A seguito della espressa volontà di collaborare in un nuovo contesto, l’Italia si impegna con una missione internazionale in Niger. Al contempo si vedrà la EUCAP Sahel Niger dell’Unione Europea
L’Italia e la presenza nel Sahel, cui bono?
Prima di parlare della EUCAP Sahel Niger è necessario fare un piccolo passo indietro. Poche settimane fa Paolo Gentiloni ha discusso sulla concreta possibilità che l’Italia partecipi ad una missione di pace in Niger[1]. Una notizia passata quasi inosservata, a pochi giorni dalla fine del 2017. Con il nuovo anno una novità: il ministro degli esteri Angelino Alfano ha annunciato l’apertura della prima ambasciata italiana in Niger e la prima in tutto il Sahel a dimostrazione dell’impegno non solo dell’Italia alla lotta alla tratta di persone ma anche per gli impegni derivanti dagli obblighi con l’UE[2]. Inoltre il ministro ha affermato che:
“L’Africa subsahariana rappresenta una priorità della politica estera italiana ed è per questo che ho deciso di effettuare la prima missione del 2018 in Africa occidentale e Sahel per visitare il Niger, il Senegal e la Guinea”
Un punto di svolta importante perché è proprio a partire dal 2018 che sono stati valutati gli impegni presi e le spese riguardanti le cooperazioni con vari Stati tra cui quella con il Niger. In primis le missioni all’estero potranno subire modifiche nella composizione e nel numero dei contingenti rendendo il dispiegamento delle forze più mirato a contrastare fenomeni vecchi e nuovi che immancabilmente occupano le sezioni notiziarie. La nuova missione si inserisce sì in un contesto geopolitico del tutto nuovo per l’Italia e al contempo si è deciso di ridimensionare i contingenti in Medio Oriente in Afghanistan e Iraq, ma non quello in Libano poiché la cooperazione con quest’ultimo Stato si basa su una cooperazione militare per arginare l’organizzazione di Hezbollah[3]. Tornando al Niger, il ministro della difesa Roberta Pinotti ha garantito che:
“Quella che sta per partire in Niger non è una missione combat, ma di addestramento e per il controllo dei confini che si coordinerà con i francesi e gli americani […]. La messa in sicurezza di quell’area contro il terrorismo e il contrasto alle reti criminali che gestiscono l’immigrazione clandestina è di interesse fondamentale per il nostro Paese”
L’Italia invierà in Niger 130 mezzi terrestri, 2 mezzi aerei, equipaggiamenti logistici e 470 soldati sul campo, e di questi ultimi subito 100, impegnati in compiti di addestramento delle forze di sicurezza nigerine, già affiancate da quelle francesi. La missione italiana è di tipo bilaterale e nasce a seguito di una richiesta formulata dal governo nigerino con nota 3436/MDN/SG del 1 novembre 2017. Il quadro di riferimento giuridico riguarda l’accordo bilaterale con la Repubblica del Niger del 27 settembre 2017 e la risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu UNSCR 2359 (2017) del 21 giugno 2017 “Peace and security in Africa”. Nel complesso delle operazioni militari euro-africane (cioè sia dell’Unione Europea, sia del G5 Sahel) nell’area sub-sahariana, i soldati italiani si uniscono alla presenza della Germania con 1.000 uomini tra Mali e Niger, agli oltre 4.000 francesi dell’operazione Barkhane, e ai 1.000 statunitensi impegnati nella missione di contro-terrorismo in Niger e in Mali. La missione dell’Italia è in un contesto geopolitico che non ha suscitato fino a circa tre anni fa un vero interessamento, zona invece assai più rilevante per la Francia. Si consideri che l’Italia invece è ben più preoccupata per le condizioni in cui versa la Libia, attualmente in una situazione precaria dalla morte di Gheddafi e di cui non si vede un rapido processo di stabilizzazione e di pace interna.
Sui siti di informazioni le reazioni sull’intervento italiano sono state piuttosto differenti[4], moltiplicatesi soprattutto dopo la votazione in aula del giorno 17 gennaio che ha dato ufficialità alle missioni internazionali per il 2018, tra cui appunto quella in Niger. Con questo articolo non entro nel merito politico e del ruolo dell’Italia, né su questioni storiche che porterebbero ad una lunga analisi sul colonialismo francese nell’area o sugli interessi economici della Francia. Ritengo opportuno a questo punto citare un’altra missione, la “EUCAP Sahel Niger”, una missione europea effettiva e operante, da non confondere con quella nazionale che partirà tra breve.
