La responsabilità da circolazione dei veicoli nel diritto italiano
La responsabilità per la circolazione dei veicoli: dalle linee di fondo ai casi particolari
Introduzione
Nonostante il boom del mercato automobilistico si sarebbe avuto solo negli anni successivi, il legislatore del ‘42 inserì nel Codice Civile un articolo che si sarebbe dimostrato versatile e capace di resistere anche alla prova del tempo. L’art. 2054 è l’articolo che regola la responsabilità per la circolazione dei veicoli senza guida di rotaie e la responsabilità del conducente; procediamo ad una sua disamina.
Linee di fondo della responsabilità da circolazione dei veicoli
Il conducente verserà in un regime di responsabilità oggettiva, prescindendosi così dalla sua eventuale colpa o dolo, ed obbligandolo a risarcire il danno se egli non dimostri di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. (art. 2054 c. 1)
La prova liberatoria è la prova diretta ad escludere il rapporto di causalità fra la circolazione del veicolo ed il danno, se il conducente dimostri di aver fatto tutto il possibile per evitarlo, si deve concludere che il danno era inevitabile, e che per tanto egli non lo ha cagionato.
Secondo la giurisprudenza però la semplice prova critica dell’assenza del rapporto di causalità non è sufficiente, necessaria invece è la prova storica dell’evento interruttivo del rapporto causale ovverosia la prova del: fatto del danneggiato o la prova del caso fortuito.
Casi particolari di responsabilità da circolazione dei veicoli
In relazione all’ipotesi di fatto del danneggiato, nel caso di investimento del pedone il conducente andrà esente da responsabilità: “In caso di scontro di un veicolo con un pedone il danno non è imputabile (del tutto o in parte) al conducente non semplicemente quando abbia concorso a cagionarlo (in tutto o in parte) il pedone, ma anche quando la condotta di quest’ultimo, pur se colpevole, non era prevedibile al punto da impedire al conducente di evitare l’investimento. Qualora la situazione di pericolo è di tale evidenza da poter essere superata con l’uso della normale diligenza, non deve essere ritenuto responsabile dell’incidente chi ha posto in essere la situazione di pericolo. In sostanza, l’incidenza della condotta del danneggiato va misurata sullo standard di diligenza imposta al danneggiante. Se costui si libera dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, vuol dire che non è sufficiente la dimostrazione che il pedone era in una qualche misura in colpa, e comunque risulta che il danno era evitabile da parte del conducente. Può apparire una regola che agevola gli imprudenti, ma scopo della responsabilità non è imporre una morale quanto prevenire gli incidenti. Dunque, il rapporto tra l’art. 2054 c.c. e l’art. 1227 c.c. è nel senso che la prevenzione è affidata, prevalentemente, al conducente, il quale è esente solo davanti a comportamenti imprevedibili del pedone, non solo colposi, ma, per l’appunto, imprevedibili e inevitabili. Ciò detto, se è vero che l’accertamento di questa imprevedibile condotta del pedone è un accertamento di fatto, è altresì vero che esso va condotto secondo le regole suddette, e tenendo conto del rapporto tra le due norme, come sopra illustrato.”[1].
Per ipotesi di caso fortuito che esentano il conducente dalla responsabilità da circolazione dei veicoli, si può pensare, non limitatamente al malore del conducente per malattie non a lui note, allo slittamento, all’abbattimento di un albero, ecc.…
Allo stesso modo il conducente di un veicolo coinvolto in uno scontro tra veicoli, secondo la regola dell’art. 2054 c. 2: “Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli.”.
Il conducente del veicolo si libererà dalla responsabilità dando la prova, non solo di essersi uniformato alle norme della circolazione stradale, ma anche dell’infruttuoso esperimento di una manovra di emergenza, come asserito in una pronuncia della corte d’appello di Genova[2].
Vi è inoltre a carico del conducente che causi un tamponamento la presunzione di responsabilità da circolazione dei veicoli, per mancato rispetto delle distanze di sicurezza. Il conducente deve sempre trovarsi nelle condizioni di poter arrestare il veicolo tempestivamente, dovendo egli dimostrare che il mancato arresto e la susseguente collisione sono dovuti, in tutto o in parte, da causa a lui non imputabile, non operando in suo favore la presunzione di pari responsabilità di cui al art. 2054 c. 2. Come anche stabilito in una pronuncia della Corte di Cassazione: “Ai sensi dell’art. 149, comma 1, del d.lgs. n. 285 del 1992, il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l’arresto tempestivo dello stesso, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l’avvenuto tamponamento pone a carico del conducente medesimo una presunzione “de facto” di inosservanza della distanza di sicurezza [….]”[3].
A dover risarcire il danno sarà obbligato in solido con il conducente, anche il proprietario del veicolo, salvo che egli dia la prova della sua assenza di volontà nella circolazione del veicolo, così come stabilito dall’art. 2054 c. 3: “Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.”.
In alternativa il proprietario potrà dare la prova che il conducente non è responsabile a norma dell’art. 2054 c. 2 o a norma dell’art. 2046.
In relazione alla prova della mancanza di volontà del proprietario nella circolazione del veicolo, per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente che egli provi che la circolazione è avvenuta senza il suo permesso, ma egli dovrà provare che tale circolazione è avvenuta nonostante la sua espressa volontà contraria. Tale prova è spesso difficile da fornire avendo, alcuni giudici in passato condannato il proprietario a risarcire i danni causati dal ladro quando vi fossero le chiavi inserite ed anche quando l’auto lasciata ermeticamente chiusa aveva ancora al suo interno il libretto di circolazione.
La volontà contraria alla circolazione è ulteriormente desumibile da un titolo contrario con cui la detenzione del mezzo è affidata dal propietario ad un terzo.
È ulteriormente desumibile da un patto contrattuale contrario che prevenga il detentore dall’suo del mezzo[4].
Responsabilità per trasporto del terzo
Anche il terzo trasportato, a qualunque titolo potrà invocare l’art. 2054 nei confronti del conducente e del proprietario del veicolo, quest’ultimo obbligato in solido con il conducente al fine di garantire il risarcimento al danneggiato[5].
