Riserva di legge

La riserva di legge: forma di garanzia dello Stato di diritto

Gli aspetti fondamentali del principio della riserva di legge, argomento tanto di diritto costituzionale quanto di diritto penale

 

Nozione di riserva di legge

La riserva di legge è quel principio previsto dalla Costituzione (ex art. 25) il quale richiede che una determinata materia sia disciplinata da una disposizione legislativa di rango primario.

Tale principio ha natura garantistica, fa sì quindi, che le fattispecie più delicate siano disciplinate dalla legge ordinaria, ossia le disposizioni emanate dal Parlamento secondo il procedimento emanato dagli art. 70- 74 Cost., e dalla legge costituzionale emanata in base al procedimento previsto dall’art.138 Cost.

Tale principio, come vedremmo più avanti, si ritiene soddisfatto anche dal decreto legislativo (che si trova nella prassi abbreviato in d. lgs.)[1] e dal decreto legge (abbreviato invece in d. l.)[2], nonostante queste siano disposizioni di cui è competente il Governo.

Ovviamente è preferibile, essendo il principio di riserva di legge un principio garantistico, che la materia sia disciplinata da una legge che viene emanata in base ad un procedimento legislativo che è pubblico e dialettico, rispettando così i principi democratici su cui si basa il nostro ordinamento.

 

Tipologie

Nel nostro ordinamento si distinguono diverse tipologie di riserva di legge.

Vi è, in primis, la riserva di legge ordinaria che si distingue a sua volta in:

  • riserva di legge assoluta, la quale prevede che la materia dev’essere disciplinata interamente dalla legge ordinaria. Un esempio di tale riserva è l’art. 13 della Cost. “La libertà personale”: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.
  • riserva di legge relativa prevede invece che una fattispecie sia disciplinata dai principi che sono stabiliti dalla legge, riducendo la discrezionalità dell’esecutivo, che potrà intervenire dettando la disciplina di dettaglio con i propri regolamenti.
  • riserva di legge rinforzata ossia riserve di legge assolute o relative per cui la Costituzione pone dei limiti alla discrezionalità del legislatore, prestabilendo dei contenuti che tale legge deve possedere. Ad esempio tale tipologia di riserva di legge rinforzata è contenuta nell’art. 16 Cost. “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente per qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.
  • riserva di legge formale richiede invece che l’attività normativa sia compiuta dal solo Parlamento, escludendo gli atti aventi forza di legge. Le disposizioni coperte da riserva di legge formale infatti sono quelle “coperte” da riserva di assemblea[3].

 

Quelle sinora elencate, sono le tipologie più diffuse, da ricordare sono anche:

  • La riserva di legge a favore dei regolamenti parlamentari[4], i quali sono un complesso di norme che rappresentano l’espressione concreta dell’autonomia normativa e organizzativa di ciascuna Camera. Essi stabiliscono lo svolgimento dei lavori dell’Assemblea, le procedure di decisione, l’esercizio delle varie funzioni e i rapporti con il Governo. Sotto lo Statuto Albertino, i regolamenti parlamentari non erano considerati fonti del diritto, atti in grado, cioè di innovare l’ordinamento giuridico bensì regole prodotte e applicate solo all’interno delle Camere, da considerarsi quindi come “interna corporis”, ossia meri atti interni dell’organo.
  • La riserva di giurisdizione consiste nel principio secondo il quale per determinate materie (specialmente quelle riguardanti le restrizioni della libertà) debba intervenire l’autorità giudiziaria e non magari qualsiasi altra autorità. Esempio di riserva di giurisdizione è previsto, come anche abbiamo visto poc’anzi, dall’art. 13 della Costituzione, il quale al secondo comma prevede che “In casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e se, questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.[5].

 

Riserva di legge in ambito penale

La regola della riserva di legge in materia penale assume un valore e un significato sostanziale quale strumento tendenzialmente idoneo a realizzare l’aspirazione ad un diritto penale, inteso come extrema ratio: un mezzo cioè al quale si ricorre solo quando il suo uso appare necessario[6].

Il concetto di riserva di legge in materia penale trova disciplina all’interno dell’art. 25, comma 2, Cost. “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.[7] e dall’art. 1 c.p. “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite.

