Una ricostruzione dell’istituto della “cittadinanza” nell’ordinamento costituzionale, anche alla luce dell’adesione dell’Italia all’Unione europea, prospettandosi così un diritto ad una cittadinanza italiana ed europea
Gli elementi costitutivi dello stato moderno e la cittadinanza
Lo Stato moderno trova i suoi fondamenti nel “popolo”, nella “sovranità” e nel “territorio”. In particolare il primo si delinea quale insieme di uomini che formano una collettività politica capace di autodeterminarsi per il raggiungimento di determinati fini (i.e. “sovranità”); è inoltre indispensabile la condizione di convivenza per un certo tempo in uno stesso luogo (i.e. “territorio”)[1]. È tuttavia il potere costituito che individua i soggetti che possono formare il proprio “popolo”, attraverso l’istituto della “cittadinanza”.
Essa è definibile come l’appartenenza degli individui allo Stato attraverso un criterio scelto da quest’ultimo: l’afferenza può essere data dallo ius soli, cioè da una mera interdipendenza territoriale. In un’altra prospettiva la connessione si realizza attraverso lo ius sanguinis, ovverosia un legame di parentela che permette il passaggio della cittadinanza di padre in figlio. L’attualità, inoltre, ci pone innanzi ad un ulteriore criterio, quello dello ius culturae, quale acquisizione della cittadinanza in base a percorsi di istruzione e formazione in quel determinato Stato: in buona sostanza è necessaria la prova della condivisione di determinati valori, i quali non sono quelli di un costituzionalismo interno bensì universale, derivante – per l’appunto – dai principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo[2] e che vengono recepiti dall’ordinamento attraverso gli artt. 10 e 11 Cost.[3]
Tale ultima soluzione, dunque, riconosce un concetto di appartenenza sociale ed assiologica, la quale consente la partecipazione alla vita politica del Paese come governante e non solo come governato. Il fenomeno dell’immigrazione – declinatosi in diversi modi nei millenni e che oggi è oggetto di acuti dibattiti politici – ha iniziato ad espandersi rispetto alla dimensione regionale con la globalizzazione.
Già in epoca romana, Caracalla introdusse un suo Editto nel 212 d.C. in ordine alla “cittadinanza espansiva”[4]: è pur vero che quest’ultima aveva prima facie una finalità speculativa volta all’allargamento della base contributiva, ma trovava comunque un suo fondamento nel valore della tolleranza. Ecco che l’imperialismo classico è da considerarsi un leading case rispetto a quello moderno di tipo anglosassone: tale ultimo si caratterizza per il fatto che i cittadini delle colonie hanno il diritto di voto ma non possono accedere all’elettorato passivo, venendo meno – dunque – quella condizione di appartenenza politica piena allo Stato.
Un riconoscimento diversificato della cittadinanza se da un lato è giustificato perché si pone come strumento per la difesa dei valori nazionali, dall’altro si configura quale ossimoro in quanto limita quegli stessi valori che intende difendere.
La cittadinanza nell’ordinamento costituzionale italiano
La Costituzione italiana non disciplina espressamente le vicende inerenti all’acquisto, al mantenimento ed alla perdita della cittadinanza, in quanto questa si configura come nozione presupposta dato l’art. 22 Cost. ai sensi del quale nessuno ne può essere privato per motivi politici. La norma si prospetta quale applicazione diretta del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. il quale diviene vincolante per il legislatore nel momento in cui deve – seppur discrezionalmente – disciplinare il regime della cittadinanza. Essa rileva come uno dei diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 Cost. e dunque elemento imprescindibile dell’antropocentrismo che permea la Carta repubblicana.
Questa ricostruzione permette di considerare la cittadinanza come una sorta di capacità giuridica di diritto pubblico in virtù di un tendenziale legame con fattori storici, culturali, etnici di quella Nazione. L’essere cittadino – come è noto – implica la titolarità di diritti e doveri in conformità al carattere unitario della Costituzione: essa può essere considerata Legge fondamentale dello Stato, tra le altre, proprio perché contiene una clausola di supremazia – riconosciuta dai soggetti istituzionali e dai cittadini – che regola in modo efficiente i rapporti tra Stato e Persona e tra questa e l’intera Società.
Una tutela del cittadino-Persona in una prospettiva relazionale non può prescindere anche dall’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Ciò è espressione del dovere di fedeltà alla Repubblica enucleato nell’art. 54 co.1 Cost.: tale principio implica l’adesione ai valori su cui si fonda il “patto costituente”. Diversamente la titolarità dei diritti inviolabili ex art. 2 Cost. non implica lo status di cittadino italiano, in quanto essi sono riconosciuti e garantiti ad ogni essere umano in quanto tale.
