Si può affermare, con un margine d’incertezza abbastanza ridotto, che le fonti del diritto internazionale siano mutate nel corso del tempo. Questo breve articolo vuole determinare se, e come, esse si siano adattate ai cambiamenti nei bisogni e nei valori della comunità internazionale
Le fonti di diritto internazionale: l’Articolo 38 dello Statuto della CIG ed altre fonti
La nostra analisi partirà dall’articolo 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia. Come notato da Roberts e Sivakumaran, questo è il classico punto di partenza per identificare le fonti di diritto internazionale[1]. Si effettuerà inoltre una panoramica su altre – potenziali – fonti non incluse nell’articolo 38, con lo scopo di far vedere come tale materiale possa essere considerato fonte di diritto internazionale, e come anch’esso possa essere cambiato nel corso del tempo. Particolare attenzione verrà riservata al diritto internazionale consuetudinario, sottolineando la differenza tra le cosiddette consuetudini “tradizionali” e “moderne”. Infine, verranno riportate le visioni critiche di alcuni studiosi sulla questione.
L’articolo 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia afferma quanto segue:
The Court, whose function is to decide in accordance with international law such disputes as are submitted to it, shall apply:
- a) international conventions, whether general or particular, establishing rules expressly recognized by the contesting states;
- b) international custom, as evidence of a general practice accepted as law;
- c) the general principles of law recognized by civilized nations;
- d) subject to the provisions of Article 59, judicial decisions and the teachings of the most highly qualified publicists of the various nations, as subsidiary means for the determination of rules of law.
This provision shall not prejudice the power of the Court to decide a case ex aequo et bono, if the parties agree thereto[2].
Per quanto sia datato[3], l’articolo 38 rappresenta ancora la base per l’individuazione delle fonti di diritto internazionale[4]. Questo grazie alla clausola inclusa nel primo paragrafo, che afferma che la Corte applicherà il diritto internazionale nelle sue decisioni; ciò quindi suggerisce che quanto elencato nell’articolo 38 costituisca fonte di diritto internazionale[5].
Tuttavia, i cambiamenti occorsi in seno alla comunità internazionale nel corso degli ultimi settant’anni sembrano mettere alla prova le disposizioni dell’articolo 38, almeno nel senso che le fonti ivi elencate costituiscano le sole fonti del diritto internazionale. È pensiero diffuso, infatti, che altro materiale, come ad esempio le dichiarazioni unilaterali da parte degli Stati, vadano considerate come fonti di diritto internazionale[6]. Per di più, anche le risoluzioni degli organi dell’ONU hanno acquisito una certa importanza nel corso degli ultimi anni[7]. Questo è, in particolar maniera, il caso delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Durante la Guerra Fredda, a causa delle divisioni presenti in seno alla comunità internazionale, esso mancava della coesione interna necessaria per adottare alcuni regimi regolatori su determinate questioni. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e specialmente dopo il 2001, si è però assistito ad un mutamento in questo senso, con il Consiglio di Sicurezza che ha adottato varie misure risultate poi efficaci, ad esempio nell’affrontare le crisi nell’ex Jugoslavia o nella lotta al terrorismo[8].
Anche il cosiddetto jus cogens, costituito da norme inderogabili che creano obblighi erga omnes per gli Stati, è da alcuni studiosi considerato come fonte di diritto internazionale, in costante mutamento e adattamento ai bisogni ed ai valori della comunità internazionale. La questione è però dibattuta, in quanto lo jus cogens viene da alcuni considerato come prassi generale dal valore legale accettato (“general practice accepted as law”), da altri come parte del diritto internazionale consuetudinario e da altri ancora come elemento a sé stante[9]. Lo stesso contenuto delle norme di jus cogens è elemento di dibattito tra i giuristi, per cui non si entrerà nel merito della questione limitandosi a menzionarne l’esistenza.
Il diritto internazionale consuetudinario: consuetudini tradizionali vs. consuetudini moderne
Un’interessante trasformazione nelle “classiche” fonti di diritto internazionale, forse – o probabilmente, nell’opinione di chi scrive – dovuto al loro adattamento ai cambiamenti avvenuti in seno alla comunità internazionale, può essere osservato nel diritto internazionale consuetudinario[10]. Per formare una consuetudine sono necessari due elementi, uno oggettivo e l’altro soggettivo: rispettivamente, la prassi degli Stati e l’opinio juris sive necessitatis[11]. Questa sembra essere una regola accettata nel diritto internazionale, come affermato anche dalla Corte internazionale di giustizia nel suo giudizio sul caso Nicaragua[12]. In sostanza, il primo elemento va identificato in una prassi coerente e generalizzata da parte degli Stati[13], cioè nelle loro azioni[14]. Il secondo elemento va invece individuato nei documenti e nelle dichiarazioni ufficiali da parte degli Stati[15].
