Considerazioni sull’uso legittimo delle armi da parte delle forze dell’ordine nel codice penale e nella giurisprudenza di cassazione

 

L’istituto nel codice penale

L’uso legittimo delle armi è disciplinato nel codice penale all’art. 53, con una scelta non casuale da parte dei codificatori di collocarlo subito dopo l’adempimento di un dovere (art. 51 cp) e la legittima difesa (art. 52 cp), viste le tante somiglianze tra questi istituti.

Il codice penale suddivide l’uso legittimo delle armi in tre distinte fattispecie:

  1. nel primo comma sono ricomprese le ipotesi di uso di armi “per respingere una violenza o vincere una resistenza all’autorità” e
  2. per “impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona”;
  3. il terzo comma, poi, funge da norma di chiusura, ricomprendendo gli altri casi previsti da leggi speciali.

 

Attualmente, per esempio, sono previste ipotesi di legittimo utilizzo delle armi per la repressione del contrabbando[1].

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione soggettivo della norma, questo istituto si riferisce ai soli pubblici ufficiali tra i cui doveri istituzionali rientra l’uso della coercizione fisica, ovvero gli ufficiali e gli agenti di forza pubblica: agenti della Polizia di Stato, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza; vengono esclusi, invece, gli agenti di Polizia Municipale e le guardie giurate. Tuttavia, ai sensi del comma 2 dell’art. 53 “la stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale gli presti assistenza”.

 

La ratio dell’uso legittimo delle armi

Quanto alla ratio dell’istituto valgono simili considerazioni rispetto alla legittima difesa[2].

Si tratta, infatti, di una vistosa deroga alle norme del diritto penale, dal momento che si consente ad un soggetto di usare armi ed altri mezzi di coazione fisica, di conseguenza accettando la possibilità che l’agente compia atti penalmente rilevanti, quali possono essere l’omicidio o le lesioni. In diritto si parla a questo proposito di cause di giustificazione (o scriminanti) per definire delle situazioni in cui l’ordinamento, al ricorrere di specifiche circostanze indicate dalla legge, ammette come legittima la commissione di un atto individuato dalla legge penale come reato.

Le circostanze che la legge richiede perché si configuri un uso legittimo delle armi richiamano in parte quelle già indicate per la legittima difesa.

In merito ai presupposti di legittimità è utile richiamare la distinzione tra le due fattispecie di uso legittimo di armi contenute nel primo comma dell’art. 53. Sono richiesti, quindi, per il primo caso la necessità, la proporzione ed una situazione di violenza o resistenza all’autorità; per il secondo caso parimenti ci dovranno essere necessità e proporzione, ma implicitamente il dato letterale della norma richiede anche una situazione che configuri gli estremi del tentativo di uno dei delitti menzionati dalla norma (strage, naufragio, disastro aviario ecc.). Allo stesso modo qualora il comportamento dell’agente ecceda i limiti posti dalla legge, questi ne risponde a titolo di eccesso colposo ai sensi dell’art. 55 cp, sempre che il fatto costituisca reato[3].

Come si diceva in apertura, e come si evince dal ragionamento esposto circa i presupposti di legittimità, esiste una rilevante somiglianza tra la scriminante dell’uso legittimo delle armi, da un lato, e la legittima difesa e l’adempimento di un dovere dall’altro. Così l’uso legittimo delle armi finisce per avere un ambito d’applicazione autonomo molto ristretto.

Pensiamo al caso in cui un agente della forza pubblica subisca un’aggressione mentre esegue un’importante operazione di ricerca di un latitante; se l’agente risponderà al pericolo con l’arma di ordinanza il suo comportamento sarà certamente riconducibile all’ambito applicativo oggettivo dell’uso legittimo di armi, ma la fattispecie ricade nell’altra scriminante della legittima difesa in quanto si è configurata un’aggressione ai danni di un soggetto che ha legittimamente reagito.

 

Alcuni casi giurisprudenziali

Un’analisi solo dottrinaria e dogmatica dell’istituto non permetterebbe di cogliere a pieno la portata e il significato di tale istituto, né risulterebbe intellegibile un criterio di distinzione tra questa scriminante e le altre. Pertanto un’esposizione della casistica giurisprudenziale può risolvere qualche dubbio e rendere più interessante la trattazione del tema.

Per quanto riguarda la presenza dei presupposti la Corte di Cassazione si è pronunciata in modo inequivocabile circa la necessaria presenza tanto della necessità dell’utilizzo dell’arma, quanto della proporzione tra l’evento e la reazione.

Con la sentenza n. 41038/2014, infatti, i giudici di Cassazione censuravano la lettura dell’art. 53 data dalla Corte d’Appello di Palermo. Quest’ultima, infatti, aveva ritenuto presente la situazione di necessità in un caso in cui un maresciallo dei Carabinieri aveva sparato con un fucile da tiro a volo verso tre ragazzi su un motorino, che, ignorando l’alt intimato dalla volante, si lanciavano in una folle fuga per le strade di Palermo mettendo in pericolo i passanti e gli altri veicoli. Questa situazione di pericolo per l’incolumità pubblica, secondo i giudici palermitani, poteva evocare il requisito della necessità di un intervento da parte del carabiniere imputato. Correttamente la Cassazione rileva, al contrario, che “per il riconoscimento della scriminante deve sussistere il presupposto oggettivo costituito dalla necessità di respingere una violenza, vincere una resistenza o impedire la commissione di determinati delitti”. E di seguito si aggiunge che l’uso delle armi “deve costituire extrema ratio nella scelta dei metodi necessari”: diventa cioè legittimo solo qualora non vi sia altro mezzo con minore capacità offensiva possibilmente ed utilmente utilizzabile.

