Il 9 agosto 2019 è stata depositata in Senato una mozione di sfiducia nei confronti del Governo Conte, con la conseguente apertura di una crisi di governo. Ma cosa si intende per crisi di governo e quali sono i possibili scenari a seguito dell’eventuale approvazione della stessa? Il presente articolo compie un’analisi dal punto di vista costituzionale su quanto dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi

 

La crisi di governo per il c.d. Governo giallo-verde ed il “contratto di governo”

Prima di addentrarci nel merito della questione, analizzando gli istituti costituzionali e la prassi sottesa alla crisi di governo, è utile fare un breve excursus storico sulla formazione – abbastanza travagliata – del Governo Conte.

Il Governo Conte è un Governo che non è espressione di un’unica maggioranza, intesa quale maggioranza composta da un unico partito. Nelle ultime legislature, ciò è abbastanza frequente, con Governi c.d. multipartitici, espressioni di coalizione instaurate tra i partiti che hanno raggiunto il maggior numero di voti. Il Governo Conte è stato soprannominato il “Governo giallo-verde”, poiché frutto di un’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Lega.

All’indomani del 4 marzo 2018, data in cui gli italiani si sono recati alle urne per il rinnovo delle Camere, i risultati erano i seguenti: sconfitta netta del Partito Democratico (18,7%), partito che nella precedente legislatura deteneva la maggioranza parlamentare; la coalizione di centro-destra si è accaparrata il circa 35%, e dei partiti componenti la coalizione la Lega è quella che ha conquistato più voti (17%), seguita da Forza Italia (14%) e Fratelli d’Italia (4%); il M5S, invece, raggiunge il 32% dei voti, rappresentando il partito che ha raggiunto il maggior numero di voti e divenendo, quindi, il primo partito in Italia[1].

Quindi, la politica italiana, a seguito delle elezioni del 4 marzo 2018, è divisa in 3 grandi forze, rappresentate, in ordine decrescente, dal M5S, dalla colazione di centro-destra e dal PD. Gli altri partiti rappresentano una minoranza poco rilevante, non arrivando neanche a sedere dietro i banchi del Parlamento poiché non si è raggiunta la soglia di sbarramento del 3%.

Il M5S è stato il partito con il maggior numero di voti, ma da solo non era capace di formare la maggioranza richiesta dalla legge elettorale vigente al momento delle elezioni, ossia il c.d. Rosatellum bis[2]. Pertanto, erano necessarie alleanze affinché si potesse raggiungere una maggioranza in Parlamento idonea a garantire in primis l’approvazione della mozione di fiducia da parte delle Camere nei confronti del nuovo Governo; e poi per garantire anche il corretto funzionamento dello stesso.

Intanto, il Presidente della Repubblica iniziò le consultazioni per la formazione di nuovo Governo, ex art. 92 Cost. Nelle more delle consultazioni si è pervenuti ad una maggioranza parlamentare, rappresentata dalla coalizione tra M5S e Lega, che intanto aveva abbandonato la coalizione di centro-destra. Tale coalizione viene definitivamente suffragata e concretizzata con la conclusione di un c.d. “contratto di governo”, che non è altro che un semplice accordo di coalizione che esprime gli impegni di entrambe le parti. In tale “contratto”, infatti, M5S e Lega hanno positivizzato i propri programmi politici e sono scesi a compromessi, stabilendo punto per punto, articolo per articolo, quali riforme attuare, anche se è dubbia la validità giuridica e una forza vincolante di tale “contratto”.

Pervenuti così ad una maggioranza parlamentare, le due forze politiche indicano al Capo dello Stato il nome di Giuseppe Conte come Presidente del Consiglio dei Ministri. Così il Presidente Mattarella affida all’Avv. Giuseppe Conte il compito di formare il Governo.

Non entreremo nel merito delle vicende travagliate che hanno visto la nascita del Governo Conte, in quanto destinate a costituire uno studio separato, ed inoltre non è rilevante ai fini della presente analisi. Ciò che è importante sottolineare è che il Governo Conte è nato da un accordo tra due partiti apparentemente in contrasto tra loro, con divergenze di vedute che, come vedremo, sono ricadute sulla vita del Governo stesso e che hanno portato, inevitabilmente, alla crisi[3].