In ordine a tale principio, la dottrina si è posta innanzitutto l’interrogativo se nella sua nozione rientrino le sole leggi dello Stato o anche le leggi delle Regioni e in particolare gli atti legislativi delle Regioni c.d. a statuto speciale (art. 116 Cost)[8] e se quando fa riferimento alla “legge” fa riferimento alla sola legge del Parlamento, promulgata secondo l’iter previsto dall’art. 70-74 Cost., o debbano considerarsi anche le leggi delegate e gli altri atti aventi forza di legge.

Con riferimento alla prima questione, ossia se le Regioni possano avere potestà legislativa oppure no in materia penale, è risolta in modo negativo dalla dottrina. Precedentemente, i dubbi iniziali suscitati da una pronuncia della Corte Costituzionale[9], nascevano dall’assenza di argomenti testuali che apparissero decisivi sia per escludere la legge regionale dalla nozione di legge ex art. 25, comma 2, Cost., sia per negare l’attribuzione di potestà legislativa penale alle Regioni, nelle materie che l’art. 117 Cost. nella sua originaria formulazione, attribuiva alla loro competenza.

Tra gli argomenti in favore di questa tesi negativa, risulta decisivo il richiamo all’art. 3 Cost. (“Tutti i cittadini […] sono uguali di fronte alla legge”), affinché si eviti che una diversa regolamentazione in ambito penale venga a contrastare con l’uniformità di trattamento giuridico di tutti i cittadini. L’esclusione della potestà legislativa regionale in materia penale implica non solo il divieto per le Regioni di creare norme penali, ma altresì l’illegittimità costituzionale delle leggi regionali che suonino come abrogative di norme penali statuali o ne limitino l’ambito di applicazione[10].

Per ciò che concerne le leggi delegate (art. 76 e 77, comma 1, Cost.) e decreti legge (art. 77, comma 2 e 3, Cost.), la Costituzione riconosce a quest’ultime, come abbiamo ribadito anche in fase introduttiva, efficacia pari agli atti normativi a cui compete la qualifica di legge formale. A questo riconoscimento sono state però applicate delle riserve, per ciò che concerne le leggi delegate, in quanto rispetto ad esse il potere legislativo si limita a formulare criteri direttivi dettagliati e la loro concretizzazione compete al potere esecutivo.

Per ciò che concerne i decreti legge, numerose sono state le perplessità, poiché da un lato le esigenze di ponderazione che sono alla base della normazione penale appaiono contrastanti con le ragioni “di necessità e di urgenza” che dovrebbero essere alla base dell’emanazione dei decreti legge; dall’altro per tutto il periodo di vigenza del decreto, prima della conversione in legge, è escluso il potere del Parlamento sulla normazione penale.

Tali perplessità sono state messe a tacere attraverso la sentenza n. 51/85 della Corte Costituzionale, con la quale ha innanzitutto dichiarato illegittimo il comma 5 dell’art 2 c.p. e attribuito al decreto non convertito la sola efficacia ricollegabile alla regola della irretroattività della norma penale incriminatrice. Tale pronuncia della Corte appare rispettosa del principio di irretroattività ed inoltre fa sì che l’esecutivo non tenti di cancellare la rilevanza penale di determinate condotte antecedenti perché non assicuri immeritate impunità.

Informazioni

[1] Decreto legislativo: l’art. 76 Cost. prevede che il Parlamento può delegare al Governo, in particolari circostanze l’esercizio della funzione legislativa, cioè il potere di creare norme giuridiche che hanno la stessa forza delle leggi ordinarie.

[2] Decreto legge: l’art. 77 Cost. prevede che il Governo direttamente su sua iniziativa possa esercitare il potere legislativo, emanando decreti legge, quando sotto sua responsabilità ritenga sia indispensabile, per motivi di necessità e d’urgenza fronteggiare situazioni eccezionali.

[3] Art. 72, comma 4, Cost.: “Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza.” L’Assemblea Costituente ha previsto che in alcuni casi l’iter ordinario divenisse abbreviato, il suo impiego prevede una dichiarazione d’urgenza che può proposta dal Governo, dai parlamentari o anche dal Presidente della Commissione competente per l’esame. Tale procedura è sempre utilizzata per esempio, per la conversione dei decreti-legge.

[4] Art. 64 Cost.: “Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare adunarsi in seduta segreta. Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale.

I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono.

[5] Art. 13 Cost: “La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

In casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e se, questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.

È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni e libertà.

La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

[6] C. Fiore – S. Fiore, Diritto penale, quarta edizione, p. 74-75, UTET.