Del danno subito dal terzo risponde la compagnia di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro, a norma dell’Art. 141 codice delle assicurazioni private) ed in tal senso: “Ai sensi dell’art. 141 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, la persona trasportata può avvalersi dell’azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazioni del veicolo sul quale viaggiava al momento del sinistro soltanto se in quest’ultimo siano rimasti coinvolti, pur in mancanza di un urto materiale, ulteriori veicoli. (Nella fattispecie, la S.C. ha escluso l’azione diretta del terzo trasportato a bordo di un motoveicolo che aveva subito una brusca caduta al suolo).”[6].
Il terzo trasportato avrà diritto al risarcimento da parte dell’assicurazione quantunque la circolazione sia avvenuta in maniera illegale, ed il terzo senza colpa ignorava tale circostanza[7].
Al quarto comma dell’articolo 2054 viene stabilito che: “In ogni caso le persone indicate dai commi precedenti sono responsabili dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.”
In tal caso non è ammessa alcuna prova liberatoria, la responsabilità non è qui comminata a seguito della violazione di una norma di comportamento, ma è finalizzata ad indurre il proprietario o il conducente a mantenere il massimo controllo sulle condizioni di sicurezza.
In ogni caso con la responsabilità di conducente o proprietario concorre la responsabilità solidale del produttore per derivante da vizi di costruzione, dandosi la possibilità di agire in regresso nei confronti del produttore o del riparatore.
Conclusioni
In conclusione la responsabilità da circolazione dei veicoli presenta innumerevoli sfaccettature e complessità, soprattutto dal punto di vista della prova liberatoria, che come si è avuto modo di notare è spesso una prova diabolica. Non bastano in alcune circostanze l’assenza di colpa del danneggiante essendo anche richiesta l’imprevedibilità della condotta del danneggiato.
Non è da escludere tuttavia che in un non lontano futuro, l’attuale assetto della responsabilità per la circolazione di veicoli privi di guida di rotaie possa essere drasticamente cambiato dall’innovazione tecnologica ed in particolare grazie all’apporto dato dall’intelligenza artificiale nel campo della guida autonoma[8].
Informazioni
F. GALGANO I Fatti illeciti in Corso di diritto Civile, Torino, Cedam 2008 p. 135
Cass. Civ. sez. III 28 febbraio 2020 n.5627
Appello Genova sez. II 2 maggio 2019 n.600
Cass. Civ. Sez. III 31 maggio 2017 n.13703
Cass. Civ.Sez. III 22 agosto 2007 n.17848
Cass. Civ. sez. III 08 ottobre 2019 n.25033
Cass. Civ. sez. III 09 maggio 2019 n.12231
Andrea Palmiero – “Guida Autonoma: tra progresso e profili di Responsabilità” in DirittoConsenso http://www.dirittoconsenso.it/2021/05/14/guida-autonoma-tra-progresso-e-profili-di-responsabilita/
[1] Cass. Civ. sez. III 28 febbraio 2020 n.5627
[2] Appello Genova sez. II 2 maggio 2019 n.600
“In caso di scontro tra veicoli l’accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti – anche per avere commesso una violazione grave del Codice della Strada – non comporta di per sé il superamento della presunzione di colpa concorrente dell’altro, che deve comunque cooperare e fare tutto il possibile per evitare l’incidente. All’uopo il conducente del veicolo coinvolto nell’incidente, per andare esente da responsabilità, deve fornire la prova liberatoria, ovvero non solo la dimostrazione di essersi uniformato – da parte sua – alle norme della circolazione, ma anche di avere tentato una manovra di emergenza – anche se infruttuosa – per evitare il sinistro. Salvo il caso in cui una qualsiasi manovra di emergenza astrattamente idonea ad evitare l’incidente sia concretamente impossibile”.
[3] Cass. Civ. Sez. III 31 maggio 2017 n.13703
“Ai sensi dell’art. 149, comma 1, del d.lgs. n. 285 del 1992, il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l’arresto tempestivo dello stesso, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l’avvenuto tamponamento pone a carico del conducente medesimo una presunzione “de facto” di inosservanza della distanza di sicurezza; ne consegue che, esclusa l’applicabilità della presunzione di pari colpa di cui all’art. 2054, comma 2, c.c., egli resta gravato dall’onere di fornire la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto del mezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili.”
[4] F. GALGANO I Fatti illeciti in Corso di diritto Civile, Torino, Cedam 2008 p. 135
[5] Cass. Civ.Sez. III 22 Agosto 2007 n.17848
” In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 c.c. esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni e, quindi, anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale, oneroso o gratuito. Da ciò consegue che il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione citata per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma 3 per far valere quella solidale del proprietario che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno. Ai fini dell’affermazione della responsabilità solidale del proprietario, ai sensi del citato comma 3 dell’art. 2054, è irrilevante che quella del conducente sia riconosciuta in via presuntiva, ai sensi dei primi due commi dell’art. 2054, ovvero sulla base di un accertamento in concreto della colpa, ai sensi dell’art. 2043 c.c., giacché l’estensione della responsabilità al proprietario mira a soddisfare l’esigenza di carattere generale di garantire il risarcimento del danno al danneggiato.”
[6] Cass. Civ. sez. III 08 ottobre 2019 n.25033
[7] Cass. Civ. sez. III 09 maggio 2019 n.12231
[8] Come trattato da Andrea Palmiero – “Guida Autonoma: tra progresso e profili di Responsabilità” in DirittoConsenso http://www.dirittoconsenso.it/2021/05/14/guida-autonoma-tra-progresso-e-profili-di-responsabilita/
L'IVA: presupposti e meccanismi di funzionamento
L’IVA, cioè l’Imposta sul Valore Aggiunto, tra natura e presupposti del tributo e modelli di attuazione
Introduzione
L’IVA, ovvero l’Imposta sul Valore Aggiunto, è una delle imposte che forse incontriamo più spesso nella nostra vita, da quando andiamo a fare la spesa a quando compriamo una casa.
Ma vediamo in pratica cos’è e come funziona questa imposta introdotta sulla scorta di direttive comunitarie, con DPR 633 del 1972, rientrante nella categoria delle imposte indirette sui consumi[1].
Cenni generali sull’IVA
L’art. 1 del DPR 633 fornisce la definizione degli elementi essenziali dell’imposta: “L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate”.