 

Un’analisi costituzionalmente orientata della crisi

La crisi di governo è un evento che è destinato a sfociare nelle dimissioni di un governo, e le cause che la scatenano possono essere le più svariate.

Al tal proposito si suole distinguere tra crisi parlamentari e crisi extra-parlamentari.

Le crisi parlamentari sono quelle crisi di governo che nascono dalla votazione di una mozione di sfiducia ad opera di una o di entrambe le Camere; oppure può derivare dalla mancata approvazione di un disegno di legge presentato dal Governo e sul quale esso ha posto la questione di fiducia[4]; oppure, ancora, perché non è stata approvata la mozione di fiducia che comporta la nascita definitiva di un Governo: infatti, il Governo, una volta formato, deve presentarsi entro 10 giorni dalla sua formazione dinanzi alle Camere per ottenere la fiducia (art. 94 Cost.), e soltanto una volta che questa è stata ottenuta esso potrà prestare giuramento nelle mani del Capo dello Stato ed essere immesso, quindi, ufficialmente nell’esercizio delle proprie funzioni.

Pertanto, nel caso di crisi parlamentari, viene meno quel meccanismo di fiducia che intercorre tra Governo e Parlamento, tipico della forma di governo parlamentare vigente nel nostro ordinamento: il Governo “vive” fino a quando il Parlamento decide di farlo “vivere”, ma una volta venuto meno il Governo, vi è rischio che anche il Parlamento venga meno, per le ragioni che vedremo da qui a poco (secondo il principio simul stabunt, simul cadent), e lo stesso art. 94 Cost. richiede la continua fiducia delle Camere affinché il Governo possa continuare ad esercitare le sue funzioni.

Nel caso di crisi extra-parlamentari, invece, la crisi origina a seguito di contrasti e di rotture interne alla maggioranza politica e al Governo stesso, con la conseguenza che il Governo si dimette per l’impossibilità di poter esercitare efficientemente e completamente le proprie funzioni.

La crisi di governo non è espressamente prevista dalla Costituzione: l’art. 94 Cost., infatti, si limita a stabilire che il Governo deve avere la fiducia di entrambe le Camere, e che ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata. Inoltre prevede i requisiti per la presentazione della mozione di sfiducia e specifica che può essere discussa una volta decorsi tre giorni dalla sua presentazione.

Ma oltre a questo, la Costituzione non prevede altro, rimettendo tutto alla prassi.

Inoltre, la prassi testimonia anche la presenza della c.d. “parlamentarizzazione della crisi”, in cui il Presidente del Consiglio affronta il dibattito parlamentare sulla crisi stessa, e quindi rende conto di essa dinanzi alle Camere.

 

Che crisi è quella del Governo Conte?

Quella del Governo Conte potrebbe essere definita una crisi extra-parlamentare, poiché originata da dissidi interni alla compagine governativa, precisamente tra il vicepresidente Matteo Salvini e il M5S.

Anche se i due partiti inizialmente hanno cooperato per la formazione di un Governo, concludendo il c.d. contratto di governo, tra essi non correva – e, come è deducibile, non corre ancora – buon sangue. Le due esponenti politiche, infatti, erano ed hanno divergenze di vedute su più punti previsti dallo stesso contratto di governo. Pensiamo alla c.d. flat tax, che prevede un’aliquota unica per tutti i contribuenti (di dubbia costituzionalità, v. art. 53 Cost.); oppure pensiamo all’aumento dell’IVA per poter continuare a finanziare le manovre introdotte dalla legge di bilancio 2019. Ma ciò che ha portato ad una rottura definitiva è stata l’approvazione da parte della Lega della TAV (Treno Alta Velocità) Torino-Lione, fortemente contestata e contrastata dal M5S. Ed ecco, allora, che è scoppiata la crisi interna alla compagine governativa, con conseguenti attacchi a vicenda tra i due partiti.

