebbe essere un bilanciamento, eventualmente, con altre circostanze aggravanti; se si considerasse, invece, fattispecie autonoma, il bilanciamento non sarebbe possibile.

La soluzione più accreditata è quella volta a ricondurre i fatti di lieve entità come circostanze attenuanti, in quanto il testo normativo nulla aggiunge e nulla toglie al reato di cui all’art. 2621 c.c., limitandosi a prevedere una diminuzione della risposta sanzionatoria per i fatti di lieve entità.

Bisogna considerare, inoltre, che lo stesso legislatore, quando utilizza l’espressione ‘’fatti di lieve entità’’, o similari, fa riferimento a delle circostanze attenuanti. Si pensi, ad esempio, alla ‘’tenuità del danno’’, circostanza attenuante dei reati contro il patrimonio.

 

2621-ter: la particolare tenuità

Anche la particolare tenuità presenta dubbi di carattere interpretativo.

La disposizione afferma: “Ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis del codice penale, il giudice valuta, in modo prevalente, l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori conseguente ai fatti di cui agli articoli 2621 e 2621-bis”.

 

L’art. 131-bis c.p., espressamente menzionato nella disposizione concernente la particolare tenuità in relazione agli articoli 2621 e 2621-bis c.c., disciplina le cause di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ossia quelle condotte che, nonostante integrano una fattispecie di reato, non vengono punite sia per la scarsa lesione nei confronti del bene giuridico che per ragioni di natura economico-processuale.

Ci si è chiesti se l’art. 131-bis c.p. dovesse essere considerato come causa di non punibilità o condizione di procedibilità.

L’orientamento dominante, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, colloca l’art. 131-bis c.p. nelle cause di non punibilità in senso stretto.

 

Rapporto tra 2621 c.c. e 2622 c.c.

Significativo è il rapporto che intercorre tra il reato di ‘’false comunicazioni sociali’’, di cui all’art. 2621 c.c. e il reato di ‘’false comunicazioni sociali delle società quotate’’.

Di seguito alcune differenze:

  • il reato di cui all’art. 2622 c.c. si applica alle società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea. A queste si aggiungono: 1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione Europea; 2)  le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano; 3)  le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione Europea; 4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono;
  • la risposta sanzionatoria, prevista dall’art. 2622 c.c., è più elevata rispetto a quella prevista dall’art. 2621 c.c.: per il reato di cui all’art. 2622 c.c. è prevista la reclusione dai tre agli otto anni; per il reato di cui all’art. 2621 c.c. è prevista la reclusione da uno a cinque anni:
  • Nell’art. 2622 c.c., non compare, tra i veicoli tipici attraverso i quali può essere posta in essere la condotta, il fatto che ‘’le comunicazioni sociali’’ debbano essere previste dalla legge; né che i “fatti materiali” oggetto della condotta attiva di falso siano “rilevanti”.

Informazioni

Alessandri A. Reati in materia economica. Seconda ed., Torino, G. Giappichelli Editore, 2017.

https://www.giurisprudenzapenale.com/2016/05/27/falso-in-bilancio-e-valutazioni-depositata-la-sentenza-delle-sezioni-unite/.

Antolisei F. Manuale di diritto penale. Leggi complementari. A cura di Carlo Federico Grosso, quindicesima ed., Torino, Giuffrè, 2018.

https://www.iusinitinere.it/falso-bilancio-riforma-ed-evoluzioni-giurisprudenziali-2979.

http://www.dirittoconsenso.it/2021/10/04/introduzione-al-diritto-penale-societario/.

[1] Per avere una visione generale della sistematica penalistica societaria, rimando all’articolo: http://www.dirittoconsenso.it/2021/10/04/introduzione-al-diritto-penale-societario/

[2] Il testo attuale del reato di ‘’false comunicazioni sociali’’, di cui all’art. 2621 c.c., recita: ‘’Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.

La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

[3] Si veda il testo del reato di ‘’false comunicazioni sociali’’ introdotto con il D.lgs 61/2002.

[4] Cassazione Penale, Sezioni Unite, 27 maggio 2016 (ud. 31 marzo 2016), n. 22474