Da tale definizione di possono ricavare i 3 presupposti dell’IVA:
- Presupposto Oggettivo (cessioni di beni e prestazioni di servizi).
- Presupposto Soggettivo (nell’esercizio di imprese o arti e professioni).
- Presupposto Territoriale (effettuate nel territorio dello stato).
Inoltre l’IVA si applica sulle importazioni di beni da chiunque effettuate ed agli acquisti intracomunitari di beni.Il soggetto attivo del rapporto tributario, ovvero colui a favore del quale l’IVA è versata, è lo stato Italiano, che versa però una parte del gettito all’Unione Europea.
Passiamo ora ad analizzare nel dettaglio i presupposti riportati sopra.
Presupposti dell’IVA
Presupposto oggettivo
Il presupposto oggettivo dato dalla cessione di beni, prestazioni di servizi; importazioni; acquisizioni intracomunitarie, viene ulteriormente specificato nei caratteri che lo compongono, nell’art. 2 e 3 del medesimo DPR.
L’art.2 c.1 definisce la cessione di beni come: “Costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere.”.
Considerandosi ai fini della cessione di beni non solo i negozi di diritto privato ad essa deputati ma tutti gli atti giuridici aventi il medesimo effetto. Inoltre, la nozione di bene, ai fini della cessione, viene fatta coincidere con quella civilistica, così inglobando in essa tutti beni sia mobili che immobili, con la sola esclusione dei beni immateriali[2]. L’art. 2 prosegue tuttavia elencando una serie di fattispecie che nonostante non rientrino nel suo campo di applicazione, vi vengono inserite per assimilazione, così come una serie di fattispecie che da esso vengono escluse.
L’art. 3 c.1 definisce invece la cessione di servizi come: “Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo […]”. Sono quindi incluse tutte le prestazioni di servizio avverso corrispettivo dipendenti da un fare, un non fare ed un permettere quale che ne sia la fonte. Anche l’art. 3 effettua assimilazioni ed esclusioni.
Presupposto soggettivo
Soggetti passivi IVA sono coloro che pongono in essere la cessione del bene o la prestazione del servizio nell’ambito di un’attività imprenditoriale o professionale. Il presupposto soggettivo è definito sulla base dei concetti di:
- esercizio di impresa;
- esercizio di arti e professioni.
L’art. 4 fornisce la definizione di esercizio di impresa[3] sancendo la rilevanza ai fini IVA dell’attività agricola oltre a quella commerciale. Si deve però sottolineare che l’art. 4 esclude dal presupposto le società la cui attività si risolve nella mera gestione passiva di immobili e di partecipazioni finanziarie. Tutto ciò è stato fatto per evitare fenomeni elusivi legati alla detenzione statica di patrimoni attraverso strutture societarie. Anche gli enti pubblici realizzano tale presupposto quando agiscono in regime privatistico.
Per quanto concerne l’esercizio di arti e professioni, l’art. 5 lo definisce come: “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata delle attività stesse.”.
Presupposto territoriale
Gli art. 7 e ss. del DPR definiscono il presupposto territoriale nella realizzazione delle operazioni all’interno del territorio dello Stato italiano. Vi sono tuttavia regole specifiche per alcune fattispecie, come ad esempio per la cessione di beni, per cui la territorialità è definita dalla esistenza fisica nel territorio dello stato del bene nel momento in cui le operazioni sono effettuate. Con la precisazione che per beni mobili si deve trattare di beni:
- prodotti in Italia o il cui perfezionamento sia avvenuto in Italia;
- definitivamente importati;
- prodotti in altro stato UE.
Le prestazioni di servizio invece si considerano effettuate in Italia se rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello stato[4] (operazioni Buyer To Buyer – B2B), o resi a committenti non soggetti passivi da operatori economici stabiliti nello stato (operazioni Buyer To Consumer – B2C).
Nascita dell’obbligazione tributaria, aliquota e base imponibile
È a tal punto importante individuare il momento di esigibilità dell’imposta in cui una cessione e una prestazione si considerano effettuate e l’imposta si rende dovuta. In questo momento inoltre sorge per l’operatore economico il diritto di detrazione (vedi infra) sull’acquisto effettuato.
In termini generali e salvo disposizioni specifiche:
- Per le cessioni che hanno ad oggetto beni immobili si fa riferimento alla data di stipula dell’atto.
- Per quelle che hanno ad oggetto beni mobili si considera la data di consegna o spedizione del bene.
- Per le prestazioni di servizi rileva il momento del pagamento del corrispettivo.
Tuttavia occorre osservare che l’obligazione tributaria sorgerà anticipatamente nel caso in cui venga pagato il corrispettivo (anche solo in parte) o venga emessa la fattura, per la parte di importo pagato o fatturato.
Secondo l’Art. 13 del DPR 633/72 la base imponibile secondo la regola generale è data dall’ammontare complessivo dei corrispettivi secondo le condizioni contrattuali. Tuttavia, tale regola è derogabile in alcune circostanze, in ossequio alla normativa comunitaria[5], dovendosi in alcune circostanze riferirsi al valore normale del bene o del servizio come stabilito dall’art. 14[6].
L’aliquota IVA ordinaria è prevista nella misura del 22%, alla quale il legislatore ha però aggiunto altre 2 aliquote per particolari tipi di operazioni[7].
In particolare:
- Aliquota “Minima” del 4% prevista per esempio nel caso di acquisto di prima casa.
- Aliquota “Ridotta” del 10% prevista per esempio per determinate operazioni edili.
La rivalsa, tra reverse change e split payment
Il particolare meccanismo di attuazione del tributo si fonda su due situazioni giuridiche soggettive ovvero: la rivalsa e la detrazione. La rivalsa consente la traslazione giuridica dell’IVA in capo ad un soggetto diverso da parte del soggetto tenuto ad adempierla[8].
L’art. 18 dispone che l’operatore economico che effettui le cessioni di beni o la prestazione di servizi deve addebitare la relativa imposta al cessionario o committente. La traslazione giuridica deve essere evidenziata in fattura, nel senso della necessaria indicazione dell’importo addebitato a titolo di rivalsa.
