I rapporti di lavoro e i contratti co.co.co. in relazione alla situazione lavorativa italiana

 

L’origine dei co.co.co e le sue caratteristiche

Prima di passare alla trattazione dei contratti co.co.co., è necessario fare un excursus storico. Lo svolgimento dei rapporti di lavoro nel corso degli ultimi 50 anni è stato caratterizzato dal presentarsi di situazioni concrete in continua evoluzione, portando alla creazione di nuove fattispecie legali in materia lavoristica. Nel 1973, con la legge 533, nasce il contratto d’agenzia: la ratio della disciplina era quella di estendere la disciplina del rito del lavoro a dei rapporti atipici mai regolati da norme sostanziali. [1]

L’art. 409 del codice di procedura civile definisce “rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione quelli che si concretano in una prestazione d’opera continuativa e coordinata prevalentemente personale anche se non di carattere subordinato”.

Tale enunciazione pone un accento sull’impossibilità di ricondurre ad un unicum questi rapporti lavorativi, che presentano elementi costituivi coincidenti col lavoro subordinato, da cui però si differenziano: le collaborazioni, infatti, comportano l’inserimento funzionale nell’organizzazione lavorativa al fine del compimento della prestazione, gestita autonomamente dal collaboratore, al fine di raggiungere uno scopo preciso.

La prestazione, però, deve essere svolta senza che il committente eserciti il potere direttivo e di controllo tipico del lavoro subordinato, perché ne deriverebbe che il collaboratore non possa essere definito autonomo bensì un classico lavoratore dipendente. Questo ibrido giuridico, su cui giurisprudenza e dottrina continuano a confrontarsi, nel tempo ha dato vita al concetto di “parasubordinazione”[2]: l’elemento che maggiormente differenzia le collaborazioni coordinate e continuative dal normale lavoro subordinato è la necessaria realizzazione di un “opus perfectum”, un’opera finita; la gestione del tempo, calendarizzata e definita dal datore di lavoro nel lavoro subordinato, qui assume un significato diverso perché assume importanza esclusivamente al fine di raggiungere lo scopo per cui è stato stipulato il contratto, venendo dal collaboratore stesso.  L’adempimento si realizza, di conseguenza, attraverso la consegna o la realizzazione del compito stesso. [3]

È inutile negare che il mercato del lavoro e le correlate posizioni lavorative siano in continua evoluzione sociale e giuridica e da ciò deriva la rischiosa possibilità dell’utilizzo di fattispecie giuridiche elastiche come i co.co.co. al fine di eludere le stringenti normative in materia di lavoro subordinato soprattutto in ambito contributivo.

Appare quindi scontato, come purtroppo è accaduto e ancora accade, che vari datori di lavoro assumano i propri dipendenti tramite contratti di co.co.co., individuando fittizi progetti o programmi da svolgere e millantando un’autonomia nello svolgimento della prestazione che, seppur descritta in contratto, di fatto manca: la naturale conseguenza è la riduzione in capo al lavoratore di tutele previdenziali e l’accrescimento del naturale dislivello tra la posizione del datore di lavoro e quella del dipendente.

 

Interventi legislativi in materia

La legislazione in materia di co.co.co. appare oscillante e poco decisa, potendo senza alcun dubbio sostenere di essere ancora lontani da una stabilizzazione. La fattispecie in esame ha subìto negli anni variazioni e modifiche rilevanti: i co.co.co., utilizzati per ben 40 anni, erano stati sostituiti nel 2003 tramite il D.Lgs. n° 276 (detto Decreto Biagi) dai contratti a progetto. Questa forma contrattuale era stata prevista dal legislatore al fine di limitare i citati casi di subordinazione mascherata: la legge prevedeva che il contratto dovesse essere redatto in forma scritta e, elemento indispensabile, che venisse illustrato il progetto specifico e circostanziato che il committente doveva porre in essere; inoltre era esclusa la possibilità che al lavoratore venisse imposto di svolgere mansioni estranee a quelle previste dal progetto.

L’attività di collaborazione coordinata e continuativa prestata dal lavoratore a progetto doveva essere riconducibile a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso e l’indicazione generica dello stesso non bastava a qualificare il rapporto come parasubordinato, tanto che il lavoratore in mancanza di tale requisito poteva richiedere giudizialmente la conversione del proprio incarico in rapporto subordinato a tempo indeterminato.

Il legislatore aveva sentito la necessità di intervenire attivamente in modo da evitare il ricorso a tali rapporti al fine di eludere i costi di una normale assunzione di personale subordinato sia a livello di spesa fiscale che contributiva, prevedendo criteri stringenti per la stipulazione di contratti a progetto.

Nel 2015, tramite il D.Lgs. n°81 in attuazione del Jobs Act, troviamo l’ennesimo cambiamento di rotta, col quale i contratti a progetto vengono eliminati e si torna alle originarie collaborazioni coordinate e continuative, senza però tener conto del fatto che il contesto sociale in cui si intessono i rapporti lavorativi è del tutto diverso rispetto a quello dei primi anni 70. L’abrogazione dell’esplicito riferimento al progetto ha portato inevitabilmente a gravi difficoltà di interpretazione della fattispecie in oggetto, alla quale si è tentato di ovviare con l’aggiunta di un secondo comma all’art. 409 c.c.p. nel 2017, grazie alla Legge n°81 che recita: “la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilita di comune accordo tra le parti, il lavoratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”.