[7] Art 25 Cost.: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.

[8] C. FIORE – S. FIORE, Diritto penale, quarta edizione, p.75, UTET.

[9] Sent. 25-06-1957, n.104 la Corte Costituzionale ritenne la Regione Sicilia competente ad emanare norme penali a tutela della propria legge elettorale.

[10] C. FIORE – S. FIORE, Diritto penale, quarta edizione, p.76, UTET


Libertà di stampa

La libertà di stampa

La libertà di stampa tra definizione, tutele, cenni storici e attualità

 

Definizione e fonti

La libertà di stampa è un diritto riconosciuto da qualsiasi Stato che si definisca di diritto[1]. Tale libertà fa sì che ogni cittadino riceva e dia le informazioni corrette e che non siano controllate, come per esempio accade in Cina o in Russia, che sono stati caratterizzati da un governo con limiti più stretti alla libertà di stampa.

La sua rivendicazione è avvenuta con la nascita della civiltà liberale e illuministica, contrapposta a quella dell’ancien regime[2], durante la quale vi era una forte influenza dell’autorità dello Stato, il quale era incaricato di autorizzare qualsiasi manifestazione ed espressione del pensiero.

In ambito comunitario la libertà di stampa e di espressione trova base e fondamento perché considerata quale condizione basilare per il progresso della società democratica e per lo sviluppo di ciascun individuo. Tale principio, data la sua importanza, trova numerose fonti normative.

Esso è riconosciuto su larga scala dall’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani:

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere […]. Questo diritto include la possibilità di sostenere personali opinioni senza interferenze ed a cercare, ricevere ed insegnare informazioni e idee attraverso qualsiasi mezzo informativo indipendentemente dal fatto che esso attraversi le frontiere”.

È inoltre, racchiuso anche nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, rappresentata come la libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni. Ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge.

All’art. 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali[3] si legge: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiere.”. La violazione di tale articolo legittima la possibilità di poter proporre ricorso innanzi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per poter avere risarcimento dei danni subiti, nel caso in cui non sia possibile esperire rimedio giurisdizionale alternativo.

In Italia la libertà di stampa è riconosciuta espressamente dall’art. 21 della Costituzione, all’interno del suo secondo comma “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure.” sancendo così la sacralità di questo diritto e tutelandolo.

 

Tutele in Italia

La nostra Costituzione, per evitare che l’autorità pubblica (come avveniva in passato) danneggi tale libertà, prevede che il sequestro degli stampati avvenga solo nei casi in cui ci si trovi nelle fattispecie dei reati d’opinione, per i quali la legge sulla stampa lo autorizzi o nel caso in cui siano violate le norme relative all’indicazione dei responsabili delle pubblicazioni.

Più di preciso, “si può procedere a sequestro[4] soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa[5] espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore successive, fare denuncia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo di ogni effetto.”.

Questi ultimi si definiscono “reati di opinione”[6], ossia crimini che si sostanziano nella manifestazione di un’opinione che sia evidentemente aggressiva, non rispettosa dei parametri che la Costituzione prevede perché ci possa essere una corretta espressione di pensiero. Tali disposizioni servono a sopprimere il c.d. controllo della stampa (che sia preventivo o successivo) ed evitano che il sequestro da parte delle pubbliche autorità, che durante il periodo fascista era fortemente politicizzato, venga utilizzato in maniera illimitata.

L’art 21 della Costituzione infatti prevede una riserva di legge (ossia prevede che sia il legislatore a determinare quali siano i delitti per cui si applichi il sequestro) e la riserva di giurisdizione. Perciò è solo l’autorità giudiziaria titolare del diritto d’ordinare il sequestro, che può essere esercitato nei casi di necessità e urgenza, in maniera provvisoria, anche dalla polizia giudiziaria.

Inoltre, la Costituzione si preoccupa anche di dettare i principi per garantire la trasparenza dei mezzi di finanziamento della stampa periodica (cioè la stampa pubblicata in periodi prestabiliti, come i quotidiani o i mensili)[7].

 

Cenni storici

La nascita di questo concetto è da rilevarsi con l’invenzione della stampa a caratteri mobili attuata da Johannes Gutenberg nel 1453-1455. Quest’invenzione fu una vera e propria rivoluzione, perché facilitò la diffusione del sapere prima e del giornalismo poi. Contemporaneamente nascevano anche i mezzi di repressione e di controllo da parte delle autorità pubbliche che facevano di tutto affinché il sapere non si diffondesse ad ampio raggio.