L’EUCAP Sahel Niger e il contesto geopolitico
L’EUCAP Sahel Niger è la missione di Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) dell’Unione Europea stabilita nel 2012 a seguito della richiesta di aiuto del governo nigerino nell’estate del 2012[5]. È stata istituita con la decisione 2012/392/PESC del Consiglio dell’Unione Europea del 16 luglio 2016, modificata e prorogata fino in ultimo, fino al 15 luglio 2018, dalla decisione (PESC) 2016/1172 del Consiglio del 18 luglio 2016. Con il fine di combattere il terrorismo e la criminalità organizzata, l’UE contribuisce nell’addestramento e nel supporto delle autorità nigerine nel già delicato sistema statale. Nel 2016 attraverso la EUCAP Sahel Niger sono state addestrati circa 3.000 unità delle forze di sicurezza interna, delle forze armate e della magistratura. Si aggiunga poi come l’Unione abbia riconosciuto non solo la precaria situazione politica dello Stato africano di cui parliamo, ma anche le problematicità dell’intero contesto geopolitico della regione dato che gli interessi coinvolti in Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger variano dalla lotta alla tratta di migranti, alla sicurezza, dallo smantellamento delle reti terroristiche, ai diritti umani. L’UE è infatti presente anche in Mali con la missione EUCAP Sahel Mali, a seguito, anche qui, di una richiesta del Governo del Mali, di un aiuto dell’UE per sconfiggere le varie fazioni ribelli che creano un’instabilità politica che si protrae dal 2014, e la missione EUTM Mali per l’addestramento delle forze armate maliane.
Perché allora quest’area così distante deve richiamare all’attenzione? Osservando una semplice carta fisica e inquadrando le statistiche nazionali, il Niger occupa una posizione centro occidentale nel deserto del Sahara ed è un vero e proprio crocevia della tratta trans-sahariana. Il Niger infatti è uno Stato senza sbocchi sul mare, il ventiduesimo per estensione tra l’Africa subsahariana e l’Africa più vicina all’Europa, quella affacciata sul Mediterraneo. Il Niger dal punto di vista politico, considerando l’ultimo decennio, ha trovato una parvenza di stabilità politica da pochi mesi dopo una delicata “transizione” di potere che, a partire dal 2011, ha ruotato attorno all’ex presidente Mamadou Tandja. Quest’ultimo, nel tentativo di prolungare il mandato presidenziale, venne deposto dal generale Salou Djibo, suscitando un’ancora più grande preoccupazione da parte degli Stati vicini e dalla comunità internazionale. Solo con le elezioni presidenziali del 2011 si è potuto ristabilire un ordine democratico, seppure molti ancora discutono sulla effettiva forza delle istituzioni nigerine. A ciò si aggiungono i seguenti dati: l’insicurezza alimentare è il primo problema del Niger. Il Paese si colloca al penultimo posto (187° su 188) nell’indice UNDP 2016 dello sviluppo umano[6] , con un trend che non ha mai avuto stravolgimenti, da anni ai livelli più bassi della sezione “Low Human Development”. Il Niger poi è sì nell’Africa occidentale ma viene ricondotto a quella zona unica al mondo nota come Sahel (il termine deriva dall’arabo sahil, traducibile come “bordo”[7]). Quest’ultimo rappresenta quella fascia non politicamente definita che separa il Sahara meridionale con l’Africa centrale, un’area particolarmente vasta che unisce più Stati da est a ovest: solitamente si includono Stati o parti di questi. Il Sahel è Gambia, Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, sud dell’Algeria, Niger, Nigeria, Camerun, Ciad, Sudan, Sud Sudan e Eritrea. L’area è tra le più povere del mondo[8], segnato da instabilità politiche che di certo non aiutano a risolvere problemi come fame, siccità, traffico di persone e malattie, in più la continua desertificazione[9] dei territori che non permette uno sviluppo dei terreni adeguato ai bisogni alimentari della popolazione: il Niger infatti sopravvive grazie agli aiuti umanitari, europei e da quelli derivanti dalla cooperazione instauratasi da pochi anni attraverso il G5 Sahel tra Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger. Tuttavia si fatica vistosamente ad ottenere risultati tangibili[10] proprio sulle questioni tanto rilevanti per una regione così instabile. L’EUCAP Sahel Niger quindi, concentrandosi su sicurezza e formazione delle autorità locali, avrebbe un grosso impatto per il Niger. A questo punto faccio un passo indietro e inquadro la Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’Unione Europea per capire perché l’EUCAP Sahel Niger possa garantire risultati per il Niger e per l’Europa.