Questa può sembrare una semplificazione eccessiva per distinguere i due elementi, ma non è questa la sede per risolvere tale annosa questione. Ciò che importa nella presente analisi è che sembra possibile riconoscere due tendenze differenti nell’identificazione delle norme consuetudinarie, che Roberts e Sivakumaran definiscono consuetudini “tradizionali” e “moderne”[16]. Come i due giuristi fanno notare, per identificare le consuetudini “tradizionali” viene usato un processo induttivo[17]. Ci si concentra sulla prassi degli Stati, mentre l’opinio juris è rilegato ad un ruolo secondario, atto a distinguere tra strumenti giuridici e non giuridici[18]. La Corte di giustizia internazionale, nel caso North Sea Continental Shelf, ha affermato che “State practice…should [be] both extensive and virtually uniform in the sense of the provision invoked”[19] e che “it should moreover have occurred in such way as to show a general recognition that a rule of law or legal obligation is involved.”[20].
D’altro canto, l’approccio adottato per derivare le consuetudini “moderne” prevede una metodologia deduttiva, che mette in primo piano l’importanza dell’opinio juris[21]. Un esempio a supporto di questa tesi si può trovare nel giudizio sul Nicaragua case della CIG. In questo caso, la Corte “[did] not consider that, for a rule to be established as customary, the corresponding practice must be in absolutely rigorous conformity with the rule.”[22]. Infatti, ha ritenuto “sufficient that the conduct of States should, in general, be consistent with such rules.”[23]. Se uno Stato non agisce in conformità a detta norma e rivendica la legalità delle sue azioni facendo appello a presunte eccezioni della norma stessa, allora “the significance of that attitude is to confirm rather than to weaken the rule.”[24].
Una delle ragioni dietro a questo cambiamento di approccio da parte della CIG potrebbe essere dovuta ai mutamenti intercorsi in seno alla comunità internazionale negli ultimi settant’anni. Come fa notare Murphy, c’è una divergenza tra i Paesi avanzati e quelli in via di sviluppo su cosa costituisca prassi statuale[25]. I primi tendono a considerare solo gli atti dei governi, i secondi tendono ad espandere tale concetto anche a dichiarazioni e legislazioni non vincolanti redatte da attori non statali come la Commissione del diritto internazionale o l’Assemblea generale dell’ONU[26].
Un punto di vista critico
Posizioni come quella espressa da Murphy originano un altro problema. Se le dichiarazioni adottate a maggioranza, come ad esempio le risoluzioni dell’Assemblea generale, creano norme di diritto internazionale, allora gli Stati più deboli potrebbero trovarsi avvantaggiati nel plasmare delle nuove consuetudini[27], una possibilità di certo non considerata dai – relativamente pochi – membri dell’ONU nei primi anni di vita dell’organizzazione[28]. Come notato da d’Aspremont, “[the] international norm-making has undergone an intricate and multi-fold pluralization”[29] e ciò risulta in un’autorità normativa, un tempo in mano ai soli Stati, estesa anche ad attori non statali[30]. La questione ivi sollevata è che l’inclusione di soggetti non statuali nel processo legislativo abbia in un certo senso portato ad una “deformalizzazione” nell’identificazione delle norme di diritto internazionale[31], causando un distacco da “questions of law ascertainment”[32], sempre più percepite come “irrilevanti”[33].
Positivo o negativo che sia, questo allargamento della base di attori che prendono parte al processo legislativo internazionale, volto ad includere anche quelli non statuali, dimostra come le fonti di diritto internazionale si siano adattate ai cambiamenti intercorsi nella comunità internazionale.
Conclusioni
Riassumendo, le fonti del diritto internazionale, inizialmente identificate esclusivamente dall’articolo 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, non si limitano (più) a quanto ivi elencato. Esse hanno inoltre subito un mutamento nella loro stessa natura[34]. Ciò è particolarmente evidente quando si prendono in esame le norme consuetudinarie ed il loro processo di formazione, come asserito dalla stessa CIG[35]. Rispetto alle consuetudini moderne, le consuetudini tradizionali richiedevano più tempo e più prassi statuale per formarsi[36]; mentre negli ultimi anni si è assistito ad un notevole incremento del ruolo giocato dall’opinio juris[37]. Ciò ha addirittura portato alcuni a concludere che sia possibile assistere alla nascita di consuetudini “istantanee”[38]. Nella presente analisi non è importante se il valore legale di quest’ultime sia accettato o meno: esse sono comunque indicative delle trasformazioni che le fonti di diritto internazionale hanno subito nell’adattarsi ai cambiamenti avvenuti nella comunità internazionale dal secondo dopoguerra in poi.