Basti pensare alla bolla papale emanata da Alessandro VI nel 1501, con la quale introdusse la censura preventiva, prevedendo che i giornali non potessero stampare senza previa autorizzazione degli ordini religiosi. Bisogna osservare quindi, che durante il periodo degli assolutismi la libertà di stampa come anche la libertà di espressione erano molto limitate, in quanto le poche riviste e periodici esistenti erano nelle mani dei sovrani, che li utilizzavano come strumenti di propaganda della propria immagine e del proprio pensiero.

La svolta vera e propria si ebbe con la Rivoluzione francese la quale introdusse all’art. 11 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino (1789) il principio di libertà di stampa.

Successivamente, tale principio fu poi recepito nella Costituzione americana all’interno del primo emendamento: “il Congresso non legifererà per […] limitare la libertà di parola o di stampa, o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea”.

In Italia la prima disposizione dedicata alla libertà di stampa fu all’interno dello Statuto Albertino del 1848[8], la quale recitava all’art. 28: “La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia, le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo”.

Nel XX secolo, con l’avvento dei regimi totalitari, questo principio subì una regressione, poiché tale periodo storico si distinse per la forte applicazione della censura sui mezzi d’informazione. Infatti, nel 1923 le prime leggi fasciste introdussero le prime limitazioni per le quali la stampa e i giornalisti dovevano allinearsi al pensiero fascista. La censura si accentuò ancora di più con le leggi Fascistissime e la legge sulla stampa (1925-1926), le quali prevedevano che i giornali dovevano possedere un direttore scelto dal Prefetto. La libertà di espressione aveva solo scopi propagandistici per esaltare la figura del duce e del movimento.

Dopo il Grande Conflitto, l’ONU riconobbe questo principio all’interno del già richiamato art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e, successivamente, tutte le Costituzioni rigide, s’impegnarono a introdurlo nel proprio ordinamento, liberandolo da vincoli di natura governativa, perché sorretta da maggiori garanzie.

 

La libertà di stampa nel mondo

Mentre in Italia è riconosciuto e tutelato questo principio, vi sono paesi nei quali il governo “filtra” l’informazione, lasciando passare solo ciò che sembra conforme alla propria ideologia.

Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha realizzato una classifica dei paesi in cui il diritto di espressione e la libertà di stampa non sono osservati, bensì soppressi.

La prima a classificarsi è l’Eritrea, in cui vi è un vero e proprio monopolio da parte del governo su tutti i sistemi e le fonti d’informazione, qui i giornalisti sono costretti ad attenersi a delle linee guida editoriali, per evitare di essere arrestati. Sono più di dieci i giornalisti che in Eritrea sono stati incarcerati e ai quali è stato negato il diritto ad un processo.

All’interno dell’escalation vi è inoltre la Cina, dove il Partito Comunista controlla tout court l’informazione all’interno del paese. Il Partito Comunista si serve della tecnologia per controllare la popolazione, perciò per garantire questo controllo, tutte le applicazioni che consentono uno scambio di informazioni quali Facebook, Whatsapp, Twitter, Telegram sono proibite, e sono state create delle applicazioni affini di matrice cinese. Tale forma di controllo è stata avviata tramite un progetto nel 1998 denominato “Golden Shield Project” gestito dal Ministero di pubblica sicurezza della Repubblica Popolare Cinese. La finalità di questo progetto può essere esplicata con una frase lapidaria pronunciata dal leader Deng Xiaoping durante il periodo di riforma economica della Cina: “Se si aprono le finestre per fare entrare aria fresca, è necessario aspettarsi che alcune mosche entrino”. Infatti l’intento era quello di raggiungere un equilibrio tra la nuova apertura al mondo occidentale e far sì che il popolo stesse alla larga dalle più libere ideologie occidentali.

Mentre, in Cina le forme di controllo dell’informazione sono radicate da tempo, in Russia una progressiva censura è iniziata nel 2017, anno in cui vi furono i primi segni di un internet meno libero, avendo il governo russo intensificato i controlli su tutto ciò che era considerato pericoloso per la sicurezza nazionale. Il primo novembre 2019 è stata approvata e firmata dal presidente Putin la legge sulla Sovranità dell’internet (Sovereign Internet Law), la quale approvava l’applicazione dei sistemi Deep Packet Inspections, che si occupano di filtrare i contenuti diffusi in web. Per cui la censura russa si muove lungo due linee guida: diffondere contenuti informativi da parte di media che appoggino la politica del governo russo ed eliminare quelli che sono ritenuti contrari alla legislazione russa.