La PESC: nobili intenti… piccoli risultati?
L’Unione Europea è da tempo un attore importante sulla scena internazionale e non solo dal punto di vista economico. L’evoluzione di un complesso sistema politico-istituzionale ha permesso sin dalle sue origini un approccio basato sul confronto e sulla diplomazia sia all’interno che all’esterno dell’Unione. Infatti l’Unione nei 60 anni di storia ha posto i concetti di relazione e di negoziato diplomatico in un’ottica nuova per l’intera Europa. Si pensi a quegli Stati che fossero volenterosi ad entrare nelle allora Comunità[11], quelli, solo per citarne alcuni, del Partenariato Orientale (PO) nella Politica Europea di Vicinato (PEV), oppure fossero Stati anche geograficamente lontani con cui si sono stabiliti le più svariate forme di partnerships[12]. La possibilità di istituire forme di cooperazione[13] rappresenta a rigor di logica un elemento chiave per il raggiungimento di tutti quegli scopi e obiettivi che vengono definiti all’interno dell’Unione: tra cui, appunto, le missioni internazionali. Tutto questo ha fatto maturare, seppur lentamente, la consapevolezza in seno all’Unione della sua responsabilità sul piano globale[14] in temi come il rispetto dei diritti umani[15], gli aiuti umanitari[16], le relazioni diplomatiche, la sicurezza. Si rimanda ad una sterminata letteratura non solo italiana, su questi temi, considerando inoltre lo stesso sviluppo della PESC in relazione all’attività dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza e del Servizio Europeo per l’Azione Esterna come uno degli argomenti su cui la dottrina potrà elaborare teorie e prospettive future. Per inquadrare invece l’attuale contesto normativo si vedano le disposizioni:
- sull’azione esterna (Capo I)
- sulla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) (Capo II) e
- sulla Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) (Capo II – Sezione 2) all’interno del Titolo V del TUE
ll Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, riconosce (art. 42(1) TUE) come l’Unione possa utilizzare i mezzi – sia militari sia civili – messi a sua disposizione dagli stati (art. 42(3) TUE) per l’espletamento di missioni all’esterno, al fine di garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale. Merita di essere sottolineato come ciò debba avvenire «conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite»: nel caso in cui l’operazione richieda l’uso della forza armata, dunque, sarà necessaria la preventiva autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza. Tuttavia, almeno a livello teorico, non pare potersi escludere che, nel caso in cui la situazione lo richieda, possa essere deciso lo stanziamento di una forza di reazione rapida anche in assenza di tale autorizzazione.
Dunque, e può sembrare paradossale, è proprio la politica estera che rimane ad oggi un concetto elusivo e non molto chiaro, probabilmente per il fatto che non trattandosi di una federazione di stati non ci sarebbe una coesa politica estera, né una forza militare centrale. Su questi temi si discute da tempo dei possibili sviluppi[17]. La gestione delle crisi, come quella in esame, è considerata quindi su una sorta di doppio livello: sia attraverso una visione globale (solitamente attraverso la cooperazione con l’ONU o la NATO) sia attraverso una visione sul proprio vicinato, i Balcani, l’Ucraina, l’Africa mediterranea e quella Sahariana. Ed è sotto questa lente di ingrandimento che l’Unione ha inteso creare intese di cooperazione nel campo della sicurezza e della difesa[18]. L’EUCAP Sahel Niger rientra tra questi sforzi dell’UE. La possibilità di collaborazione attraverso le missioni internazionali avvenne al di fuori dell’ordinamento dell’Ue, con l’elaborazione nel 1992 dei “compiti di Petersberg” da parte dell’allora Unione dell’Europa occidentale (Ueo) – organizzazione istituita nel 1948 con il Trattato di Bruxelles. L’obiettivo era assicurare un intervento coordinato da parte degli stati membri nell’eventualità di una crisi nei paesi ex-socialisti dell’Europa orientale. Tali compiti prevedevano: missioni umanitarie e di soccorso, missioni di mantenimento della pace, missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi. Il tema della politica estera e della sicurezza quindi ha preso forma solo alla fine del secolo scorso con il Trattato di Amsterdam del 1999 all’interno del quale sono stati appunto incorporati i “compiti di Petersberg” e assumono nuova importanza con il Trattato di riforma. Già nel lontano 2000 Chris Patten, commissario europeo per le Relazioni esterne, aveva delineato la visione europea della politica estera, con uno spirito che non è cambiato molto nonostante le più recenti minacce alla sicurezza e alla stabilità internazionale. Egli dichiarò che la PESC avrebbe dovuto essere coerente con i valori che animano le relazioni interne all’Unione e rammentò come, dopo il periodo buio e non senza responsabilità dell’Europa dei combattimenti in Bosnia e Kosovo, l’Unione dovesse impedire casi simili al conflitto nei Balcani con una maggiore prevenzione e con il dialogo fra le nazioni e le regioni potenzialmente in conflitto. Come anche Prodi nell’allora posizione di presidente della Commissione Europea, Patten era convinto che l’Unione Europea dovesse applicare la propria esperienza regionale di cooperazione multilaterale in un senso mondiale. Un’Unione così incentrata agli occhi di chi fosse lungimirante non può che oggi essere al centro dello scacchiere internazionale ma non per ergersi a strenuo difensore di un valore europeo esportabile in tutto il mondo ma attraverso il rispetto e il rafforzamento del diritto internazionale e soprattutto dei diritti umani.