Informazioni
Nicaragua v. United States of America [1986] ICJ Rep 14 [1986]
North Sea Continental Shelf [1969] ICJ Rep 3 [1969]
Statuto della Corte internazionale di giustizia 1945 (disponibile su https://www.icj-cij.org/en/statute, ultimo accesso 25/10/19)
D’Amato A, The concept of custom in international law (Cornell University Press 1971)
D’Aspremont J, Formalism and the Sources of International Law (Oxford University Press 2011)
Evans M (ed), International Law (Oxford University Press 2018)
Murphy J F, The Evolving Dimensions of International Law (Cambridge University Press 2010)
Shaw M N, International Law (8th edn, Cambridge University Press 2017
Shelton D, Soft Law in Handbook of International Law (Routledge Press 2008)
Sinagra A e Bargiacchi P, Lezioni di Diritto internazionale pubblico (Giuffrè 2016)
Kammerhofer J, ‘Uncertainty in the Formal Sources of International Law: Customary International Law and Some of Its Problems’ (2004) 15 EJIL 523
Si parla anche di nucleo duro dei diritti umani: http://www.dirittoconsenso.it/2019/10/02/i-core-rights-treaties-il-cuore-dei-diritti-di-ogni-uomo/
[1] Anthea Roberts e Sandesh Sivakumaran, ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 90
[2] Statuto della Corte internazionale di giustizia 1945 disponibile su https://www.icj-cij.org/en/statute (ultimo accesso 25/10/19)
[3] Lo Statuto della CIG risale al 1945, ed è basato su quello della Corte permanente di giustizia internazionale, stabilita contestualmente alla Società delle Nazioni dal Covenant nel 1922
[4] Anthea Roberts e Sandesh Sivakumaran, ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 90
[5] ibid 90-91
[6] ibid 100-101
[7] ibid 101
[8] Malcolm N. Shaw, International Law (8th edn, Cambridge University Press 2017) 948
[9] Anthea Roberts e Sandesh Sivakumaran, ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 101-102
[10] Nel presente articolo si è scelto di distinguere tra i concetti di “diritto internazionale consuetudinario” e “diritto internazionale generale”. Sebbene alcuni autori, come Sinagra e Bargiacchi in Lezioni di Diritto internazionale pubblico (Giuffrè 2016) considerino le due diciture sinonimi, per una maggiore chiarezza ci si riferisce solamente al diritto internazionale consuetudinario, considerando i principi generali come una fonte differente. L’autore si allinea perciò con la visione di Roberts e Sivakumaran in ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 92
[11] John F. Murphy, The Evolving Dimensions of International Law (Cambridge University Press 2010) 16-17; Anthea Roberts e Sandesh Sivakumaran, ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 92
[12] Nicaragua v. United States of America [1986] ICJ Rep 14 [1986], [183]
[13] Anthea Roberts e Sandesh Sivakumaran, ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 92
[14] Anthony D’Amato, The concept of custom in International Law (Cornell University Press 1971) 89-90
[15] ibid 160
[16] Anthea Roberts e Sandesh Sivakumaran, ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 104
[17] ibid
[18] ibid
[19] North Sea Continental Shelf [1969] Icj Rep 3 [1969], [74]
[20] ibid
[21] Anthea Roberts e Sandesh Sivakumaran, ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 104
[22] Nicaragua v. United States of America [1986] ICJ Rep 14 [1986], [186]
[23] ibid
[24] ibid
[25] John F. Murphy, The Evolving Dimensions of International Law (Cambridge University Press 2010) 17
[26] ibid
[27] ibid
[28] ibid
[29] Jean d’Aspremont, Formalism and the Sources of International Law (Oxford University Press 2011) 2
[30] ibid
[31] ibid 4
[32] ibid 1
[33] ibid
[34] Anthea Roberts e Sandesh Sivakumaran, ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 100
[35] Nicaragua v. United States of America [1986] ICJ Rep 14 [1986], [183]
[36] Si veda, ad esempio, North Sea Continental Shelf [1969] ICJ Rep 3 [1969], [74]
[37] Anthea Roberts e Sandesh Sivakumaran, ‘The Theory and Reality of the Sources of International Law’ in Malcolm Evans (ed), International Law (Oxford University Press 2018) 100
[38] John F. Murphy, The Evolving Dimensions of International Law (Cambridge University Press 2010) 18

Nicolò Brugnera
Ciao, sono Nicolò. Sono nato a Monfalcone nel 1994 e dopo la maturità ho intrapreso la carriera marittima di ufficiale di coperta. Qualche anno fa ho deciso di iscrivermi all'Università di Trieste, dove ho anche avuto modo di passare due semestri in Lituania tramite il programma Erasmus. Mi sono laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche nel 2019, con una tesi sull'uso della forza nelle controversie internazionali ed un focus sull'intervento americano in Vietnam. Proprio scrivendo la tesi mi sono appassionato al diritto internazionale, in particolare dei conflitti armati. Ciò mi ha spinto a proseguire i miei studi in tale direzione: attualmente frequento l'Università di Aberdeen per un master in diritto internazionale e studi strategici.