Questi sono alcuni dei paesi che emergono dalla classifica, che adottano le più disparate restrizioni per reprimere questo diritto, chiudendo siti web, ma anche utilizzando le “maniere forti”, arrestando ed uccidendo giornalisti, ledendo il più delle volte non solo il diritto ad esprimersi ma anche l’inviolabilità della persona.

Informazioni

[1] Stato di diritto: consiste in una forma di stato che assicura e salvaguarda il rispetto dei diritti e delle libertà dell’uomo.

[2] Termine coniato da Tocqueville, per indicare il sistema di governo che aveva preceduto la Rivoluzione francese.

[3] Convenzione ratificata dall’Italia con la l. 4 agosto del 1955 n. 848

[4] Relativamente al processo penale il sequestro può assumere valore probatorio (artt. 253 ss.) che è diretto a verificare l’accertamento dei fatti per cui si procede garantendo così l’integrità delle fonti di prova, conservativo (artt. 316 ss.) al fine di evitare che vengano a mancare o si disperdano beni destinabili al pagamento delle pene pecuniarie delle spese di giustizia e delle obbligazioni civili nascenti dal reato, o preventivo (art. 321 ss.) se caratterizzato dall’esigenza di natura cautelare di impedire la prosecuzione dello stesso reato o la commissione di nuovi reati.

[5] Legge n. 47/1948 delitti previsti dagli artt. 13 al 20.

[6] I reati di opinione sono una categoria di reati rientranti nella categoria dei delitti contro la personalità dello stato, con particolare riguardo ai reati di propaganda ed apologia sovversiva, nonché di vilipendio della Repubblica e delle istituzioni costituzionali. Essi sono previsti nel titolo I, Libro II del codice penale, modificati dalla l. 85/2006.

[7] BIN R.- G. PITRUZZELLA, Diritto Costituzionale, G. Giappichelli Editore.

[8] Statuto Albertino: Costituzione di natura flessibile, concessa dal re Carlo Alberto, sovrano del regno di Sardegna. Essendo una Costituzione di natura flessibile quest’ultima richiedeva per le sue modifiche un procedimento ordinario e non aggravato, come invece accade per la nostra Costituzione.


Diritto di difesa

Il diritto di difesa ai tempi del Covid-19

Gli effetti della pandemia sull’attività giudiziaria: come il virus mette a rischio il diritto di difesa

 

Principio del contraddittorio e diritto di difesa delle parti

Nel nostro ordinamento il principio del contraddittorio e il diritto di difesa sono due pilastri fondamentali, l’uno concatenato con l’altro.

Il principio del contraddittorio consiste nella possibilità per ciascun soggetto di partecipare al processo, qualora quest’ultimo venga citato in giudizio e, quindi far valere le proprie ragioni. Tale principio è racchiuso nell’art. 111 2° comma della nostra Costituzione secondo il quale “ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità davanti al giudice terzo e imparziale.

Tale regola impone a chi si rivolge al giudice, chiedendo di emanare un determinato provvedimento nei confronti di un altro soggetto, di citare regolarmente quest’ultimo affinché possa esercitare il proprio diritto di difesa, dandogli la possibilità di replicare, senza subire ingiustamente gli effetti della decisione del giudice.

Questo principio informa tutte le tipologie del processo; il penale è quello in cui il contraddittorio assume maggior rilevanza, trovando disciplina nello stesso art. 111 4° comma Cost. “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”, in pratica il contraddittorio deve essere garantito nella fase delle indagini preliminari, ma anche nella fase dibattimentale.

Per ciò che riguarda il processo civile il principio del contraddittorio viene disciplinato da una disposizione ad hoc[1] nello stesso codice di procedura civile, ossia  l’art. 101 il quale dispone che “il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa[2], quindi anche in quest’ultima disposizione emerge il monito che nessuno può subire un provvedimento del giudice se non è prima chiamato in giudizio per esercitare il proprio diritto a difendersi.

Vi sono dei casi in cui è la legge stessa che deroga questa regola, per esempio nel caso della tutela esecutiva per la quale non è previsto il contraddittorio, quest’ultimo può formarsi solo successivamente, qualora la parte esecutata decida di proporre opposizione all’esecuzione.