La missione EUCAP Sahel Niger non è una missione sviluppata sui tavoli delle diplomazie europee nelle ultime settimane, infatti questa posizione è apparsa, secondo il mio parere, nella nomina a metà 2016 di Kirsi Henriksson come “Head of the EU civilian crisis management mission” in Niger[19], a conferma della problematica situazione in cui versa l’area. La questione migratoria, la rinnovata presenza di gruppi jihadisti (si prospetta infatti un aumento dei combattenti) e la presenza di risorse energetiche come uranio, petrolio, ferro e fosfati sempre più (strategicamente) importanti sembrano riservare all’area del Sahel una nuova centralità. Il fenomeno della tratta di migranti poi è favorito dalla porosità dei confini settentrionali, il che permette il fenomeno migratorio attraverso il Sahara in direzione Libia (si calcola infatti che la città di Agadez rappresenti una vera e propria fermata necessaria prima dell’inumana e pericolosissima traversata del deserto). In più, si aggiunga il pericolo dell’espansione della minaccia jihadista che in Africa non è mai stata considerata di minor importanza ma può pericolosamente crescere se si considera la sconfitta militare dello Stato Islamico in Medio Oriente. La nomina della Henriksson è a mio giudizio una scelta particolarmente indicata poiché vanta una lunga esperienza di lavoro nelle aree di crisi più delicate dell’ultimo decennio avendo tra le tante operato nella EUCAP Sahel Mali e nella EUBAM Libya, due operazioni europee i cui obiettivi sono simili a quelli della EUCAP Sahel Niger. Una figura quindi di alto livello, dati gli effetti che da una missione con questi fini possono derivare.
Le missioni internazionali rappresentano un difficile punto di prova politico-militare per gli Stati anche se attraverso le forme di cooperazione come quelle europee nel rispetto delle risoluzioni Onu. La tangibilità dei risultati non può essere valutata nel breve periodo poiché i fattori di crisi debbono essere oggetto di continua valutazione da parte degli analisti e delle diplomazie proprio in un contesto difficile come quello del Sahel e più specificamente del Niger. Con questa mia voluta cautela di linguaggio nell’articolo voglio quindi brevemente concludere in questo modo. Le due missioni di cui ho voluto parlare troveranno ancora spazio sui notiziari e saranno ancora attentamente seguite da tutti quegli attori della scena internazionale che ai tavoli delle trattative prima e in campo poi ritengono importante intervenire per impedire l’ulteriore aggravio di un contesto già segnato da gravi disequilibri. L’auspicio è che tali missioni, spesso sulla carta di nobili intenti ma nei fatti interventi “mascherati” da altri interessi, possano conseguire gli obiettivi stabiliti e che i risultati ottenuti siano fruibili per gli Stati del Sahel e per l’Unione Europea.
