Statuto speciale della Regione siciliana

Lo Statuto speciale della Regione siciliana

Peculiarità e caratteristiche di uno Statuto antecedente alla Costituzione repubblicana: lo Statuto speciale della Regione siciliana

 

Introduzione storica allo Statuto speciale della Regione siciliana

Antecedente alla Costituzione repubblicana, lo Statuto speciale della Regione Siciliana (emanato con Regio Decreto del 15 maggio 1946, da Re Umberto II di Savoia e successivamente “ratificato” dal primo Parlamento repubblicano) è una peculiarità all’interno del sistema costituzionale italiano.

Partendo dall’appellativo “Regione Siciliana” e non “Regione Sicilia” come avviene per tutte le altre regioni, sia a statuto speciale che a statuto ordinario, la specialità dello statuto regionale della storica Trinacria affonda le proprie radici in un contesto storico-giuridico ben definito.

All’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, quando la Sicilia era al centro di una forte rivendicazione indipendentista[1] guidata dal Movimento Indipendentista Siciliano (MIS) e dalle scorribande del famoso bandito Salvatore Giuliano, per far fronte ad un clima di forte tensioni sociali e politiche in cui associazioni di stampo mafioso come “cosa nostra” giocavano[2] (e purtroppo giocano ancora) un ruolo di non poco conto, si pensò di creare all’interno della cornice unitaria nazionale, uno statuto per garantire ai cittadini siciliani una particolare forma di autogoverno.

Pensata dai famosi giuristi siciliani Salvatore Aldisio, Giuseppe Alessi, Giovanni Guarino Amella e Enrico La Loggia, l’autonomia speciale della Regione Siciliana fu messa nero su bianco dalla Consulta Regionale Siciliana, un’assemblea non elettiva di tipo costituente in cui erano rappresentate tutte le forze politiche, economiche e sindacali della Sicilia.

Poiché lo Statuto speciale della Regione Siciliana nasce quasi come fosse un accordo di origine pattizia tra lo Stato italiano e la Sicilia, esso fu prima “approvato” (in realtà si trattava di un semplice parere) dalla Consulta nazionale[3] e successivamente recepito all’interno della Costituzione repubblicana all’articolo 116, comma 1[4] dal primo Parlamento con Legge costituzionale n. 2 del 1948.

 

Peculiarità e forma di governo

Lo Statuto speciale della Regione Siciliana (al netto delle modifiche susseguitesi dal 1946 ad oggi) è composto da 46 articoli.

Fulcro del sistema di governo autonomistico è l’Assemblea Regionale Siciliana (ARS), la cui peculiarità, oltre che dal nome che ricorda altre famose assemblee legislative (prima tra tutte l’Assemblea Nazionale Francese[5]), deriva dal fatto che ai suoi componenti è consesso il titolo onorifico di Deputato. I Deputati dell’ARS esercitano un potere legislativo molto ampio, sia di tipo esclusivo[6] che di tipo attuativo[7].

Fino alla riforma[8] del Titolo V della Costituzione, il potere legislativo esercitato dall’Assemblea Regionale Siciliana era il più forte dopo quello riconosciuto al Parlamento nazionale.

Soffermandoci invece la forma di governo, è bene  far presente che fino al 1999 la Regione Siciliana ha adottato un sistema di tipo parlamentare-assembleare[9], con il Presidente e i membri della Giunta eletti singolarmente in seno all’ARS. Nel 2001, a seguito della spinta riformista iniziata nel resto d’Italia all’inizio degli anni novanta con l’elezione diretta dei sindaci prima e dei presidenti di regione poi, a partire dal la forma di governo assembleare della Regione Siciliana si è trasformata in neo-parlamentare, con un Presidente eletto a suffragio universale e diretto contestuale al rinnovo dell’assemblea legislativa.

Tale mutamento della forma di governo, ha introdotto anche nello Statuto speciale della Regione Siciliana il principio giuridico già utilizzato per i Comuni dell’aut simul stabunt aut simul cadent[10], letteralmente traducibile in “così come essi insieme stanno, essi insieme cadono”.

Cosa ha comportato tutto questo? L’esistenza (o il meglio rimanere in carica) di uno dei due organi è attualmente condizionata dalla resistenza reciproca. Ciò significa che l’eventuale sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, comporta inevitabilmente la decadenza dell’ARS, così come le dimissioni del capo dell’esecutivo regionale, comportano la cessazione in carica dell’assemblea legislativa.

 

Il Presidente della Regione Sicilia e la giunta regionale

Soffermandoci ora sulla figura del capo dell’esecutivo regionale, è bene far notare come l’autonomia speciale riconosca a quest’ultimo dei poteri singolari rispetto agli altri suoi omonimi regionali.