Quindi nella stessa decisione i giudici di Piazza Cavour ricostruiscono in maniera più ampia e generale i presupposti per il legittimo uso delle armi, precisando che, affianco al già menzionato requisito della necessità, pari importanza riveste il requisito della proporzione inteso come “espressione dell’esigenza di una gradualità nell’uso dei mezzi di coazione (tra più mezzi di coazione ugualmente efficaci, occorrerà scegliere allora quello meno lesivo)”.

Le peculiarità dell’istituto dell’uso legittimo delle armi e il proprio ambito d’applicazione specifico si possono cogliere in un’altra importante sentenza della Cassazione penale, la numero 6719/2014.

Il fatto concreto parte da una rapina ai danni di un ufficio postale da parte di tre malviventi, che avevano costretto la direttrice a ritardarne l’apertura asserragliandosi all’interno con numerosi ostaggi. La circostanza del ritardo nell’apertura aveva insospettito i Carabinieri, che decidevano quindi di appostarsi in prossimità dell’ingresso dell’ufficio postale a bordo di un’auto di copertura. La vicenda assume tratti cinematografici quando i rapinatori escono con la refurtiva e prendono con sé due ostaggi; nello stesso momento un quarto rapinatore esce all’improvviso da un furgone parcheggiato davanti alla volante aprendo il fuoco sui Carabinieri. Ne nasce un conflitto a fuoco in cui resta ucciso il malvivente che aveva attaccato gli agenti, un altro si arrende e gli altri due si danno alla fuga. Nel corso dell’inseguimento la colluttazione con gli agenti continua finché i due non tentano di impossessarsi armi in pugno di un furgone che transitava in quell’area. Il tentativo fallisce a causa del rifiuto del conducente e delle condizioni del traffico, e allora i rapinatori continuano la loro fuga a piedi. Gli agenti del comando dei Carabinieri tentano di bloccare la fuga dei ladri esplodendo diversi colpi d’arma da fuoco; a causa di un’accidentale deviazione uno di questi colpisce il conducente del veicolo che i ladri avevano tentato di rubare, il quale morirà in seguito per le ferite riportate.

Da questa drammatica vicenda nasce un processo che vede assolto in primo grado e in appello l’agente che aveva sparato, considerando decisiva proprio la presenza della scriminante dell’art. 53.

La Cassazione, quindi, si pronuncia sulla legittima applicazione delle norme in tema di uso legittimo delle armi da parte della Corte d’Appello di Cagliari, chiarendo i contorni dell’istituto e rimarcando un orientamento consolidato dalla stessa giurisprudenza di cassazione.

Innanzitutto viene tracciata una particolarità di questa scriminante riguardante la sua ratio legis, la quale rispecchia una “vocazione autoritaria dell’ordinamento, connessa all’esigenza di assicurare il corretto adempimento dei doveri funzionali e dei compiti di tutela della sicurezza collettiva da parte della forza pubblica”; tanto è vero che, come ricordato nella sentenza, si richiedono requisiti applicativi meno rigorosi rispetto a quelli delle altre e più tradizionali cause di giustificazione. Ad esempio non sono richieste a chi si avvale di questa causa di giustificazione, nel corso dell’adempimento di un dovere, le opzioni di rinuncia o di commodus discessus[4].

E tuttavia c’è da considerare che la legittimità dell’uso delle armi richiede, sempre e comunque, una rigorosa valutazione del principio di necessità. Inoltre, secondo la dottrina, sarebbe implicitamente richiesto l principio di proporzione come requisito di tutte le scriminanti.

Passando all’analisi del caso concreto, la Cassazione rileva una situazione di estrema violenza anche al momento della fuga dei rapitori, e dunque ritiene che i giudici di merito e di appello abbiano correttamente misurato la necessità di un intervento armato da parte dei carabinieri.

Anche per quanto riguarda la proporzione, appare ragionevole il bilanciamento considerato dai giudici tra l’azione degli agenti ed il comportamento dei fuggiaschi, che peraltro stavano mettendo in pericolo la vita dei tre ostaggi.

Inoltre, nell’ottica dei giudici di cassazione la concitazione del momento della sparatoria e del tentativo di fuga aveva reso impossibile operare distinzioni sulla circostanza che l’evento più grave (l’uso delle armi) venisse a colpire gli stessi autori dell’illecito o anche terzi coinvolti nel teatro del sinistro.

E quindi con queste motivazioni la Corte di Cassazione respinge i ricorsi presentati contro la decisione della Corte d’Appello di Cagliari, confermando la non punibilità dell’agente dei Carabinieri, che aveva agito in presenza della causa di giustificazione di cui si è trattato.

Informazioni

Art. 53 codice penale

“Manuale di Diritto Penale” di G. Marinucci, E. Dolcini, G. Gatta, Giuffrè editore, 2019

Cassazione penale sez. V 16 giugno 2014 n. 41038

Cassazione penale sez. IV 22 maggio 2014 n. 6719

[1] L. 4 marzo 1958, n.100

[2] Sul merito della ratio di tali istituti: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/10/la-legittima-difesa-nella-cronaca-e-nel-codice/

[3] Per una più approfondita analisi dei presupposti nelle scriminanti e dell’eccesso colposo: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/10/la-legittima-difesa-nella-cronaca-e-nel-codice/

[4] Per la nozione di commodus discessus: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/10/la-legittima-difesa-nella-cronaca-e-nel-codice/