La legge, onde rinforzarne l’effettività, stabilisce la nullità di ogni patto contrario, inteso ad eludere il meccanismo della rivalsa. Tuttavia, in talune fattispecie il sistema di translazione mediante rivalsa viene sostituito dal legisltaore con altri metodi, quali ad esempio il reverse charge e lo split payment.
Con il metodo del reverse charge l’obbligo di versare il tributo sorge in capo al cessionario/committente (ovvero il cliente). Questo da un punto di vista applicativo può avvenire in due modi:
- emissione di autofattura da parte del cessionario/committente.·
- emissione della fattura da parte del cedente/prestatore che è integrata da parte dell’acquirente o committente.
Un esempio di applicazione del sistema reverse charge può essere individuato ai sensi dell’art.17 nel settore edile dove è obbligatorio ricorrere all’inversione contabile per servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relativi ad edifici.
Con il metodo dello split payment, introdotto per ridurre le frodi in tema di IVA, i fornitori di determinati soggetti (in particolare pubbliche amministrazioni) ritenute particolarmente affidabili, sono tenute a scindere i pagamenti, evidenziando in fattura l’IVA dovuta, ma non incassandola, lasciando all’amministrazione il versamento del tributo.
La detrazione
L’art.19[9] prevede il diritto di detrazione, diritto riconosciuto all’operatore economico di detrarre dall’imposta da lui dovuta, l’imposta precedentemente assolta sulle operazioni economiche effettuate o derivanti da addebiti a titolo di rivalsa da parte di altro operatore economico.
L’opera combinata del meccanismo della detrazione e della rivalsa consente di rendere l’operatore economico (colui che esercita l’attività di impresa, l’arte o la professione) trasparente ovvero non inciso dal tributo, lasciando invece inciso il consumatore finale che non può avvalersi di alcuno dei suddetti meccanismi.
Operazioni imponibili, non imponibili ed esenti
Nel campo operativo del tributo si trovano varie tipologie di operazioni, esse si distinguono in:·
- Operazioni imponibili: Sono le operazioni che determinano il sorgere del tributo e degli obblighi formali ad essa collegate. Per tali tipi di operazioni la legge prevede il funzionamento a pieno del meccanismo di detrazione dell’IVA assolta in relazione agli acquisti svolti. Rientrano in questa categoria tutte le operazioni che soddisfano il requisito territoriale, soggettivo e oggettivo per il quale il legislatore non preveda diversamente.
- Operazioni non imponibili: Non determinano il sorgere dell’obbligazione tributaria ma determinano comunque il sorgere di tutti gli obblighi formali ad essa collegate (registrazione, fatturazione, dichiarazione). Stante la mancanza applicazione del tributo è, ciò nonostante, prevista la detrazione integrale dell’IVA assolta per l’acquisizione di quel determinato bene o servizio da parte dell’operatore economico o prestatore di servizio. Tali operazioni sono espressamente previste dal legislatore come nel caso di operazioni di esportazione. In tale tipo di operazioni nel il consumatore finale né l’operatore economico sono incisi dal peso economico del tributo, non essendo al primo addebitato nulla a titolo di rivalsa, ed avvalendosi del meccanismo della detrazione per l’IVA già assolta, il secondo. Rientrano per esempio in questa categoria le esportazioni.
- Operazioni esenti: Non determinano la nascita dell’obbligazione tributaria essendo anche esse assoggettate agli obblighi formali. A differenza delle operazioni non imponibili in queste tuttavia è escluso o limitato il diritto di detrazione per il soggetto passivo relativamente all’IVA già assolta nelle operazioni di acquisto. Rientrano in questa categoria, come le precedenti, le operazioni che integrano i requisiti territoriali, soggettivi ed oggettivi, ma che per scelta legislativa vengono fatti rientrare in questa categoria. Ciò comporta un trasferimento del tributo che non inciderà più il consumatore finale, ma l’operatore economico. Sono incluse in questa categoria per esempio le prestazioni medico sanitarie, e le attività educativo culturali.
Conclusioni
In conclusione, l’IVA è uno dei tributi più importanti del nostro sistema tributario, la cui applicazione è estremamente complessa dovendo rispondere a molteplici esigenze di politica legislativa.
Informazioni
DPR 633/1972
Manuale di diritto tributario, A. Carini – T. Tassani, Terza edizione, 2020
Direttiva 2006/112/CE
[1] Come trattato da Andrea Palmiero in “La capacità contributiva” in DirittoConsenso. Link: http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/30/capacita-contributiva .
[2] Sono beni immateriali quei beni che non hanno materialità corporea e non sono quindi percepibili dai sensi umani; sono beni immateriali ad esempio le opere dell’ingegno e le invenzioni.
[3] Per esercizio di imprese si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma d’impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile.
[4] Bisogna ricordare che Si considera residente in Italia il soggetto che ha nel territorio dello stato: residenza, domicilio, stabile organizzazione, sebbene residente o domiciliato all’estero.
[5] Direttiva 2006/112/CE
[6] Dpr. 633/1972
[7] Tabella A allegata al dpr. 633/1972
[8] Per esempio nel caso di acquisto di un bene da parte di un consumatore finale, colui che sarà tenuto a versare il tributo sarà l’operatore economico che tuttavia addebiterà tale costo, a titolo di rivalsa al consumatore finale, realizzando una traslazione del tributo.
[9] Art. 19 c.1 “Per la determinazione dell’imposta dovuta a norma del primo comma dell’articolo 17 o dell’eccedenza di cui al secondo comma dell’articolo 30, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione. Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile ed è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’ anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo.”
Guida autonoma: tra progresso e profili di responsabilità
La guida autonoma di veicoli tra sviluppi tecnologici e profili di responsabilità nazionali ed internazionali
Introduzione
L’automobile, uno dei mezzi che ha rivoluzionato il mondo ed ha completamente trasformato il modo in cui concepiamo le distanze, fu inventata nel 1769 da Cugnat, ma raggiunse le masse solo con la model T di Ford. Gli sviluppi tecnici da allora sono stati innumerevoli e costanti, spesso riflettendosi in vere e proprie sfide all’ordinamento giuridico che ne regola i regimi di utilizzo e di responsabilità. Ultima frontiera dell’innovazione tecnologica è attualmente rappresentata dai sistemi a guida autonoma o semi autonoma, che hanno posto qualche interrogativo sui regimi di responsabilità ad essi applicabili, questioni che cercheremo di sciogliere di seguito.