Infatti, secondo quanto previsto dall’articolo 21 dello Statuto speciale della Regione Siciliana Il Presidente è capo del Governo regionale e rappresenta la Regione. Egli rappresenta altresì nella Regione il Governo dello Stato, che può tuttavia inviare temporaneamente propri commissari per l’esplicazione di singole funzioni statali. Col rango di Ministro partecipa al Consiglio dei Ministri con voto deliberativo nelle materie che interessano la Regione.”

La portata di quest’articolo è rimasta in gran parte inattuata. Tuttavia le potenzialità riconosciute al vertice del Governo regionale danno ancora una volta l’idea di quanto particolare possa essere questa forma di autonomia regionale, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con lo Stato centrale.

L’aver elevato il Presidente della Regione al rango di Ministro quando partecipa al Consiglio dei Ministri su materie che interessano la Sicilia, ci aiuta infatti a capire intrinsecamente la natura originale dell’autonomia affermata dallo Statuto speciale della Regione Siciliana, più assimilabile a quella di un’entità originariamente autonoma all’interno di uno Stato federale, che non è quella di un ente derivato.

Per quanto riguarda invece le particolarità dell’organo collegiale esecutivo della Regione Siciliana, vale a dire la Giunta regionale, è bene evidenziare come gli assessori della Trinacria, rispetto a quanto previsto per i loro omonimi “ordinari”, non rilevino solo in quanto membri di un organo collegiale[11]. Citando Temistocle Martines “nelle Regioni ad autonomia speciale, l’assessore rileva oltre che come membro del collegio, altresì come titolare di un ufficio monocratico; in tale vesto è pertanto abilitato, nell’esercizio di competenze proprie, ad adottare provvedimenti (relativi al ramo di amministrazione assegnatogli) dotati esterna[12].”

 

Lo Statuto oggi e le parti di esso rimaste in gran parte inattuate

Come già anticipato precedentemente, la riforma del Titolo V ha di fatto quasi equiparato le regioni a statuto ordinario a quelle speciali.

Tuttavia, nonostante l’introduzione di una maggiore potestà legislativa in capo alle regioni ordinarie, lo Regione Siciliana mantiene ancora ad oggi alcune specialità che la rendono unica all’interno di tutto il panorama costituzionale italiano.

Di particolare interesse è senz’altro quanto previsto dallo Statuto speciale della Regione Siciliana all’articolo 23: “Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresì le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della Regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione, sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato.”.

Posto che la norma poc’anzi detta è rimasta disattesa per quanto riguarda la giurisdizione ordinaria e costituzionale (ma non per quella contabile e amministrativa[13]), è indubbio che l’autonomia in ambito giudiziario concessa alla Sicilia, l’avvicini più ad una specie Stato federato interno alla Repubblica Italiana che non ad un ente territoriale da essa derivato.

Di particolare interesse per la nostra analisi è anche l’articolo 31[14], che nell’affidare il mantenimento dell’ordine pubblico, a mezzo della Polizia di Stato, al Presidente della Regione, stabilisce che quest’ultima, all’interno dei confini regionali, dipenda disciplinarmente, per l’impiego e l’utilizzazione, dal Governo regionale.

Tale articolo, rimasto quasi totalmente inattuato dal 1946 per mancanza di norme attuative, ha conosciuto recentemente nuova vitalità grazie all’attuale Presidente della Regione Nello Musumeci, il quale ha portato alla ribalta l’applicazione integrale di questo parte sicuramente importante e caratteristica dello Statuto speciale della Regione Siciliana.

Passando ora all’analisi di quelle parti della “legge fondamentale” siciliana di fatto completamente inattuate se non addirittura abrogate, è bene soffermarsi sulle norme riguardanti la così detta Alta Corte.

Prima ancora che i costituenti nazionali pensassero ad una corte di legittimità costituzionale, la Consulta Regionale Siciliana stabilì all’articolo 24 dello Statuto che fosse “istituita in Roma un’Alta Corte con sei membri e due supplenti, oltre il Presidente ed il Procuratore generale, nominati in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione, e scelti fra persone di speciale competenza in materia giuridica (..)”.

Tale corte avrebbe dovuto, ai sensi dell’articolo 25, giudicare la legittimità costituzionale e statutaria sia delle norme emanate dall’Assemblea regionale che di quelle emanate dallo Stato. Di fatto mai entrata in funzione, nel 1957 la Corte Costituzionale (un anno dopo il suo insediamento) ha stabilito con sentenza n. 38 che la competenza in materia di giurisdizione costituzionale attribuita all’Alta Corte per la Sicilia dall’art. 25 dello Statuto debba ritenersi assorbita in quella della Corte Costituzionale. Secondo le motivazioni della Supremo Tribunale di legittimità costituzionale, quella dell’Alta Corte era infatti da ritenere una competenza provvisoria destinata a scomparire con l’entrata in funzione della Corte Costituzionale, così come peraltro previsto dalla VII disposizione transitoria, I comma, della Costituzione[15].