Appare quindi cristallino che il legislatore si sia ultimamente concentrato sul modus operandi del lavoratore piuttosto che sulla struttura organizzativa in cui opera il committente, lasciando da parte l’originario riferimento all’inserimento funzionale nella stessa al fine di ottenere uno specifico risultato. Questo scenario non poteva che aprire la via ad ulteriori punti interrogativi, alla luce del fatto che i datori di lavoro possano, qualora abbiano intenti elusivi, districarsi abilmente tra norme obiettivamente poco chiare.  A patire le conseguenze di questa confusione non sono solo i lavoratori ma le aule giudiziarie, chiamate continuamente a interpretare volta per volta criteri di “autonomia” e “organizzazione” che il legislatore per primo non ha saputo delimitare.

 

Ultime novità in materia di co.co.co.

Nel corso degli ultimi due anni i contratti di collaborazione continuata e coordinativa sono tornati alla cronaca in particolare per la spinosa questione delle tutele in capo ai lavoratori impiegati dalle piattaforme informatiche di cibo a domicilio. In data 2 novembre 2019 è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale la legge n°128/2019, di conversione del D.L. n. 101/2019 che interviene con una serie di misure a tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali. Il punto rivoluzionario della normativa è senza dubbio la nascita di una branca delle classiche co.co.co., la collaborazione continuata e coordinativa eterodiretta.

Questa soluzione normativa deriva dalla necessità di regolare l’ennesimo ibrido giuridico nato all’ombra della discesa economica del food delivery tramite app: le imprese che lavorano in questo settore sono sempre più numerose e sempre più numerosi sono i ragazzi assunti come fattorini tramite co.co.co.[4]

Al fine di regolare la loro delicata posizione, il D.L. n°101/2019 ha disposto alcune disposizioni urgenti per coloro che operano attraverso “piattaforme digitali”, disponendo che debba trovare applicazione la disciplina del lavoro subordinato quando “le modalità di esecuzione della prestazione sono organizzate tramite piattaforme digitali”.  Va sottolineato che il legislatore non abbia definito i riders veri e propri lavoratori subordinati, ma collaboratori che, in virtù della propria delicata posizione, sono meritevoli di ottenere la tutela tipica del lavoratore subordinato. In realtà la disciplina è parziale e sconnessa, poiché la nuova collaborazione eterodiretta esclude che possano essere applicate le norme in materia di licenziamento di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Qual è la conseguenza? Ovvio: in un’epoca in cui il food delivery è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità, le imprese, al fine di limitare i costi, necessitano di gestire il personale liberamente potendo licenziare un collaboratore o assumerne un altro quando le fluttuazioni di mercato lo richiedono senza alcuna conseguenza risarcitoria.

Nonostante questo nuovo tipo di collaborazione coordinata e continuativa sia nata esplicitamente in seguito a pressanti richieste sociali e non abbia assolutamente tutelato a pieno la posizione dei lavoratori in oggetto, l’ulteriore rischio è quello che l’utilizzo di questa categoria giuridica venga ampliato ad altri lavoratori che si trovino nelle stesse condizioni.

Le novità introdotte dal decreto e dalla legge attuativa sono incentrate principalmente sulla necessità di incanalare queste moderne categorie lavorative nell’ambito dei macro gruppi tradizionali dell’autonomia e della subordinazione.

È innegabile che siano stati fatti dei piccoli passi in avanti ma allo stesso tempo è altrettanto allarmante la mancanza di tutela per tutti gli altri dipendenti che di fatto sono sottoposti a forme più o meno intense di etero-organizzazione e che non possono rivolgersi all’autorità giudiziaria per evitare eventuali abusi.

La flessibilità nelle assunzioni dei collaboratori è volta a ridurre almeno teoricamente gli alti tassi di disoccupazione, alla mercé di un mercato del lavoro che per quanto flessibile e moderno non è accompagnato dalla protezione del lavoratore o del collaboratore: il risultato è l’accrescersi di uno sfruttamento legalizzato ed in continua evoluzione.

In definitiva possiamo solo auspicare che il legislatore, in maniera definitiva e compiuta, regoli l’ambito dei co.co.co. distaccandosi dal concetto ormai anacronistico per il quale è nato, incentivando le imprese a creare posti di lavoro accompagnati da adeguate garanzie.

Informazioni

G. Santoro-Passarelli, I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Una fattispecie in via di trasformazione? Napoli, 2015

G. Pera, in Agente con rappresentanza e diritto a provvigione per gli affari promossi, ma conclusi dal committente, note a Cass. n.2485, Dir. Lav., II,

G. Santoro-Passarelli, in Diritto dei lavori e dell’occupazione, Giapichelli editore, Torino, 2015.

F.Rotondi, L.Solari, – Jobs App Un nuovo contratto di lavoro per l’economia digitale

Caterina Milia ha anche parlato di Cassa Integrazione in questo articolo.

https://www.wikilabour.it/

http://www.dirittierisposte.it/default.aspx

https://www.italiaoggi.it/

[1] G. Santoro-Passarelli, I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Una fattispecie in via di trasformazione? Napoli, 2015

[2] G. Pera, in Agente con rappresentanza e diritto a provvigione per gli affari promossi, ma conclusi dal committente, note a Cass. n.2485, Dir. Lav., II,

[3] 5 G. Santoro-Passarelli, in Diritto dei lavori e dell’occupazione, Giapichelli editore, Torino, 2015.

[4] F.Rotondi, L.Solari, – Jobs App Un nuovo contratto di lavoro per l’economia digitale