Attuale quadro normativo per la auto a guida autonoma in Italia
Uno dei primi ostacoli normativi che si incontrano è dato dall’art. 46 codice della strada (d’ora in avanti CdS) che al comma 1 stabilisce:
“Ai fini delle norme del presente codice, si intendono per veicoli tutte le macchine di qualsiasi specie, che circolano sulle strade guidate dall’uomo.”
Ora sorge il problema di intendersi su cosa ci si riferisca con il concetto di “guidatore umano”, potendosi adottare un’interpretazione in senso ampio nella quale il veicolo integra in sé la capacità di guida autonoma, trasferendo al guidatore umano la responsabilità di supervisionare il sistema e di intervenire nelle situazioni critiche, di pericolo o quando richiesto.
Anche se nel caso di intervento da parte dell’uomo bisognerebbe garantirgli un congruo preavviso per poter reagire, senza repentini cambi di regime di governo del veicolo stesso, così come anche stabilito nella relazione alla riforma del codice della strada tedesco[1].
A questa interpretazione estensiva della figura del guidatore sembra però ostare l’art. 115 CdS il quale stabilisce requisiti di età e fisici per il guidatore.
Di ulteriore ostacolo alla guida totalmente autonoma nel vigente quadro normativo è l’art. 1 c. 2 CdS che stabilisce: “La circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali sulle strade è regolata dalle norme del presente codice e dai provvedimenti emanati in applicazione di esse, nel rispetto delle normative internazionali e comunitarie in materia”, il riferimento alla normativa internazionale sembra fare eco agli Art. 8 e 13 della Convenzione di Vienna[2], lasciando come unica via percorribile, in assenza di una normazione ad hoc, quella messa in campo dalla Germania, in cui al guidatore si deve dare la possibilità di:
- poter disinserire in ogni momento il sistema e riacquisire il controllo;
- porli sotto il controllo attento del guidatore, che ne monitora il funzionamento e le condizioni del traffico.
L’Italia ha tuttavia iniziato il processo di aggiornamento della propria regolamentazione con la legge di bilancio per l’anno 2018[3] che prevedeva lo stanziamento di milioni di euro per la costruzione di smart roads e per l’avvio della guida autonoma e connessa.
Tale legge ha posto le basi per l’emanazione del decreto ministeriale n. 90[4], il quale stabilisce agli art. 1-9 le norme per la conversione/creazione di strade secondo il nuovo tipo delle smart roads, e agli art. 9-20 detta le norme per la sperimentazione dei veicoli su strada[5].
Quadro normativo estero: cosa prevedono Francia e Germania
Nonostante nel complesso della normativa internazionale ed europea si possano riscontrare varie aperture, si riscontra tuttavia la necessità negli stati nazionali di aggiornare la propria disciplina interna, ed in tal senso già vari stati hanno iniziato un processo di adattamento della disciplina per accogliere l’auto a guida autonoma, tra cui: Francia, Germania, Regno Unito, Svezia e Stati Uniti, noi ci focalizzeremo sui primi due.
In Francia un provvedimento con data 3 agosto 2016 ha avviato la regolamentazione della sperimentazione dei veicoli automatizzati su strade pubbliche. Inoltre nel febbraio 2017 è stato pubblicato dall’Ispettorato Generale un documento che programma un’azione coordinata al livello governativo, amministrativo e negoziati internazionali al fine di dare impulso allo sviluppo tecnologico e giuridico così da facilitare l’ingresso dell’auto a guida autonoma nel mercato.
Per quanto concerne il quadro legislativo francese la Francia ritiene che l’attuale quadro in materia di responsabilità civile sia sufficientemente flessibile per potersi adattare alle modifiche, mentre nella legislazione penale sarà richiesto qualche ulteriore adattamento[6].
Per quanto riguarda la Germania, il paese Europeo attualmente più avanzato nel settore, nel 2012 fu pubblicato un rapporto dall’Highway Research Institute[7] che affermava come compatibili determinati livelli di guida autonoma, ma non il livello completamento autonomo che si poneva in contrasto con il quadro legislativo tedesco, ed in particolare con 2 disposizioni del codice della strada tedesco. In particolare, all’Art. 1 del codice della strada tedesco si stabilisce che è richiesta espressamente attenzione e costante rispetto tra i guidatori, mentre alla successiva sezione 18 stabilisce che Il guidatore è tenuto a risarcire il danno scaturente dall’incidente a meno che non si dimostri non essere imputabile a sua colpa. Tale ultima prescrizione sarebbe difficilmente integrabile in un sistema a guida totalmente autonoma in cui il guidatore è legittimato a non prestare attenzione alla guida.
In ultimo nel maggio 2017 la Germania ha ufficialmente approvato una legge che consente i test di auto a guida autonoma sulle strade pubbliche.
Tale legge prevede però alcune condizioni per l’esperimento dei test tra cui:
- La presenza nel veicolo di un sistema di registrazione dei parametri di funzionamento dello stesso.
- La presenza di un operatore sempre in grado di riassumere la guida manuale del veicolo.
La normativa prevede ulteriormente un regime di responsabilità oggettiva, addossando, in caso di incidente la responsabilità al propietario del veicolo. Come si è potuto notare sino ad ora, nel quadro normativo dei paesi analizzati si può riscontrare un duplice tipo di approccio alla questione delle auto a guida autonoma, ovverosia uno che si potrebbe definire di tipo “eccezionalista[8]” ed uno “assimilazionista[9]”.
Quadro della responsabilità per la circolazione dei veicoli autonomi
Passiamo ora ad analizzare gli eventuali profili di responsabilità derivanti dall’impiego dei veicoli ad elevata automatizzazione.
La prima domanda da porsi è se l’art. 2054 c.c[10]. che nel nostro ordinamento regola la circolazione dei veicoli, sia applicabile alla fattispecie in esame, mancando in esso (a differenza dell’art. 46 CdS) un riferimento alla guida dell’uomo, anche se osta a questa interpretazione estensiva del 2054 la natura della persona trasportata, che in un veicolo totalmente autonomo è più simile ad un passeggero che ad un conducente.