Di particolare interesse sono infine le così dette norme economiche dello Statuto speciale della Regione Siciliana, che all’articolo 37, I comma, stabiliscono che “Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi.” e che all’articolo 38 sanciscono che:  “Lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad un piano economico, nell’esecuzione di lavori pubblici. Questa somma tenderà a bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro nella Regione in confronto alla media nazionale. Si procederà ad una revisione quinquennale della detta assegnazione con riferimento alle variazioni dei dati assunti per il precedente computo.

 

Tali disposizioni, che avrebbero probabilmente garantito alla Sicilia un disagio economico-sociale assai minore rispetto a quello che ha vissuto e che vive tutt’ora, non sono mai state attuate per mancanza di volontà politica sia in capo alla Regione che in capo allo Stato.

 

Conclusioni

Se dovessimo azzardare un paragone con altri ordinamenti regionali o addirittura federali, potremmo dire che la Sicilia è per l’Italia quello che la Catalogna è per la Spagna o il Quebec per il Canada.

Molti sostengono che le recenti vicissitudini del regionalismo italiano richiedano una profonda revisione dello stesso che vada addirittura verso un’abolizione de facto delle regioni a statuto speciale.

Per quanto una revisione del Titolo V della Costituzione sia oltremodo necessaria anche alla luce della gestione sanitaria della pandemia da Covid19, chi scrive è dell’idea che l’autonomia siciliana sia un unicum che vada comunque preservato. È innegabile che anche all’interno del sistema giuridico siciliano ci siano delle storture da limare e modificare. Tuttavia i principi ispiratori che hanno portato alla specialità costituzionale della Sicilia devono essere preservati per dare nuovo vigore anche alle autonomie regionali del resto d’Italia.

Informazioni

T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di Diritto Regionale, Giuffrè, 2019

F. Pacilè, Le varie forme di governo parlamentare, DirittoConsenso, 2020

G. Pasquino, Partiti, istituzioni, democrazie, Il Mulino, 2014

[1] Esisteva addirittura un movimento d’opinione che chiedeva l’annessione della Sicilia agli Stati Uniti d’America.

[2] L’influenza e il ruolo di “cosa nostra” negli anni immediatamente successivi allo sbarco delle Forze Alleate è ormai da anni un fatto conclamato da numerose ricerche storiche e inchieste giudiziarie.

[3] L’assemblea legislativa non elettiva in cui erano presenti tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (CNL) e che traghettò l’Italia dalla caduta del regime fascista all’elezioni dell’Assemblea Costituente.

[4] “Il Friuli Venezia Giulia la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”.

[5] La camera bassa della Repubblica Francese.

[6] Articolo 14 dello Statuto Regione Siciliana: ” L’Assemblea, nell’ambito della Regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano, ha la legislazione esclusiva sulle seguenti materie:

a) agricoltura e foreste;

b) bonifica;

c) usi civici;

d) industria e commercio, salva la disciplina dei rapporti privati;

e) incremento della produzione agricola ed industriale; valorizzazione, distribuzione, difesa dei prodotti agricoli ed industriali e delle attività commerciali;

f) urbanistica;

g) lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale;

h) miniere, cave, torbiere, saline;

i) acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale;

l) pesca e caccia;

m) pubblica beneficenza ed opere pie;

n) turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio; conservazione delle antichità e delle opere artistiche;

o) regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative;

p) ordinamento degli uffici e degli enti regionali;

q) stato giudico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione, in ogni caso non inferiore a quello del personale dello Stato;

r) istruzione elementare, musei, biblioteche, accademie;

s) espropriazione per pubblica utilità.”

[7] Articolo 17 dello Statuto Regione Siciliana: “Entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, l’Assemblea regionale può, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, emanare leggi, anche relative all’organizzazione dei servizi, sopra le seguenti materie concernenti la Regione:

a) comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere;

b) igiene e sanità pubblica;

c) assistenza sanitaria;

d) istruzione media e universitaria;

e) disciplina del credito, delle assicurazioni e del risparmio;

f) legislazione sociale: rapporti di lavoro, previdenza ed assistenza sociale, osservando i minimi stabiliti dalle leggi dello Stato;

g) annona;

h) assunzione di pubblici servizi;

i) tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse regionale.”

[8] V. Legge Costituzionale n. 3 del 2001.

[9] V. G.Pasquino, Partiti, istituzioni, democrazie, Il Mulino, 2014.

[10] Sull’argomento: http://www.dirittoconsenso.it/2020/04/10/le-varie-forme-di-governo-parlamentare/ .

[11] Nelle regioni ordinarie gli assessori sono chiamati a svolgere solo attività funzionalmente connesse alla loro qualità di membri della giunta, preparando ovvero portando ad esecuzione le deliberazioni del collegio.

[12] T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di Diritto Regionale, Giuffrè, 2019.

[13] Grazie all’autonomia speciale in Sicilia le funzioni del Consiglio di Stato sono esercitate dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.

