La messa alla prova per il minore autore di reato: cos’è, presupposti e applicazione con sospensione del processo
Un altro epilogo speciale nel processo penale minorile
Dopo aver esaminato nelle precedenti pubblicazioni il perdono giudiziale[1] e l’irrilevanza del fatto[2], ci occupiamo quest’oggi di analizzare la messa alla prova che, di fatto, chiude il cerchio degli epiloghi speciali che possono verificarsi nel corso del processo penale minorile. La messa alla prova è un istituto di probation processuale attraverso il quale il processo viene sospeso e, nel periodo di sospensione, il minore viene affidato ai servizi sociali[3].
La disciplina a cui soggiace questo istituto è contenuta nell’art. 28 del D.P.R. 448/1988.
La norma stabilisce quanto segue:
“il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo e’ sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali e’ prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione. Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. Contro l’ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore. La sospensione non può essere disposta se l’imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte”.
Cerchiamo, a questo punto, di fare un po’ di chiarezza e di esaminare tutti i vari elementi che caratterizzano l’istituto della messa alla prova.
Sospensione del processo con messa alla prova: presupposti applicativi
Leggendo con attenzione l’art. 28 D.P.R. 448/1988 possiamo individuare i presupposti e gli elementi che devono necessariamente ricorrere affinché il giudice decida di sospendere il processo e di mettere alla prova il minore; la messa alla prova può essere disposta a partire dall’udienza preliminare, previo accertamento della responsabilità del minore e consenso di quest’ultimo[4].
Come già anticipato parlando di perdono giudiziale e di irrilevanza del fatto, affinché il giudice possa disporre la messa alla prova occorre ottenere il consenso del minore poiché, trattandosi di un epilogo speciale che presuppone l’accertamento della responsabilità del giovane, è necessario che al ragazzo venga data la possibilità di rinunciare, in questo caso, alla messa alla prova e di proseguire il processo per dimostrare, nelle successive fasi, la sua innocenza.
Occorre, però, mettere in chiaro sin da subito che il giudice può decidere di sospendere il processo e di mettere alla prova il minore solo “quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova”[5]. Cerchiamo di chiarire questo aspetto: se il giudice ritiene che, attraverso la messa alla prova, il minore può ed ha l’intenzione di avviare un processo di cambiamento in positivo della propria personalità, allora dispone la messa alla prova. Il che significa che la messa alla prova non deve essere sempre concessa: se il minore, nel periodo messo a disposizione dalla messa alla prova, non ha la capacità o la volontà di avviare un processo di cambiamento della propria personalità allora non ha senso ricorrere all’istituto in esame poiché si rivelerebbe, in breve tempo, uno strumento inutile ed inefficiente.
Dopo aver esaminato i presupposti occorre, a questo punto, mettere in luce le diverse fasi, ex art.27 d.lgs. 272/1989[6], che portano il giudice ad operare la sospensione del processo con messa alla prova.
La valutazione della messa alla prova: quali elementi prendere in considerazione?
Spetta al Tribunale per i minorenni sospendere il processo sulla base di un progetto educativo specifico previamente elaborato dai servizi sociali in collaborazione con il minore[7]. Il contenuto del progetto educativo non è definito, poiché dipende e varia in base alle specifiche esigenze educative del minore stesso[8]. Dopo aver sospeso il processo ed aver approvato il progetto educativo, il presidente del tribunale nomina un giudice onorario, al quale viene affidato il compito di seguire il caso incontrando il minore, monitorando l’andamento del percorso e modificando, se necessario, il contenuto del progetto educativo.
Decorso il periodo di sospensione, che può avere una durata massima di 3 anni per i reati più gravi e di 1 anno per gli altri reati, viene svolta una valutazione del percorso fatto dal minore, la quale può avere esito positivo o negativo, ex art.29 D.P.R. 448/1988[9].
Nello specifico, i parametri che vengono valutati sono generalmente due:
- il comportamento tenuto dal minore durante la messa alla prova e
- l’evoluzione della sua personalità[10].
Con riferimento a quest’ultimo parametro, occorre fare una precisazione: il poco tempo messo a disposizione dalla messa alla prova fa sì che il giudice dia un esito positivo anche quando non c’è stato un evidente cambiamento della personalità del minore, ma è sufficiente che il giovane abbia avviato un processo di cambiamento o che, per lo meno, sia sulla giusta strada.
Se la valutazione avrà un esito positivo il reato si estingue, mentre, nel caso in cui la valutazione ottenga un esito negativo, il processo riprende da dove si era interrotto[11]. Tuttavia, occorre specificare che non sempre la messa alla prova giunge al termine; infatti, se la messa alla prova viene revocata non è necessario valutare il percorso educativo svolto dal minore.
Ma, a questo punto, bisogna chiedersi: quando la messa alla prova può essere revocata? La messa alla prova viene revocata a seguito di gravi e ripetute trasgressioni poste in essere dal minore[12]. Non è, perciò, sufficiente che il ragazzo si renda autore di una singola trasgressione per revocare la messa alla prova. Tuttavia, la singola violazione di una regola non passa certamente inosservata.
Il giudice infatti può:
- decidere di introdurre delle regole più severe, oppure
- può inasprire le prescrizioni già presenti nel progetto educativo qualora il giovane si sia reso autore di una sola trasgressione.
Le critiche e le perplessità sorte
La disciplina fin qui esaminata non è e, soprattutto, non è stata esente da critiche. L’istituto della messa alla prova è stato, nel tempo, attaccato su più fronti, ma una delle principali critiche mosse nei confronti di tale disciplina riguarda l’assenza di limiti.