A tale conclusione si giunge anche in ordine ad alcuni diritti esplicitati in Costituzione: si pensi all’art. 3 Cost. il quale – benchè affermi la pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i <<cittadini>> – è da considerarsi quale principio applicabile ad ogni persona, interpretazione – questa – facilmente ricavabile dal prosieguo nella lettura della norma; contrariamente, invece, a quanto previsto per il diritto di voto ex art. 48 Cost, il quale – impiegando il termine <<cittadini>> – intende riferirne la titolarità solo ed esclusivamente a questi ultimi. Dunque la cittadinanza si prospetta come diritto fondamentale e come tale è irretrattabile.
Alla luce di ciò è da condividersi la giurisprudenza della Corte costituzionale[5] secondo la quale le bandiere – quali emblemi nazionali della natura giuridica della cittadinanza – “designano simbolicamente un certo Paese, l’identità d’un determinato Stato e, se mai, anche l’ideologia che la maggioranza del popolo di quest’ultimo accetta e propone al confronto internazionale”, ma poiché lo Stato liberale non possiede contenuti ideologici “le bandiere valgono soltanto quale simbolo identificatore d’un determinato Stato e, se mai, di precisi, inconfondibili ideali dai quali muove il popolo e, conseguentemente, la sua sovranità”. Di modo che la cittadinanza sia configurabile come istituto necessariamente anche internazionale e non solo interno, tanto da essere sintomatico di un “ordinamento aperto”, così come impongono gli artt. 10 e 11 Cost.
A tal proposito una successiva pronuncia del Giudice delle Leggi[6] ha chiarito che la posizione del cittadino è ontologicamente diversa da quella dello straniero, poiché il primo ha un legame fisiologico con la comunità nazionale che diviene anche e soprattutto nesso giuridico ma non la condicio sine qua non per il godimento delle libertà fondamentali.
La disciplina ordinaria in materia
La legge ordinaria dello Stato italiano in ordine alle modalità di acquisto, perdita e riacquisto della cittadinanza è da ravvisarsi – rebus sic stantibus – nella n. 91 del 1992 e nel d.P.R. n. 572/1993 quale suo regolamento di esecuzione.
Tale legislazione individua come criteri di acquisto della cittadinanza lo ius sanguinis e lo ius soli: dunque è cittadino italiano rispettivamente chi è figlio di padre o madre italiani e chi è nato nel territorio della Repubblica italiana da genitori entrambi ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono; è considerato cittadino per nascita, inoltre, il figlio di ignoti ritrovato sul territorio della Repubblica, se non viene provato il possesso di altra cittadinanza[7]. Essa, poi, a determinate condizioni tassativamente previste, può essere concessa anche dal Ministro dell’Interno o dal Presidente della Repubblica, su istanza presentata da un privato legittimato dalla legge[8].
La perdita della cittadinanza può avvenire per rinunzia ovvero automaticamente. La prima ipotesi si configura quale atto spontaneo di un soggetto che acquista una cittadinanza straniera decidendo di sostituirla e non affiancarla a quella italiana; a ciò deve contestualmente seguire la residenza all’estero. La perdita automatica, invece, è prospettabile quando il cittadino italiano accetta un incarico da altro Stato o ente pubblico e/o internazionale di cui l’Italia non è parte, ovvero presta servizio militare per uno Stato estero e non dà seguito all’intimazione del Governo di lasciare la carica ovvero il servizio[9].
Nonostante la perdita della cittadinanza, la l. 91/1992 consente di riacquistarla – previa manifestazione di volontà in tal senso – prestando servizio militare per lo Stato, assumendo un incarico pubblico alle dipendenze italiane, stabilendo entro un anno la residenza nel territorio della Repubblica (nel caso di perdita per aver accettato un incarico pubblico da Stato straniero ovvero per aver prestato servizio militare a favore di questo, il termine è di due anni)[10].
Nel 2015, alcuni parlamentari avevano proposto l’introduzione dello ius culturae nell’ordinamento italiano: più precipuamente si sarebbe voluta garantire la cittadinanza italiana a minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni e che avevano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico, nella specie le scuole elementari o medie; inoltre i nati all’estero ma arrivati in Italia fra i 12 e i 18 anni avrebbero potuto ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico. La Camera approvò il disegno di legge il quale, invece, si arenò irrimediabilmente al Senato[11]. Ma la questione è tornata ad essere discussa tra i banchi delle Camere recentemente con una proposta – all’esame della commissione “Affari costituzionali” -, la quale prevede che: “L’acquisto della cittadinanza si configura [pertanto] come un diritto sottoposto a una condizione sospensiva, consistente nel compimento di un corso di istruzione che certifica l’avvenuta acquisizione delle conoscenze culturali e della formazione civica necessarie per una piena integrazione del giovane nella società italiana”.
Proprio per la già richiamata vocazione internazionale del diritto di cittadinanza è da auspicarsi che l’iter legislativo in materia di ius culturae, declinato in tal senso, continui fino alla promulgazione da parte del Capo di Stato.