[14] Articolo 31 dello Statuto Regione Siciliana: “Al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il Presidente della Regione a mezzo della polizia dello Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente, per l’impiego e l’utilizzazione, dal Governo regionale. Il Presidente della Regione può chiedere l’impiego delle forze armate dello Stato.

Tuttavia il Governo dello Stato potrà assumere la direzione dei servizi di pubblica sicurezza, a richiesta del Governo regionale, congiuntamente al Presidente dell’Assemblea e, in casi eccezionali, di propria iniziativa, quando siano compromessi l’interesse generale dello Stato e la sua sicurezza.

Il Presidente ha anche diritto di proporre, con richiesta motivata al Governo centrale, la rimozione o il trasferimento fuori dell’Isola, dei funzionari di polizia.

Il Governo regionale può organizzare corpi speciali di polizia amministrativa per la tutela di particolari servizi ed interessi.”

[15]Fino a quando non sia emanata la nuova legge sull’ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme dell’ordinamento vigente.”


Governo parlamentare

Le varie forme di governo parlamentare

Un’analisi delle forme di governo parlamentare, dal modello Westminster al modello neoparlamentare

 

Caratteristiche del governo parlamentare, in breve

Pensare alla forma di governo parlamentare in ottica essenzialmente unitaria è assai fuorviante. Se è vero che il parlamentarismo è quel sistema di governo basato sulla cosìddetta centralità delle assemblee elettive, non esiste una sola forma di governo parlamentare. Il parlamentarismo è caratterizzato da alcune caratteristiche tipiche e generali, come ad esempio il rapporto fiduciario intercorrente tra legislativo ed esecutivo. Tuttavia la prevalenza di un potere sull’altro nella scelta delle politiche pubbliche e legislative da perseguire, è alla base delle varie differenziazioni all’interno dei sistemi parlamentari.

 

L’analisi dell’articolo: su cosa ci concentriamo?

Tralasciando la differenza tra parlamenti monocamerali e bicamerali, in queste poche righe proveremo ad analizzare la più antica forma di governo al mondo in tutte le sue attuali declinazioni, soffermandoci in particolar modo:

  • sul modello Westminster o di Premiership,
  • su quello Assembleare e
  • sul più recente modello Neoparlamentare.

 

Il modello Westminster

Quando parliamo di modello Westminster, intendiamo quel sistema di governo parlamentare fondato sulla premiership, vale a dire su una certa prevalenza dell’esecutivo nello stabilire quale legislazione e quali scelte politiche portare avanti in un paese[1].

Intendiamoci: in questa forma di governo non esiste alcuna legittimazione popolare dell’esecutivo, che continua ad essere vincolato alla fiducia parlamentare per potere esercitare a pieno le proprie funzioni.

Prendendo ad esempio il modello inglese, la più antica forma di governo parlamentare al mondo. Prende il nome Westminster in onore del palazzo in cui si riuniscono le due camere del parlamento inglese. Possiamo notare come questa tipologia di parlamentarismo prediliga la supremazia (di fatto se non di diritto) del governo/gabinetto nello stabilire l’agenda politica e dunque quali leggi approvare e quali no.

Ciò deriva da vari fattori, come ad esempio il sistema partitico (nei sistemi di premiership è solitamente presente il bipolarismo se non addirittura il bipartitismo), o il sistema elettorale. Tralasciando però questi aspetti più prettamente politologici, è bene soffermarsi sulla cosìddetta “fiducia costruttiva” e nella prevalenza del primo ministro/cancelliere/presidente del governo all’interno del governo.

 

La fiducia costruttiva nel modello Westminster

È cosa nota che in un sistema parlamentare il governo per poter entrare nel pieno delle suo funzioni deve godere della fiducia dell’organo rappresentativo della sovranità popolare: il parlamento.

Il governo funziona fin tanto che gode della fiducia dell’assemblea, secondo quelle che sono le tipiche dinamiche politiche di maggioranza e o opposizione. Nei modelli parlamentari Westminster poiché il governo è visto come il braccio armato ed esecutivo del Parlamento (il che spesso e volentieri comporta l’assenza di ministri che non ricoprano il ruolo di parlamentare), vi è una logica tendenza a favorire una certa stabilità degli esecutivi.

Ciò ha portato all’invenzione giuridica della “fiducia costruttiva”, vale a dire quel tipo di rapporto fiduciario che permette il cambio di governo a condizione che vi sia la contestuale designazione di un nuovo esecutivo.

Questo sistema, presente ad esempio in Germania e Spagna, ha senz’altro contribuito a garantire la stabilità dei governi, favorendo quel modello di premiership oggetto della presente analisi.

Altro caratteristica tipica dei sistemi a prevalenza esecutiva è il particolare ruolo giocato dal capo dell’esecutivo all’interno del governo. Se come vedremo a breve, nelle forme parlamentari assembleari colui che guida il governo non è altro che un primus inter pares, nel sistema di premiership il capo del governo è un primus super pares se non addirittura un primus super impares[2].