Tuttavia, il 9 agosto 2019 la Lega ha depositato in Senato una mozione di sfiducia nei confronti del Governo Conte: ed ecco che allora sorgono dubbi circa la natura della crisi. Infatti, vista in quest’ottica, si dovrebbe trattare di una crisi parlamentare qualora la mozione di sfiducia venga approvata. Tuttavia, la mozione di sfiducia è frutto di una rottura interna al Governo e di un pressing ad opera del leader della Lega Matteo Salvini, e vista in quest’ottica dovrebbe trattarsi, pertanto – come evidenziato in precedenza – di una crisi extra-parlamentare.

La questione potrebbe essere risolta in questo modo: tralasciando per un momento il fatto che è stata presentata una mozione di sfiducia, e partendo dal presupposto che la crisi è originata all’interno della compagine governativa, si potrebbe definitivamente optare per la natura extra-parlamentare della stessa, per le ragioni di cui sopra. A tale affermazione bisogna muovere però delle obiezioni: a seguito di una crisi extra-parlamentare, solitamente (così è avvenuto nella maggior parte dei casi) il Governo rassegna le dimissioni volontarie, proprio per l’impossibilità di continuare i lavori a causa della rottura interna. Ciò non è accaduto da parte del Governo Conte: esso non ha (ancora) rassegnato le dimissioni.

Da ciò, quindi, possiamo affermare che la crisi ha senz’altro natura parlamentare, proprio perché si concretizzerà nell’approvazione di una mozione di sfiducia da parte del Parlamento, e in tal caso il Governo rassegnerà automaticamente le dimissioni, in quanto venuto meno quel rapporto fiduciario necessario, salvo rassegnare le dimissioni prima dell’approvazione della mozione di sfiducia: in tal caso, allora, si potrà tornare a parlare di crisi parlamentare.

Quindi, a mio avviso, è più corretto considerare la crisi del Governo Conte, almeno alla data del presente scritto, come una crisi parlamentare piuttosto che extra-parlamentare.

 

Possibili conseguenze

Ma quali potranno essere le conseguenze dell’attuale crisi, e quindi quali conseguenze accompagneranno lo scenario politico le dimissioni del Presidente del Consiglio Conte?

Possiamo rilevare diverse possibilità. Innanzitutto un Governo Conte bis, qualora il Capo dello Stato ravvisi la medesima maggioranza in Parlamento, con conseguente modifica della compagine governativa, in un’ottica di c.d. rimpasto governativo. Tale ipotesi però sembra, alla luce dei numeri in Parlamento, non possibile, salvo un’alleanza tra M5S e altri partiti esterni alla Lega, quali PD, unico partito possibile per l’alleanza (dato il ritorno della Lega nella precedente coalizione di centro-destra) e per costituire la funzionale maggioranza: una convivenza abbastanza difficile anche tra questi partiti.

Altra soluzione potrebbe essere la designazione di un nuovo Presidente del Consiglio ad opera del Presidente della Repubblica ex art. 92 Cost., tratto dalla stessa maggioranza parlamentare oppure da una diversa maggioranza che intanto può prendere piede nelle more della crisi. Quindi, il Capo dello Stato potrebbe individuare, a seguito delle consultazioni, una nuova maggioranza, o la maggioranza attuale potrebbe proporre un nuovo Presidente del Consiglio.

Ancora, ulteriore soluzione potrebbe essere lo scioglimento delle Camere a seguito delle dimissioni del Governo (secondo quanto detto supra) da parte del Presidente Mattarella, con conseguente convocazioni alle urne ed il Governo attuale potrà esclusivamente compiere gli atti ordinari, non potendo presentare nuove leggi, rimanendo in carica sino alla nomina di nuovo Governo per garantire la continuità dell’azione politica[5]. Tale scelta è un’extrema ratio alla crisi di Governo, in quanto la legislatura delle Camere è di 5 anni, e soltanto nell’impossibilità di trovare una maggioranza in Parlamento il Capo dello Stato ricorre allo scioglimento delle Camere e conseguente rinnovo delle stesse. Tale soluzione è quella auspicata da alcuni partiti, tra i quali la Lega, promotrice della mozione di sfiducia. Tuttavia, una tale soluzione potrebbe avere effetti disastrosi.