Definire i cittadini europei
L’affermazione di principio contenuta nell’art. 11 Cost. ha consentito la partecipazione dell’Italia a numerose organizzazioni internazionali volte ad assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni. Tra queste ha un ruolo di primo piano, sicuramente, quella che è nata come Comunità europea e che oggi è divenuta Unione Europea. Proprio l’art. 20 del Trattato sul Funzionamento dell’UE riconosce la cittadinanza europea a chiunque sia cittadino di uno Stato membro. La cittadinanza europea, dunque, deriva da quella nazionale ed è complementare ad essa perché non la sostituisce.
Autorevole dottrina[12] sostiene che quella europea – proprio per quest’ordine di ragioni – si profila come cittadinanza di secondo grado. Alla pari della cittadinanza di uno Stato-nazione, quella europea implica l’esercizio di diritti e l’adempimento di obblighi: ex multis, la libera circolazione in tutto il territorio dell’UE, l’elettorato attivo e passivo per le elezioni del Parlamento europeo e per quelle comunali del luogo di residenza, il diritto di petizione al Parlamento europeo e di ricorrere al Mediatore, la protezione diplomatica[13].
Il passo successivo, pertanto, è di tipo culturale in ragione del fatto che il cittadino italiano deve riconoscersi non solo come tale ma anche come europeo: ciò implica un sentimento di appartenenza storica, etnica, politica, ordinamentale non rilegata alla propria Nazione ma che si apre all’esterno in un’ottica cooperativa e propositiva.
Informazioni
Castorina, 1997, Introduzione allo studio della cittadinanza. Profili ricostruttivi di un diritto, Milano, Giuffrè Editore
Catania, 2000, Stato, cittadinanza, diritti, Torino, Giappichelli Editore.
Grosso, 1997, Le vie della cittadinanza, Padova, CEDAM.
Lippolis, 1994, La cittadinanza europea, Bologna, Il Mulino.
Modugno (a cura di), 2019, Diritto pubblico, Torino, Giappichelli Editore.
Sessa, 2014, Cittadinanza espansiva ed espansione della cittadinanza. Politiche di integrazione e motivazione culturale al reato tra la Roma antica e il mondo attuale in Studia et documenta historiae et iuris, vol. LXXX, pp 171 e ss.
Tesauro, 2012, Diritto dell’Unione europea, Padova, CEDAM.
Zolo (a cura di), 1994, La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Roma-Bari, Editori Laterza.
[1] Cfr. MODUGNO (a cura di), 2019, Diritto pubblico, Torino, Giappichelli Editore, pp 51-52.
[2] Proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948.
[3] Definite “disposizioni costituzionali internazionalistiche” dal prof. Massimo PANEBIANCO in seno al Convegno “Diritti e democrazia”, 5-6 dicembre 2019, Università degli Studi di Salerno.
[4] Per approfondimenti sul tema si veda SESSA, 2014, Cittadinanza espansiva ed espansione della cittadinanza. Politiche di integrazione e motivazione culturale al reato tra la Roma antica e il mondo attuale in Studia et documenta historiae et iuris, vol. LXXX, pp 171 e ss.
[5] Cfr. sentenza n. 189 del 1987.
[6] Cfr. sentenza n. 62 del 1994.
[7] Cfr. art. 1 l. 91/1992.
[8] Cfr. artt. 7, 8, 9 l. 91/1992.
[9] Cfr. artt. 11, 12 l. 91/1992.
[10] Cfr. artt. 13, 14, 15 l. 91/1992.
[11] “La Commissione affari costituzionali della Camera, all’inizio della legislatura, aveva avviato in sede referente l’esame di 25 proposte di legge e svolto un’indagine conoscitiva in sede istruttoria, valutando dapprima un’ipotesi molto ampia di riforma. Nel corso dell’istruttoria il perimetro della discussione è stato successivamente limitato all’estensione dei casi di acquisizione della cittadinanza per i minori nati o formati in Italia. La proposta di riforma è stata approvata dall’Assemblea della Camera il 13 ottobre 2015, per poi essere trasmessa al Senato dove tuttavia l’esame non ha concluso il proprio iter entro lo scioglimento delle Camere”. Fonte:https://www.camera.it/leg17/465?tema=integrazione_cittadinanza
[12] Cfr. MODUGNO (a cura di), 2019, Diritto pubblico, Torino, Giappichelli Editore, p. 54.
[13] Per approfondimenti sul tema, si veda LIPPOLIS, 1994, La cittadinanza europea, Bologna, Il Mulino.

Angela Federico
Ciao, sono Angela. Dottoressa in Giurisprudenza cum laude con una tesi sul diritto alla vita, ho perfezionato i miei studi con il Master SIOI in Studi Diplomatici e attualmente ricopro la funzione di addetta all'Ufficio per il Processo presso la sezione penale del Tribunale di Castrovillari. Nutro un particolare interesse per tutte le materie attinenti al diritto pubblico generale, i.e. diritto costituzionale, diritto internazionale pubblico, diritto dell'Unione europea e delle altre organizzazioni internazionali. Parlo fluentemente inglese e spagnolo e mi aggiorno quotidianamente sulle questioni di attualità internazionale più rilevanti.