Nello specifico, l’art. 28 D.P.R. 448/1988, di fatto, non prevede alcun tipo di limite se non quello temporale: spetta al giudice stabilire la durata della messa alla prova, la quale, come già anticipato, può durare massimo 3 anni per i reati più gravi e massimo 1 anni per gli altri reati. Ma non è tutto.
Una delle critiche più severe è stata sollevata con riferimento al fatto che, idealmente, attraverso la messa alla prova possono essere “cancellati” reati gravissimi. Ma come è possibile? La risposta a questa domanda è, in realtà, molto complessa, ma cercherò di semplificarla il più possibile.
L’esito positivo della messa alla prova può estinguere dei reati gravissimi perché la messa alla prova non è una sanzione, ma è una misura penale, attraverso la quale il legislatore ha scelto di rinunciare alla pretesa punitiva per tutelare ed assicurare le esigenze educative del minore.
Insomma, la finalità educativa che si vuole perseguire attraverso la messa alla prova e che, in generale, colora l’intero processo penale minorile scavalca, anzi, prevale su qualunque finalità sanzionatoria. Il fatto che la messa alla prova non sia una sanzione, ma, come appena detto, una misura penale, è evidente se osserviamo con attenzione le sue specifiche caratteristiche:
- si tratta di un istituto tempestivo, poiché interviene nel corso del processo senza attendere la sentenza di condanna,
- non proporzionato, poiché, come visto, per i reati gravissimi la messa alla prova dura massimo 3 anni,
- non ha un contenuto minimo afflittivo,
- il minore viene coinvolto nel definire il contenuto del progetto educativo e
- la decisione finale, ossia la valutazione positiva o negativa, viene presa dal giudice in collaborazione con i servizi sociali, il cui parere condiziona inevitabilmente la scelta finale.
Insomma, le caratteristiche e gli elementi che connotano la messa alla prova ci permettono di affermare, senza troppe difficoltà, che l’istituto in esame non può essere considerato una sanzione.
Informazioni
G. Zara, La psicologia criminale minorile, Carocci editore, Roma, 2013.
AA.VV., Procedura penale minorile, a cura di M. Bargis, Giappichelli Editore, Torino, 2019.
V. Colamussi, La messa alla prova, Cedam, Padova, 2010.
L. Locci, Gli istituti del processo penale minorile a beneficio del minore: l’irrilevanza del fatto e la messa alla prova, in Minori Giustizia, IV Trimestre, 2005.
S. Larizza, Il diritto penale dei minori: evoluzione e rischi di involuzione, Cedam, Padova, 2005.
[1] Ho parlato di perdono giudiziale in questo articolo: http://www.dirittoconsenso.it/2020/02/18/il-perdono-giudiziale-nel-processo-penale-minorile/
[2] Di irrilevanza del fatto invece ne ho parlato qui: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/11/lirrilevanza-del-fatto/
[3] G. Zara, La psicologia criminale minorile, Carocci editore, Roma, 2013, p.114.
[4] AA.VV., Procedura penale minorile, a cura di M. Bargis, Giappichelli Editore, Torino, 2019, p.212-213.
[5] V. Colamussi, La messa alla prova, Cedam, Padova, 2010, p. 1 s.
[6] Art.27 d.lgs. 272/1989: «Il giudice provvede a norma dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448, sulla base di un progetto di intervento elaborato dai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali. Il progetto di intervento deve prevedere tra l’altro: a) le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita; b) gli impegni specifici che il minorenne assume; c) le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell’ente locale; d) le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa. I servizi informano periodicamente il giudice dell’attività svolta e dell’evoluzione del caso, proponendo, ove lo ritengano necessario, modifiche al progetto, eventuali abbreviazioni di esso ovvero, in caso di ripetute e gravi trasgressioni, la revoca del provvedimento di sospensione. Il presidente del collegio che ha disposto la sospensione del processo e l’affidamento riceve le relazioni dei servizi e ha il potere, delegabile ad altro componente del collegio, di sentire, senza formalità di procedura, gli operatori e il minorenne. Ai fini di quanto previsto dagli articoli 28 comma 5 e 29 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448, i servizi presentano una relazione sul comportamento del minorenne e sull’evoluzione della sua personalità al presidente del collegio che ha disposto la sospensione del processo nonché al pubblico ministero, il quale può chiedere la fissazione dell’udienza prevista dall’articolo 29 del medesimo decreto».
[7] L. Locci, Gli istituti del processo penale minorile a beneficio del minore: l’irrilevanza del fatto e la messa alla prova, in Minori Giustizia, IV Trimestre, 2005, p.101.
[8] G. Zara, La psicologia criminale minorile, Carocci editore, Roma, 2013, p.116.
[9] Art.29 D.P.R. 448/1988: «Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo. Altrimenti provvede a norma degli articoli 32 e 33».
[10] AA.VV., Procedura penale minorile, a cura di M. Bargis, Giappichelli Editore, Torino, 2019, p.216 ss.
[11] AA.VV., Procedura penale minorile, a cura di M. Bargis, Giappichelli Editore, Torino, 2019, p.226-227.
[12] S. Larizza, Il diritto penale dei minori: evoluzione e rischi di involuzione, Cedam, Padova, 2005, p. 278.

Giulia Pugliese
Ciao, sono Giulia. Sono nata a Carate Brianza nel 1995. Sono una laureanda in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca e da sempre nutro una grande passione per la procedura penale, materia in cui ho scelto di scrivere la mia tesi. Nell'ultimo anno ho iniziato ad appassionarmi alla procedura penale minorile, passione che intendo coltivare e trasformare nel mio lavoro.
Ho fatto parte di DirittoConsenso da febbraio 2020 a dicembre 2020.