In primis, perché entro ottobre 2019 deve essere presentata la legge di bilancio 2020, documento contabile di tipo preventivo fondamentale per la gestione delle risorse finanziare dello Stato per il rispettivo anno. Inoltre, essa deve essere approvata entro il 31 dicembre, ed una mancata approvazione entro tale data comporta il c.d. esercizio provvisorio, che si ripercuote sull’amministrazione delle finanze dello Stato, in quanto quest’ultimo potrà esclusivamente riscuotere le entrate e non potrà sostenere spese oltre a quelle ordinarie (ad es., pagamento di stipendi, pensioni, debiti etc.). Uno scioglimento delle Camere ora non porterebbe alla formazione tempestiva di un nuovo Governo, dato che le elezioni, per vari iter burocratici, avverrebbero ad ottobre circa, con conseguente formazione del Governo verso metà novembre circa, ed impossibilità di approvare in tempo una legge di bilancio, con tutte le conseguenze del caso.

Inoltre, uno scioglimento delle Camere comporterebbe elezioni basate sul Rosatellum bis, e quindi si potrebbero riscontrare i medesimi problemi riscontrati nel 2018, con conseguente ritardo della nomina di un nuovo Governo e impossibilità di approvazione della legge bilancio. Possiamo dire, pertanto, che una simile scelta ricadrebbe, in modo negativo, sulle finanze dei cittadini e dello Stato.

Ultima possibilità è quella della nomina di un c.d. “governo tecnico” volto soltanto a modificare la legge elettorale e a presentare la legge di bilancio. Al momento, per quanto detto supra, questa è la soluzione più avallabile ed auspicabile, a mio avviso, per risolvere la crisi di governo: l’avallo di tale soluzione è data dal fatto che l’Italia non può permettersi un esercizio provvisorio, date le già pessime condizioni economiche dello Stato; inoltre, data la legge elettorale vigente, è l’unico modo per poter superare lo stallo in Parlamento.

Tuttavia, non resterà che attendere la scelta del Presidente della Repubblica, unica istituzione competente in materia, a seguito dell’eventuale approvazione della mozione di sfiducia.

Informazioni

R. Bin, Capire la Costituzione, Editori Laterza, 2002

R.Bin, Diritto Costituzionale, Giappichelli Editore, Torino, 2018

A. Pisaneschi, Diritto Costituzionale, Giappichelli Editore, Torino, 2014

Sulla mozione di sfiducia presentata dalla Lega: ansa.it/sito/notizie/politica/2019/08/08/crisi-governo-salvini-di-maio-conte-mattarella_985b8d8a-b324-489c-9f7f-1c353c28fdf9.html  

[1] Le percentuali ufficiali di tutti i partiti candidati alle elezioni per il rinnovo delle Camere del 4 marzo 2018 sono disponibili sul sito del Ministero dell’Interno: https://elezionistorico.interno.gov.it/index.php?tpel=C&dtel=04/03/2018&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S

[2] L. n. 165/2017, che prende il nome di Legge Rosato o Rosatellum bis dal nome del suo relatore On. Ettore Rosato.

[3] L’articolo di Repubblica: https://www.repubblica.it/politica/2019/08/20/news/crisi_di_governo_conte_al_senato-233949397/

[4] Per un’analisi completa della questione di fiducia e sul suo funzionamento, v. Gennaro De Lucia, “L’approvazione della legge di bilancio 2019”, in http://www.dirittoconsenso.it/2019/01/29/lapprovazione-della-legge-di-bilancio-2019/ . Qui ci limitiamo a ricordare che l’art. 94, co. 1 Cost stabilisce che il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni, salvo l’apposizione di una questione di fiducia da parte del Governo stesso, anche se ciò è avvenuta nella prassi, ma non vi è un obbligo costituzionale di dimissioni.

[5] Pisaneschi, Diritto Costituzionale, Giappichelli Editore, Torino, 2004.