Ciò comporta una preminenza del Primo ministro/Cancelliere/Presidente del Governo su tutti gli altri ministri, il che si traduce non solo in un maggior potere di indirizzo di quest’ultimo in seno al Consiglio/Gabinetto, ma anche nella possibilità di poter rimuovere dall’incarico i ministri che non convergono con la linea del capo dell’esecutivo.

 

Il modello assembleare

Tra tutti i modelli di governo parlamentare, quello assembleare è sicuramente il più vicino all’idea insita nel parlamentarismo di centralità del potere legislativo[3].

Utilizzato nell’Italia della così detta “Prima Repubblica” (a livello statale quanto a livello locale) e nella Francia della “Quarta Repubblica”, il modello assembleare vede nel parlamento il centro nevralgico di tutto le decisioni. Da esso, infatti, derivano tutte le decisioni di natura politica e di natura legislativa.

È aratterizzato spesso e volentieri da leggi elettorali proporzionali (se il Parlamento è l’organo rappresentativo per antonomasia deve essere garantita la maggiore rappresentatività possibile) e da esecutivi deboli di breve durata. Il parlamentarismo assembleare tende a sacrificare la stabilità governativa[4] sull’altare della rappresentatività politica.

 

L’esecutivo nella forma di governo assembleare

In questa tipologia di governo parlamentare il capo dell’esecutivo è solitamente un primus inter pares, che non può sfiduciare i ministri a lui dissenzienti, e che si limita a coordinare la linea generale di governo tra i vari rami ministeriali. L’assenza di sfiducia costruttiva è alla base dell’instabilità del potere esecutivo, poiché è possibile togliere la fiducia ad un governo senza che vi sia un’alternativa ad esso.

È bene precisare come questa forma di parlamentarismo, sia dal punto di vista materiale che da un punto di vista sostanziale, sia caduta in disuso, per tutta una serie di fattori che richiedono, per quanto possibile, una maggiore stabilità dei governi, relegando dunque le assemblee parlamentari a controllori degli esecutivi o, nella peggiore delle ipotesi, a mere passacarte.

 

Il modello neoparlamentare

La necessità di bilanciare una più celere decisionalità nelle scelte politiche, con l’inevitabile centralità delle assemblee elettive nei sistemi parlamentari, ha portato recentemente alla creazione di un ibrido chiamato modello neoparlamentare[5].

Se nel sistema parlamentare classico l’unico organo ad avere la legittimazione diretta del popolo è il parlamento, nei modelli neoparlamentari abbiamo una doppia legittimazione popolare: quella dell’assemblea elettiva e quella del capo dell’esecutivo.

Al fine di non far “naufragare” il lettore nella confusione delle forme di governo presidenziali o semipresidenziali, è bene precisare che nei due modelli appena citati il vertice dell’esecutivo è sì eletto a suffragio universale come nei sistemi neoparlamentari, ma che la sua figura coincide anche con quella di capo dello Stato.

Nei modelli neoparlamentari, invece, il capo dell’esecutivo non assume la carica di capo dello Stato, essendo presente una figura terza (quasi sempre non eletta a suffragio universale) ed imparziale che assume queste funzioni in maniera spesso e volentieri in maniera del tutto cerimoniale.

 

Particolarità del sistema neoparlamentare

I poteri dell’esecutivo nel sistema neoparlamentare non sono difformi da quelli già presenti nel modello di premiership. Tuttavia, rispetto al modello Westminster, l’interconnessione tra legislativo ed esecutivo è assai più forte ed evidente, con un parlamento/assemblea elettiva meno succube nei confronti del governo e di chi lo presiede. Essendo infatti entrambi i poteri legittimati direttamente dal voto popolare, è impensabile prevedere per tale modello la sfiducia costruttiva.

Alla luce di quanto appena detto, con l’intento di rendere palese la maggiore connessione tra assemblea elettiva e governo, il modello neoparlamentare è caratterizzato dal principio giuridico del aut simul stabunt aut simul cadent, traducibile quasi alla lettera in “così come essi insieme stanno, essi insieme cadono”.

Cosa comporta tutto questo? In parole povere l’esistenza (o meglio il rimanere in carica) di uno dei due organi è condizionato a quello dell’altro. Ciò significa che l’eventuale sfiducia nei confronti del potere esecutivo, comporta inevitabilmente la decadenza del potere legislativo, così come le dimissioni del capo del governo, comporta la cessazione in carica dell’assemblea elettiva. Tutto questo produce un bilanciamento dei poteri non indifferente, poiché evita colpi di mano in capo al potere esecutivo e contestualmente inibisce il potere legislativo dall’essere eccessivamente inconcludente.

Tale sistema, utilizzato per un brevissimo periodo nello Stato d’Israele, ha avuto fortuna in Italia soltanto a livello locale, dove è utilizzato per tutti i livelli di governo (dal 1993 per gli Enti Locali e dal 2001 per le Regioni) con risultati tutto sommato soddisfacenti.