Informazioni
Le relazioni internazionali dell’Unione Europea: aspetti giuridici della politica estera, di sicurezza e di difesa comune, Paola Mariani, Giuffré Editore, 2005
Security and Defence Policy in the European Union, J. Howorth, Houndmills-Basingstoke-Hampshire, 2007
European Union economic diplomacy the role of the EU in external economic relations, S. Woolcock, Farnham : Burlington : Ashgate, 2012
Diritto dell’Unione Europea, Parte Istituzionale, G. Strozzi, R. Mastroianni, Giappichelli Editore, 2016
Diritti fondamentali e politiche dell’Unione Europea dopo Lisbona, S. Civitarese Matteucci, F. Guarriello, P. Puoti, Maggioli Editore, 2013
The international relations of the European Union, S. Marsh, H. Mackenstein, Hoboken : Routledge, 2014
The European Union’s External Action in Times of Crisis, P.Eeckhout, M. López Escudero, Portland, Oregon : Hart Publishing, 2016
Deserto vivo: Sahara e Sahel, passato e presente, Vanni Beltrami, Franco Angeli, 2003
Sahel nigerino: quando sopravvivere è difficile. Pressione demografica e risorse naturali, C. Carozzi, M. Tiepolo, Franco Angeli, 2006
Paradiso e potere. America ed Europa nel nuovo ordine mondiale, R. Kagan, trad. it. Milano, Mondadori, 2003, p. 66
Dagli imperi militari agli imperi tecnologici. La politica internazionale nel XX secolo, E. Di Nolfo, Roma-Bari, Laterza, 2003
[4] L’opinione di Domenico Quirico http://www.lastampa.it/2017/12/30/cultura/opinioni/editoriali/in-niger-una-missione-a-ostacoli-Lhbq4h7n0LAe4fNU0SlfZI/pagina.html ; l’opinione di Fulvio Scaglione http://www.linkiesta.it/it/article/2017/12/15/ecco-perche-i-soldati-italiani-in-niger-sono-la-cosa-giusta-da-fare/36508/ ; l’opinione di Gianandrea Gaiani http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-12-26/i-rischi-militari-e-politici-missione-niger–194001.shtml?uuid=AEHXpIXD
[5] https://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_int_concluse/EUCAP_SAHEL_NIGER/Pagine/default.aspx
[6] http://hdr.undp.org/sites/default/files/2016_human_development_report.pdf
[7] La natura del bordo saheliano riguarda la zona di contatto interamente pianeggiante tra deserto e steppa
[9] http://news.leonardo.it/desertificazione-per-il-wwf-emergenza-per-il-40-dei-terreni/
[11] Sull’adesione all’Unione Europea si vedano gli articoli 2 e 49 del TUE
[12] http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-301_en.htm
[13] Si pensi alle cooperazioni rafforzate ex artt. 326-334 TFUE, alle cooperazioni strutturate permanenti ex art. 42, par. 6, TUE e alla “clausola di solidarietà” ex art. 222 TFUE
[14] L’UE si è dotata di un vero e proprio corpo diplomatico con il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE), presieduto dall’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza
[15] La promozione, il consolidamento e la tutela dei diritti umani hanno assunto una sempre maggiore rilevanza nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea poiché rappresentano un fattore importantissimo sull’azione esterna dell’Unione nonché un ampio ventaglio di valori che l’Unione tutela
[16] L’UE è il principale donatore mondiale di aiuti allo sviluppo e la sua azione comprende tre elementi: l’aiuto di emergenza, l’aiuto alimentare e l’aiuto ai profughi e agli sfollati.
[17] Uno dei temi più controversi del settore, che risale fin alle origini del processo europeo, riguarda nientemeno che la Comunità Europea di Difesa del 1952. Al contempo si ricordi l’esistenza della NATO, un’alleanza militare che per alcuni, finito ormai la sua funzione “difensiva”, rappresenterebbe in realtà un ostacolo alla costituzione di un futuro esercito europeo. Si veda inoltre un altro articolo di DirittoConsenso qui
[18] È famosa la dichiarazione del Ministro degli esteri belga Mark Eyskens che, all’indomani della Guerra del Golfo, dichiarava come l’Unione fosse “an economic giant, a political dwarf, and a military worm”, quasi a voler confermare che l’Unione dovesse in realtà trovare un maggiore equilibrio tra quegli elementi tipicamente statali, in particolare in una difesa europea
[19] Comunicazione del Ministero degli Affari Esteri della Finlandia (Formin) http://www.formin.fi/public/default.aspx?contentid=349220&contentlan=2&culture=fi-FI

Lorenzo Venezia
Ciao, sono Lorenzo. Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca con una tesi sul recupero dei beni culturali nel diritto internazionale e sul ruolo dell'INTERPOL e con il master "Cultural property protection in crisis response" all'Università degli Studi di Torino, sono interessato ai temi della tutela dei beni culturali nel diritto internazionale, del traffico illecito di beni culturali e dei fenomeni di criminalità organizzata e transnazionale.