Una responsabilità ai sensi del 2054 c. 1 e 2 sarebbe tuttavia ipotizzabile con riguardo agli incidenti provocati da veicoli a guida potenzialmente autonoma, visto e considerato che vi è un conducente che può riprendere in qualsiasi momento il controllo del veicolo e che pertanto sarà responsabile se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno[11].
Tale regola si applicherà anche nel caso di danno provocati da auto con semplici sistemi di assistenza alla guida detti (ADAS) ed i principali sono: parcheggio assistito, line assist, anticollisione, ecc.…
A tal punto si potrebbe venire a configurare, per i casi in cui l’auto sia totalmente autonoma, una responsabilità ex art. 2051 c.c.[12], in quanto il danno sarebbe causato dalla cosa, e non dalla cosa come strumento di una condotta pregiudizievole del conducente.
Presupposto per l’applicazione di tale tipo di responsabilità non sarebbe la totale assenza di una condotta umana nell’evento, ma la sua marginalità in relazione ai fattori causali imputabili in via diretta alla cosa. Trova ulteriormente applicazione nei casi in cui, pur essendosi verificati danni nell’utilizzo del veicolo, essi siano imputabili ad un suo funzionamento anomalo, che abbia così avuto incidenza assorbente nei confronti della condotta umana.
Nonostante il rapporto di custodia non sia risolvibile nel senso di un mero utilizzo o godimento del bene, senza la possibilità di intervenire sulle scelte relative a destinazione, manutenzione, tale rapporto sembra però presentare un’eccezione in relazione alla possibilità di correggere le scelte del sistema automatico, posto che il custode[13] in base alla regola in esame risponde a prescindere dal suo comportamento attuale o potenziale. Posto che per andare esente da responsabilità egli dovrà provare l’esistenza di uno specifico fattore interruttivo del nesso causale, che sia oggettivamente imprevedibile ed inevitabile, che configuri un caso fortuito estraneo alla sua sfera di rischio.
Conclusioni
Concludendo, ciò che sino a qualche anno fa sembrava fantascienza, ad oggi sta diventando sempre più rapidamente una realtà, ed il mondo del diritto sia a livello nazionale sia a livello internazionale ha dimostrato, seppur lentamente, di star facendo i dovuti preparativi perché questa diventi una realtà.
Tuttavia un definito quadro normativo non sembra riscontrabile, sebbene il legislatore abbia dimostrato di star facendo i dovuti interventi in ossequio al principio di precauzione e mantenendo sempre la sicurezza al centro dei vari interventi.
Sicurezza intesa anche nella sua accezione informatica, data l’elevata presenza della stessa in un veicolo di questo tipo, che la porta ad assomigliare più ad un computer che ad un veicolo, rendendola un prezioso bersaglio per malintenzionati determinati a carpire informazioni personali, o per gli investigatori intenzionati a trarre utili fonti di prova[14].
È tuttavia auspicabile che il legislatore adotti un approccio di tipo eccezionalista dando direttive chiare e precise, onde evitare dubbi che potrebbero rallentare l’inevitabile progresso tecnologico.
Una volta divenuta una normalità, la guida autonoma porterà con sé inevitabilmente la nascita di nuovi diritti, come quello alla mobilità, che un giorno potrebbe portare le persone che attualmente per svariati problemi non possono usufruire di una libertà di movimento individuale, di potersi spostare senza alcun problema in totale autonomia e sicurezza.
Informazioni
A. ALBANESE, La responsabilità civile per i danni da circolazione di veicoli ad elevata automazione, in Riv. Europa e Diritto Privato, 2019, fasc4
M. G. LOSSANO, Verso l’auto a guida autonoma in Italia, in Riv. Diritto dell’informazione e dell’informatica (III), 2019, fasc. 2
A. DI ROSA, Autonomous Driving tra evoluzione tecnologica e questioni giuridiche, in Riv. Diritto e questioni Pubbliche, 2019
Convenzione di Vienna sulla Circolazione stradale 1968
L. 2015/2017
Decreto ministeriale n. 90 G.U. 18 maggio 2018
Art. 2054 c.c.
Art. 2051 c.c.
Angela Federico, La digital forensics quale metodo di investigazione del cybercrime, in DirittoConsenso. Link: Digital forensics: cybercrime e cybersecurity – DirittoConsenso
[1] A. ALBANESE, La responsabilità civile per i danni da circolazione di veicoli ad elevata automazione, in Riv. Europa e Diritto Privato, 2019, fasc4, p.999
[2] Convenzione di Vienna sulla Circolazione stradale 1968
[3] l. 2015/2017
[4] G.U. 18 maggio 2018
[5] M.G. LOSSANO, Verso l’auto a guida autonoma in Italia, in Riv. Diritto dell’informazione e dell’informatica (III), 2019, fasc. 2, p.430
[6] A. DI ROSA, Autonomous Driving tra evoluzione tecnologica e questioni giuridiche, in Riv. Diritto e questioni Pubbliche, 2019 fasc.1 p.137
[7] A. DI ROSA, Autonomous Driving tra evoluzione tecnologica e questioni giuridiche, in Riv. Diritto e questioni Pubbliche, 2019 fasc.1 p.139
[8] Intendendosi paesi non in grado di ricondurre il fenomeno in esame a regolamentazione previgente e portati dunque ad adottare nuovi atti regolatori, come nel caso della Germania.
[9] Intendendosi con ciò paesi invece in grado di ricondurre il fenomeno a norme previgenti in maniera elastcia, senza la necessaria adozione di nuovi atti regolatori, come nel caso della Francia.
[10] Art. 2054: “Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli.
Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.
In ogni caso le persone indicate dai commi precedenti sono responsabili dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.”
[11] A. ALBANESE, La responsabilità civile per i danni da circolazione di veicoli ad elevata automazione, in Riv. Europa e Diritto Privato, 2019, fasc4, p.999
[12] Art. 2051: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.”
[13] Così denominato nell’ipotesi di applicazione della responsabilità da cose in custodia, il “conducente” del veicolo autonomo.