 

Considerazioni personali sulle forme di governo parlamentare

A conclusione di questa breve analisi su quello che, al netto dei difetti comunque perfettibili, è il sistema di governo più diffuso al mondo, è bene interrogarsi su quale sia il più efficiente.

Premettendo che l’efficienza è un canone che va relazionato agli obiettivi che si vogliono perseguire, è bene far notare come il giusto bilanciamento tra la rappresentatività ed efficacia nelle decisioni viene raggiunto, dal punto di vista di chi scrive, nei modelli neoparlamentari e nei modelli di premiership presenti in Spagna e in Germania.

Il modello Westminster tipico del Regno Unito e di molti Paesi del Commonwealth, per quanto affascinante, sacrifica notevolmente il ruolo del potere legislativo (che è quello letterale di “parlamentare” sulle scelte politiche e legislative di una nazione) sull’altare della governabilità. Il modello assemblare invece per quanto rappresentativo e democratico risulta poco efficace da un punto di vista prettamente attuativo[6].

Il giusto compromesso viene raggiunto in quei paesi dove, a fronte di un forte potere decisionale in capo all’esecutivo, è presente un potere legislativo con ampi poteri di controllo, di inchiesta e di indirizzo, che possa controllare l’operato del governo in carica, e rendendo dunque il sistema sia rappresentativo che efficace.

Informazioni

G. Sartori, Ingegneria Costituzionale Comparata, il Mulino 2013;

G. Pasquino, Politica e Istituzioni, Egea 2014

[1] Cfr. G. Sartori, Ingegneria Costituzionale Comparata, il Mulino 2004, pp. 118-122.

[2] Cfr. G. Pasquino, Politica e Istituzioni, Egea 2014, pp. 134-139

[3] Cfr. G. Sartori, Ingegneria Costituzionale Comparata, il Mulino 2013, pp. 124-125

[4] Il tema delle crisi di Governo è stato affrontato in un altro articolo di DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2019/08/15/governo-conte-e-crisi-di-governo/

[5] Cfr. G. Sartori, Ingegneria Costituzionale Comparata, il Mulino 2013, pp. 128-131

[6] Cfr. G. Pasquino, Politica e Istituzioni, Egea 2014, pp. 139-140


Le unioni civili

La legge n° 76 del 2016, meglio conosciuta come “Legge Cirinnà”, introduce nell’ordinamento giuridico italiano le Unioni Civili per le coppie omosessuali e le convivenze di fatto per le coppie eterosessuali e omosessuali, dando seguito a numerose sentenze delle corti statali e sovranazionali a tutela della vita familiare prevista dall’art. 8 della CEDU

 

La tutela giurisprudenziale delle coppie omosessuali in Italia

Prima dell’entrata in vigore della legge n° 76 del 2016, le unioni civili non avevano alcuna forma di tutela legislativa, salvo quanto statuito a livello giurisprudenziale dalla Corte di Cassazione[1] per la tutela di specifiche situazioni.

La Legge che introduce nel nostro ordinamento giuridico le Unioni Civili, ha come propria base di partenza sia la giurisprudenza della Corte Costituzionale[2] che quella della Corte EDU[3]. Il giudice di legittimità costituzionale italiano, pur riconoscendo alle coppie same-sex una tutela giuridica riconducibile alle specifiche formazioni sociali previste dall’art. 2 e non all’art. 29 della Costituzione[4], non riscontra in capo al legislatore alcun obbligo giuridico di rango costituzionale, per quanto riguarda l’estensione dell’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali. Stessa cosa, anche se con tonalità assai differenti, dicasi per il Giudice di Strasburgo il quale «ha riconosciuto anche alle coppie omosessuali il diritto al rispetto della vita familiare (art. 8 CEDU), intendendo in tale modo che la loro unione costituisce “famiglia” ai sensi della Convenzione (…) A sentire la Corte, gli Stati hanno un margine di discrezionalità tale per cui possono scegliere le modalità (il matrimonio o altra forma di tutela) in cui assicurare alle unioni tra persone dello stesso sesso. Essi non possono, tuttavia, sottrarsi agli obblighi imposti nella Convenzione. Di qui la condanna dell’Italia, nel più recente caso Oliari, dovuta proprio all’inadempimento di tale obbligo da parte del nostro legislatore»[5].

Su questi presupposti giurisprudenziali, il legislatore ordinario italiano ha costruito una legge dove le Unioni Civili hanno un regime giuridico simile, ma non uguale al matrimonio “tradizionale”, partendo dall’assunto che le prime hanno il proprio fondamento nell’art. 2 della Costituzione, quale specifica formazione sociale in cui si sviluppa la personalità individuale e a tutela della vita familiare[6], mentre il secondo nell’art. 29 della Costituzione, a tutela della famiglia quale «società naturale fondata sul matrimonio».