Estensione del principio del contraddittorio è il diritto di difesa racchiuso nell’art.24 Cost. che nel suo 2° comma enuncia “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, sancendo l’inviolabilità del diritto alla difesa, e quindi disponendo sia che qualsiasi individuo può personalmente partecipare ad ogni fase del processo per proporre eccezioni o controdomande (c.d. domanda riconvenzionale[3]), sia che durante il processo ci si può avvalere di un avvocato che si occupi di disporre la difesa (c.d. difesa tecnica).

I concetti su richiamati costituiscono i capisaldi di un ordinamento moderno e democratico, riconoscono agli individui la possibilità di non soccombere ad eventuali provvedimenti ingiusti, sono fondamentali perché permettono anche al giudice di poter decidere equamente sulla questione presentatagli. Tali principi non ammettono deroghe, se non come abbiamo visto, disposte dalla legge stessa, niente può impedire ad un soggetto di presenziare all’interno del giudizio in cui è coinvolto ed esercitare il diritto a difendersi.

 

Coronavirus: le misure adottate in ambito processuale per limitare il contagio

L’esplosione del virus in Italia ha messo a rischio qualsiasi ambito, perciò il Governo ha emanato diverse disposizioni per evitare che il contagio progredisse. Tali disposizioni sono state introdotte anche nel campo della giustizia, limitando l’accesso agli uffici e alle cancellerie del Tribunale e utilizzando il sistema del c.d. processo telematico, un modo per poter continuare a svolgere udienze, senza però rischiare di contagiarsi.

Con la chiusura totale del paese, la prima disposizione ad essere emanata con urgenza, fu il d.l 18/2020[4] che stabiliva la sospensione di tutte le attività giudiziarie, decisione che si è protratta fino al 12 maggio 2020. Dopo di che il Governo ha delegato ad ogni ufficio Giudiziario la possibilità di disporre di misure alternative introdotte dall’art. 83[5] dello stesso decreto legge, quest’ultime, diverse dalle udienze in presenza, garantiscono, così, il “distanziamento” che il Coronavirus richiede ed evitano il solito sovraffollamento degli uffici giudiziari e allo stesso tempo coniugano il rispetto del principio del contraddittorio.

Tra le soluzioni proposte vi è “l’udienza a distanza” prevista dall’art. 83 comma 7 lett. f), attuata tramite la realizzazione di videochiamate. Quest’ultime vengono fissate con apposito provvedimento del giudice, comunicato ad ogni individuo interessato con congruo preavviso tramite l’indirizzo di posta elettronica certificata, creando un’apposita “stanza virtuale”, alla quale vi si può accedere attraverso un link.

Verificata l’identità dei partecipanti, avverrà la trattazione della causa e sarà data lettura di eventuali dispositivi, contenenti le decisioni del giudice. Con questo metodo si è cercato di rispondere alla necessità di consentire lo svolgimento delle udienze in tempo reale e consentendo quell’interazione che esiste durante l’udienza “fisica”, necessaria soprattutto per il processo penale.

Ulteriore metodo, riportato nello stesso art. 83 alla lettera h) dello stesso comma, consiste “nello scambio e il deposito in telematico di note scritte”, comunemente definita “udienza di scambio”, la quale prevede che il processo venga svolto con la semplice redazione dei verbali d’udienza  da ciascun procuratore, da depositare entro un termine assegnato dal giudice o comunque entro il termine di cinque giorni prima della data fissata per l’udienza,  inviando tali note all’indirizzo di posta elettronica certificata del Tribunale competente per la trattazione della causa e sarà poi compito della Cancelleria trasmetterla al fascicolo telematico, previsto già dal nostro legislatore c.d. Processo Civile Telematico.

La disposizione normativa su richiamata prevede anche il rinvio delle udienze a data da destinarsi, ma tale alternativa è da considerarsi controproducente perché implicherebbe l’allungarsi di tempi che già di per sé sono lunghi, non garantendo così la ragionevole durata del processo ex art. 111 e andando così a limitare e ledere il diritto di difesa.