[14] Come trattato da Angela Federico in “La digital forensics quale metodo di investigazione del cybercrime” in diritto consenso Digital forensics: cybercrime e cybersecurity – DirittoConsenso
La capacità contributiva
Il principio di capacità contributiva tra i limiti alla potestà legislativa e l’attuazione del principio solidaristico
La capacità contributiva: introduzione, presupposti e limiti
Come noto nel nostro sistema fonte fondamentale per la produzione di norme da parte del legislatore è la Costituzione, che all’art. 53 comma 1 enuncia il principio di capacità contributiva, che è stato definito in varie pronunce della Corte Costituzionale[1] come una manifestazione di forza economica, secondo cui ripartire la spesa pubblica tra i vari contribuenti.
Tutto ciò comporta per il legislatore dei vincoli a ciò che può essere considerato indice di capacità contributiva.
Nel nostro sistema i principali indici di capacità contributiva sono:
- reddito,
- consumi,
- patrimonio ed
- attività giuridica.
Tuttavia, data la “fantasia” del legislatore nell’individuazione di fatti-indice di capacità contributiva, come nel caso della c.d. “Sugar Tax”[2], ci si potrebbe chiedere sino a che punto sia lecito individuarne di ulteriori da parte del legislatore tributario. A tale domanda la Corte Costituzionale ha risposto[3] statuendo che vi sia la necessità di una specifica indicazione di forza economica da parte del soggetto contribuente misurabili e rilevabili in denaro.
Ulteriori limiti che discenderebbero dal principio di capacità contributiva sono quelli di:
- Divieto di prelievi confiscatori, perché esso entrerebbe in contrasto con il principio di proprietà privata di cui all’art. 41 Cost e di iniziativa economica di cui all’art. 42 Cost.
- Divieto di intaccare il cd. “Minimo Vitale” che equivale al valore monetario necessario ad una persona per il soddisfacimento per gli elementari bisogni di vita e la conduzione di una vita libera e dignitosa, come stabilito dalla Corte Costituzionale[4] che tuttavia non stabilisce la misura di detto valore, lasciando così libera la discrezionalità del legislatore.
Ulteriormente la capacità contributiva deve essere effettiva ed attuale; per effettività della capacità contributiva si intende una concreta sussistente forza economica non meramente virtuale o presunta.
Tale caratteristica entra però in contrasto con alcuni istituti del nostro ordinamento, in particolare le presunzioni legali assolute (stabilite dal legislatore per provare un fatto ignoto partendo da uno noto, non ammettono prova contraria del contribuente), che se presenti nella materia tributaria dovrebbero essere dichiarate incostituzionali per violazione del principio di capacità contributiva.
Passando invece all’attualità, essa si riferisce alla sussistenza della forza economica nel momento in cui il tributo è applicato. Ciò costituisce un limite ma non un divieto assoluto[5] per il legislatore, come anche riportato nello statuo dei diritti del contribuente[6]. Questo significa che il legislatore potrà legittimamente emanare leggi retroattive (che vanno a colpire quindi una capacità contributiva non più attuale) con il limite, come stabilito dalla Corte Costituzionale, di attenersi a criteri di: ragionevolezza del lasso di tempo intercorso e della prevedibilità da parte del contribuente, come avvenuto nel caso del d.l. 11 Luglio 1992 n. 333 che introdusse un’imposta straordinaria sull’ammontare dei depositi bancari e postali consistente in una ritenuta del 6 per mille sull’ammontare dei depositi. Per converso si veda la sentenza della Corte Costituzionale n. 44/1966 che dichiarava incostituzionale una legge che stabiliva un termine sino a 10 anni precedente per l’imposizione sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili.
Passando ora ad analizzare l’interesse generale dello stato alla percezione dei tributi, il c.d. “interesse fiscale”, come anche stabilito dalla corte[7], l’art. 53 comma 1 stabilisce che: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.” così creando una situazione di doverosità da parte del singolo contribuente nei confronti della spesa pubblica.
Tale interesse fiscale può a seconda della struttura dei tributi di volta in volta in esame, non fermarsi ai confini nazionali o ai soli cittadini, si veda il caso dell’IVA che in determinate circostanze può essere dovuta anche per operazioni compiute all’estero[8].
Capacità contributiva come riflesso del principio di uguaglianza
Il principio contenuto nell’art. 53 comma 1 della Costituzione vincola il legislatore in due diverse direzioni:
- Non assoggettare il contribuente a tassazione a prescindere ed oltre la sua capacità contributiva, costituendo questo un limite di carattere assoluto.
- Ad assoggettare ad imposizione tutti i contribuenti che manifestino la medesima capacità contributiva, costituendo questo invece un limite di ordine relativo.
Questo secondo aspetto comporta per il legislatore l’assoggettazione ad eguale prelievo fiscale dei contribuenti che manifestino una uguale capacità contributiva[9]; mentre comporta una differente assoggettazione a prelievo tributario per contribuenti che manifestino una differente capacità contributiva, secondo il principio della progressività.
Tutto ciò rappresenta in ambito tributario un riflesso applicativo del principio di uguaglianza, sancito all’art. 3 della Costituzione[10].
Così facendo l’art. 3 eleva a principio fondamentale della carta costituzionale il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 comma 1, rendendolo inoltre un controlimite[11] all’attuazione del diritto comunitario.
Sebbene il principio di eguaglianza appaia chiaro, la sua applicazione è cosa ben più complessa, in tal senso si sono succedute varie teorie in merito, tra cui:
- La “Teoria del Corrispettivo” secondo la quale l’imposizione può considerarsi equa quando vi è equivalenza tra le imposte ed i pubblici servizi.
- La “Teoria del Sacrificio” secondo la quale il contribuente a seguito dell’imposizione subisce un sacrificio e bisogna stabilire la misura massima di detta imposizione in ragione delle singole disponibilità economiche del contribuente.
- La “Teoria della Capacità Contributiva”
Il costituente ha preferito tale modello sopra gli altri, stante l’impossibilità dell’esatta determinazione della giusta imposta in quanto cosa assai difficile.
Il principio di uguaglianza può essere ulteriormente reso esecutivo mediante non solo norme impositive ma anche mediante le norme agevolative (dove agevolazione[12] significa qualsiasi norma di favore). Il legislatore può concedere agevolazione se ciò risponde a scopi costituzionalmente riconosciuti, sostanzialmente può avvalersi di tale tecnica legislativa quando ciò trovi copertura in uno degli interessi presenti nella carta costituzionale.