 

La legge Cirinnà

La prima cosa che balza all’occhio leggendo la legge 76/2016[7], è che questa è composta da un unico articolo di 69 commi (i primi 35 dedicati alle Unioni Civili, i restanti alle Convivenze di fatto). Tutto questo si spiega alla luce del fatto che la legge è stata approvata con un maxi emendamento su cui il Governo di allora ha posto la fiducia, al fine di evitare gli “inconvenienti” del voto parlamentare, dovuti alla presenza della stepchild adoption poi stralciata nel testo definitivo.

Analizzando il I comma[8], si evince fin da subito l’intenzione del legislatore ordinario di differenziare le Unioni Civili dal matrimonio codicistico. Il fatto che si tenga a precisare che il fondamento delle Unioni Civili siano gli articoli 2 e 3[9] della Costituzione, e l’utilizzo del verbo “istituire” al posto di “riconoscere”[10] denota chiaramente quel “separati, ma (non) uguali” che è alla base di questa nuova legislazione. L’assenza delle pubblicazioni e di una celebrazione[11], come previste per il matrimonio, e il fatto non si crei alcun rapporto di affinità con la reciproca parentela degli uniti civilmente, è un ulteriore sintomo di come le Unioni Civili siano un qualcosa di diverso rispetto al matrimonio “tradizionale”.

Ulteriore divergenza è quella riguardante gli obblighi scaturenti dall’unione civile, che hanno sì la loro base di partenza negli artt. 143 e 144 c.c., ma se ne discostano nel momento in cui viene a mancare “l’obbligo di fedeltà” previsto solo per il matrimonio, nel momento in cui l’espressione “bisogni della famiglia” viene sostituito con “bisogni comuni”, e nel momento in cui l’obbligo alla “collaborazione nell’interesse della famiglia” viene escluso per gli uniti civilmente. Ancora una volta siamo davanti a quella chiara volontà del legislatore italiano, di marcare la differenza (già citata nel precedente paragrafo) tra vita familiare e famiglia[12].  L’assenza dell’obbligo di fedeltà[13], per quanto opinabile, potrebbe essere giustificata dal fatto che (come vedremo a breve) non essendo prevista per le Unioni Civili la separazione e l’addebito, non si possa additare l’infedeltà “coniugale” quale motivo di separazione.

Altra sostanziale differenza tra matrimonio e Unioni Civili, è quella riguardante la cessazione degli effetti civili. Se per il matrimonio, prima del divorzio, è necessario un periodo di separazione (consensuale o personale) di sei mesi o un anno[14], per le Unioni Civili è necessaria una dichiarazione, anche disgiunta, in cui le parti manifestino la loro intenzione di sciogliere l’unione. Trascorsi tre mesi dalla suddetta dichiarazione, le parti possono procedere allo scioglimento dell’unione seguendo le norme di quanto previsto dalla “legge sul divorzio”, ma senza che l’autorità giudiziaria tenti la conciliazione[15].

La divergenza più eclatante però, è quella riguardante la materia delle adozioni poiché, ai sensi del comma 20 della legge 76/2016, non si applicano alle unioni civile le «disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184»[16], che rimane appannaggio esclusivo delle coppie eterosessuali. Questo discrimine, fondato ancora una volta sul presupposto (sbagliato) che le unioni same-sex non costituiscono una famiglia ai sensi dell’art. 29 della Costituzione, non tiene però in considerazione quella che è la realtà “delle famiglie arcobaleno”[17], tant’è vero che il legislatore, al fine di evitare un vuoto normativo prevede che «Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti»[18]. Questa frase ha consentito a numerosi tribunali italiani (Roma, Napoli e Milano per citare i più importanti) di riconoscere anche per le coppie omosessuali, nell’interesse superiore del minore, l’adozione in casi particolari e dunque la stepchild adoption. Sull’argomento si è recentemente espressa anche la Suprema Corte di Cassazione[19], la quale statuisce il principio «L’adozione deve realizzare il “preminente interesse del bambino” (Corte di Cassazione, Sez. I Civile, sentenza 19 ottobre 2011 n. 21651). Una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con questo principio quando il figlio del soggetto convivente con l’adottante abbia con quest’ultimo un rapporto del tutto equivalente a quello che si instaura normalmente con un genitore, al quale però l’ordinamento negherebbe qualsiasi riconoscimento e tutela»[20].

Per quanto riguarda invece la materia patrimoniale ed economica, le differenze con l’istituto matrimoniale “classico” sono pressoché inesistenti. Secondo quanto stabilito dal XII comma «Il regime patrimoniale dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, è costituito dalla comunione dei beni». L’equiparazione ha riguardato inoltre la materia pensionistica e assistenziale (diritto alla pensione di reversibilità, TFR etc.). Questa assimilazione al matrimonio in chiave patrimoniale ed economica, è sintomo tuttavia della costruzione di una scala di valori in cui i diritti patrimoniali anteposti a quelli civili, denotando ulteriormente il “separati, ma (non) uguali” già citato nel presente paragrafo.