 

La normativa nella pratica

Le disposizioni poc’anzi enunciate non hanno ottenuto spesso riscontro positivo, suscitando nella prassi e negli operatori della giustizia non poche perplessità circa le capacità risolutive delle stesse. Tali preoccupazioni si sono manifestate soprattutto in ambito penale, in quanto queste destano il timore che le stesse possano diventare stabili, quindi protrarsi anche dopo il periodo di emergenza e possano quindi snaturare il processo penale, rendendolo sterile e restringendo la presenza dell’imputato o dell’indagato, ledendo i diritti loro garantiti.

Difatti, la Giunta dell’Unione delle Camere Penali ha definito come “terribile vulnus[6][7] la previsione normativa che dispone e prescrive la trattazione scritta per la trattazione delle udienze penali.

Basti pensare alle attività istruttorie tipiche del processo penale, come esami diretti e controesame di testimoni, periti, consulenti tecnici, i quali presuppongono e richiedono necessariamente la compresenza in uno stesso luogo fisico delle parti, dei testimoni stessi e dei difensori, affinché si possa valutare la “credibilità” di ciò che dichiarano, il modus con cui tali dichiarazioni vengono fatte, che diviene molto difficile da rilevare attraverso dispositivi telematici.

Anche per il processo civile alcune di queste disposizioni si sono rivelate fallaci e per niente proficue alla salvaguardia del diritto di difesa. Anzi, esse si rivelano spesso e volentieri scomode e per niente stimolanti per la professione d’avvocato.

Ciò accade con la trattazione scritta, nonostante la sua indiscutibile comodità, risulta comunque limitativa al diritto a difendersi, poiché accade spesso che agli uffici di Cancelleria sia sfuggito l’invio di un decreto di fissazione di udienza di trattazione scritta e che, quindi, il procuratore non abbia potuto depositare tali note e non risultare costituito in udienza, rischiando anche di perdere la causa.

Un’altra problematica che causa la trattazione scritta è il protrarsi all’infinito dell’udienza andando quindi a ledere non solo il principio del contraddittorio, ma anche il principio della “ragionevole durata del processo” disciplinato dall’art. 111 Cost. secondo comma.

Insomma, tali questioni non sono certamente da trascurare, perché il protrarsi dell’utilizzo di queste tecniche alternative ha creato una vera e propria “stasi” della giustizia. Questa situazione ha messo a rischio principi costituzionalmente protetti che già in una situazione di normalità divengono spesso e volentieri di difficile attuazione.

Allo stesso tempo però, è necessario ammettere che l’introduzione del sistema telematico rappresenta comunque un modo per evitare che l’attività giudiziaria divenga inesistente.

Bisogna quindi augurarsi che tale stato di emergenza finisca e che tali misure adottate, siano solo un modo alternativo, senza che deformino il processo e i diritti essenziali per lo svolgimento dello stesso.

Informazioni

G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, Bari, Quinta Edizione, Cacucci Editore.

G. CONSO – V. GREVI, Compendio di procedura penale, Wolters Kluver, Decima edizione, CEDAM.

M. Marzin, Audiatur et altera pars, Il contraddittorio fra principio e regola, Giuffrè editore.

http://www.dirittoconsenso.it/2019/07/09/diritto-penale-e-garanzie-costituzionali-supreme/

http://www.dirittoconsenso.it/2020/12/17/uno-schema-pratico-del-processo-penale/

http://www.dirittoconsenso.it/2020/07/20/i-diritti-costituzionali/

http://www.dirittoconsenso.it/2021/04/06/delinquenza-minorile-e-covid-19/

[1] Ad hoc: “per questo scopo” espressione derivante dal latino che indica una particolare predisposizione o attitudine di qualcuno o qualcosa in determinate circostanze.

[2] Art. 101 Codice di procedura civile: “Il giudice salvo che la legge disponga altrimenti non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa.

Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione.

[3] La domanda riconvenzionale è la domanda che viene proposta dalla parte citata in giudizio, la quale anziché proporre il mero rigetto della pretesa attorea, propone a sua volta un’autonoma domanda.

[4] Decreto-legge del 17 marzo 2020 n.18 denominato “Misure di potenziamento del Servizio Sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.” Convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020 n.27 (in S.O n. 16 relativo alla G.U. 29.04.2020, N.110).

[5] Denominato “Nuove Misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia civile, penale, tributaria e militare”.

[6] Vulnus: termine che in latino significa ferita, usato in ambito giuridico per indicare la lesione di un diritto.

[7] Luca Poniz, “Il processo da remoto: a strana battaglia contro uno strumento.”, in www.giurisprudenzapenale.com.