Si viene così a creare un bilanciamento tra la deroga all’art. 53 (che deriverebbe dal trattamento agevolato) e gli altri valori di rango costituzionale, creando così una deroga consentita al principio di capacità contributiva[13].
Tuttavia, l’introduzione di agevolazioni nel sistema tributario nazionale può comportare dei conflitti che vengono a svilupparsi su due distinti piani:
- il primo quello costituzionale interno, in relazione alla coerenza interna ed alla sua ragionevolezza.
- il secondo sul piano del diritto europeo in relazione ai principi fondamentali del divieto degli aiuti di stato[14] e del divieto di discriminazione.
La valutazione della legittimità dei trattamenti fiscali differenziati deve quindi essere compiuta necessariamente su due piani, quello costituzionale e quello del diritto comunitario, venendo in ogni caso in considerazione un problema di uguaglianza che però, nella dimensione europea, assuma specifica e più rigorosa declinazione economica e di mercato[15].
Breve panoramica sul principio di progressività
L’art. 53 comma 2 Cost. stabilisce che: “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, ciò significa che la tassazione deve procedere in maniera più che proporzionale, assegnando così un carico fiscale maggiore ai soggetti che manifestino una capacità contributiva maggiore.
Ma secondo la Corte Costituzionale[16] non è necessario che ogni singolo tributo sia informato a detto criterio, ma che lo sia il sistema nel suo insieme, ben potendo esistere tributi che siano semplicemente proporzionali (IRES, ed IRAP) o addirittura regressivi[17].
Ad oggi la chiave di volta del sistema tributario è rappresentata dall’IRPEF ovvero l’imposta sul reddito delle persone fisiche che colpisce: ”il possesso di redditi in denaro o in natura, rientranti nelle categorie di cui all’art.6”[18] che è uno dei tributi principali del sistema erariale Italiano e che è organizzato secondo quattro scaglioni (27% – 38% – 41% – 43%).
Negli ultimi anni vi è stato a più riprese da diverse forze politiche la ciclica riproposizione di una c.d. “flat tax” e di una “double tax” che comporterebbe un’aliquota IRPEF unica per tutti i redditi, eliminando così l’attuale sistema degli scaglioni, o comportando la riduzione degli scaglioni a due sole aliquote.
Sebbene l’introduzione di una “flat tax” o “double tax” non sia di per sé incostituzionale, potrebbe causare alcuni problemi al legislatore che tentasse di introdurla in sostituzione degli scaglioni IRPEF attualmente esistenti.
Ciò è dovuto al fatto, che come si è detto, ad oggi la progressività del sistema tributario poggia quasi esclusivamente sull’IRPEF e che quindi, qualora all’abolizione degli scaglioni non sopperissero uno o più metodi atti ad assicurare il costante rispetto del principio di progressività (per esempio mediante il meccanismo delle detrazioni o deduzioni che andrebbero ad incidere sulla base imponibile o sul quanto dell’imposta dovuta) ciò potrebbe portare di riflesso alla pronuncia di incostituzionalità della legge introduttrice della “flat o double tax”.
Conclusioni
In conclusione, il principio di capacità contributiva si dimostra ben più che mera norma programmatica ma norma attuale e precettiva, grazie alle fondamentali pronunce della Corte Costituzionale che ne hanno negli anni consentito di specificare il contenuto, ponendo limiti e direzioni chiare all’attività legislativa senza mai per questo intaccare la potestà discrezionale dello stesso legislatore in una materia sempre delicata come quella tributaria.
Informazioni
Manuale di diritti tributario terza Edizione 2020 A. Carinci – T. Tassani
Corte Costituzionale sentenza n. 89/1979
Corte Costituzionale sentenza n.97/1968
Corte Costituzionale sentenza n. 155/2001
Corte Costituzionale n.13 del 1986
Corte Costituzionale n. 513 del 1990
Corte Costituzionale sentenza n. 52/1988
Corte Costituzionale sentenza n.2 /2006
L. 160/2019 c. 661 – 676
Art. 3 c.1 L. 212/2000
D. l. 331/1993
Art. 107 TFUE
Art. 1 e 72 TUIR
Articolo di DirittoConsenso, scritto da Angela Federico L’articolo 117 della Costituzione tra sussidiarietà e adattamento – DirittoConsenso
[1] Manuale di diritti tributario terza Edizione 2020 A. Carinci – T. Tassan
[2] L. 160/2019 c. 661 – 676
[3] Corte Costituzionale sentenza n. 89/1979
[4] Corte Costituzionale sentenza n.97/1968
[5] Potendo il legislatore tributario comunque emanare leggi retroattive in deroga al principio dell’attualità.
[6] Art. 3 c.1 L. 212/2000
[7] Corte Costituzionale Sentenza n. 155/2001
[8] Si veda per esempio il regime transitorio stabilito da d.l. 331/1993
[9] Si veda la sentenza della Corte Costituzionale n.13 del 1986 che sancì l’illegittimità del diverso trattamento, in tema di imposta di successione tra i figli adottivi e quelli legittimi del de cuius.
[10] Corte Costituzionale sentenza n. 513 del 15 ottobre 1990
[11] Sul tema si rimanda ad un Articolo di DirittoConsenso, scritto da Angela Federico L’articolo 117 della Costituzione tra sussidiarietà e adattamento – DirittoConsenso
[12] Nell’ambito delle norme di favore si definisce agevolazione, o aiuto fiscale, ogni tipo di norma che in deroga a quanto previsto in via ordinaria, riduce il peso dell’imposta.
[13] Corte Costituzionale sentenza n. 52/1988
[14] Intendendosi per aiuti di stato dei benefici riconosciute a talune imprese in modo selettivo (per esempio basandosi sulla forma giuridica o sul settore produttivo): vedi art. 107 TFUE
[15] Manuale di diritti tributario terza Edizione 2020 A. Carinci – T. Tassani
[16] Corte Costituzionale sentenza n.2 /2006
[17] Si definisce regressivo il tributo la cui aliquota diminuisce all’aumentare della base imponibile.
[18] Art. 1 e 72 TUIR