 

Conclusioni sulle unioni civili

Dopo aver brevemente analizzato la Legge “Cirinnà”, è evidente come il nuovo istituto giuridico, tanto da un punto di vista formale quanto da un punto di vista sostanziale, sia un qualcosa di diverso dall’istituto matrimoniale “classico”. I presupposti giuridici (ed in parte politici), non permettono dunque di definire le Unioni Civili come un matrimonio omosessuale dal nome diverso.

È importante tuttavia ribadire che tanto la giurisprudenza della Corte di Cassazione, quanto quella della Corte di Strasburgo (un po’ meno quella della Corte Costituzionale, anche se non più recentissima[21]), hanno chiarito come non vi siano impedimenti costituzionali e pattizi alla piena accessibilità dell’istituto matrimoniale per le coppie omosessuali, trattandosi esclusivamente di una scelta politica del legislatore ordinario. L’auspicio è dunque che il legislatore italiano possa portare avanti la totale equiparazione giuridica delle coppie omosessuali con le coppie eterosessuali, dando piena attuazione all’uguaglianza formale e sostanziale dell’art. 3 della Costituzione italiana.

Informazioni

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/05/21/16G00082/sg

Aa. Vv., Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, in Giurisprudenza Italiana.

Attilio Gorrassini, CONVIVENZE DI FATTO E C.D. FAMIGLIA DI FATTO. PER UNA NUOVA DEFINIZIONE DELLO SPAZIO TOPOLOGICO DI SETTORE, in Rivista di diritto civile.

https://www.altalex.com/documents/news/2018/07/06/stepchild-adoption 

C. Cost., 15 aprile 2010, n° 138.

Cass. 15 marzo 2012, n° 4184.

CEDU, 21 luglio 2015, Oliari c. Italia.

Cass., 22 giugno 2016, n. 21651.

Cass., 31 maggio 2018, n. 14007.

L. 894/1970.

L. 184/1983

L. 55/2015

[1] Cass. 15 marzo 2012, n° 4184.

[2] C. Cost., 15 aprile 2010, n° 138.

[3] C. EDU, 21 luglio 2015, Oliari c. Italia.

[4] Il ché porta inevitabilmente, seguendo il ragionamento della Corte Costituzionale, ad escludere per le coppie omosessuali l’accesso al matrimonio previsto nel Codice Civile.

[5] Aa. Vv., Unioni civili e convivenze di fatto: la legge, in Giurisprudenza Italiana, 2016, 1771 ss.

[6] È importante far presente la differenza che intercorre tra “famiglia” e “vita familiare”. La prima va inserita (soprattutto in presenza di prole) in un’idea giuspubblicista che tutela questa formazione sociale quale nucleo fondamentale della società, mentre la seconda va letta in chiave squisitamente giusprivatista, a tutela delle personalità individuali.

[7] A questo link è disponibile il testo della legge http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/05/21/16G00082/sg

[8] «La presente legge istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto».

[9] Il richiamo all’articolo 3, basato sul II comma riguardante l’eguaglianza sostanziale, è al quanto contraddittorio se si pensa al fatto che per le coppie omosessuali si è istituito un regime diseguale rispetto a quello previsto per le coppie eterosessuali.

[10] Il termine “istituire” presuppone, a differenza del termine “riconoscere”, la creazione ex novo di un qualcosa d’inesistente, quando invece le coppie omosessuali sono realtà da ormai decenni.

[11] Secondo il II comma della L. 76/2016 «Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni».

[12] V. A. Gorrassini, CONVIVENZE DI FATTO E C.D. FAMIGLIA DI FATTO. PER UNA NUOVA DEFINIZIONE DELLO SPAZIO TOPOLOGICO DI SETTORE, in Rivista di diritto civile, 4/2017.

[13] È importante far notare che l’assenza dell’obbligo di fedeltà, da un punto di vista squisitamente sociologico, è sintomo di un’errata e fantomatica convinzione che le persone omosessuali siano più promiscue rispetto a quelle eterosessuali.

[14] V. L. n°55 del 2015 (Legge sul “Divorzio breve”).

[15] Art. 1 L. 894/1970 «Il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3».

[16] La legge sull’adozione l’affidamento di minori.

[17] Come già sopraccennato, nella proposta di legge originale era presente la c.d. stepchild adoption, vale la possibilità per una persona di adottare il figlio biologico del proprio partner.

[18] V. art. 44 L. 184/1983.

[19] Cass., 22 giugno 2016, n. 21651 – Cass., 31 maggio 2018, n. 14007.

[20] G. Vassallo, Stepchild adoption: anche genitore non biologico è madre dalla nascita, Altalex, 09/08/2018, disponibile a questo link https://www.altalex.com/documents/news/2018/07/06/stepchild-adoption, consultato il 08/01/2019.

[21] La famosa sent. 138 è ormai del “lontano” 2010.