I caratteri del referendum abrogativo e la sua ammissibilità in materia elettorale
Attualità del referendum abrogativo
La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2020 (decisione del 16 gennaio 2020, pubblicata il 5 febbraio 2020), ha dichiarato inammissibile la proposta di referendum popolare per la “Abolizione del metodo proporzionale nell’attribuzione dei seggi in collegi plurinominali nel sistema elettorale della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, perché ritenuto eccessivamente manipolativo. Come si vedrà, il carattere manipolativo di un referendum abrogativo è ammesso, anzi è considerato quasi dovuto, per le leggi elettorali. Un suo uso eccessivo, però, è incostituzionale. Una eccessiva manipolazione del quesito referendario viola i corretti caratteri costituzionali dello strumento referendario, creando surrettiziamente una disciplina (c.d. di risulta) che una abrogazione per referendum non può introdurre.
Al di là del caso specifico, l’attualità dello strumento referendario abrogativo e del suo vaglio di ammissibilità compiuto dalla Corte Costituzionale, si pone anche in relazione alla corretta ripartizione dei poteri tra organi dello Stato. Presso l’opinione pubblica, le statuizioni della Magistratura (anche costituzionale) pongono spesso dubbi su quale debba essere il potere (legislativo, esecutivo e giudiziario) a cui sono riconosciuti legittimazione e investitura popolare nell’adottare determinate decisioni o nel sindacarle.
Inoltre, la delicatezza della materia elettorale pone dubbi su quali fonti giuridiche adottare (leggi formalmente ordinarie ma eventualmente con un’essenza costituzionale, piuttosto che un referendum abrogativo su una legge elettorale) e quale architettura dare al meccanismo (maggioritario, proporzionale, ibrido).
Infine, credo non sia un caso che le uniche due sentenze della Corte Costituzionale che hanno dichiarato (parzialmente) incostituzionali delle leggi elettorali, siano state pronunciate negli ultimi sei anni (Corte Costituzionale sentt. nn. 1/2014 e 35/2017). La dottrina e la giurisprudenza hanno cercato, per decenni, di evitare statuizioni della Corte sulla corretta composizione o meno del Parlamento (organo massimamente rappresentativo). Si volevano evitare dubbi di legittimazione circa il sindacato di scelte politiche e discrezionali (in materia elettorale) che potrebbero creare cortocircuiti tra poteri. Superate tali remore, con queste parziali dichiarazioni di incostituzionalità (facendo comunque salve le scorse due Legislature), si comprende ancor di più l’importanza del vaglio preventivo della Corte sulla ammissibilità di un referendum abrogativo su una legge elettorale.
Le caratteristiche del referendum abrogativo
L’art. 75 Cost. dispone che:
“È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.”
L’intervento abrogante del referendum assume un carattere innovativo dell’ordinamento, perché (anche quando non introduca una nuova materia) crea una disciplina (c.d. di risulta) diversa da quella che vigeva prima. Rappresent un esercizio di potestà normativa, ponendosi dunque al rango primario delle fonti del diritto.
Il fatto che le modalità specifiche di esecuzione del referendum e del suo controllo preventivo, siano state disciplinate solamente nel 1970 (L. n. 352/1970), testimonia il parziale sfavore con cui le forze politiche, fino ad allora, guardavano a tale strumento. Essendo una modalità ulteriore di esplicazione della sovranità popolare[1], contrasta con un modello rappresentativo incentrato sulla sacralità della legge del Parlamento (quale espressione compiuta del dialogo tra forze di maggioranza e opposizione in Assemblea, proiezione delle stesse opinioni presenti nel corpo sociale). Per questo motivo i Costituenti e il Legislatore del 1970 hanno previsto procedure e limiti stringenti, tese a salvaguardare la stabilità degli atti legislativi parlamentari.
Quando e come si presenta il referendum?
Dal 1 gennaio al 30 settembre di ogni anno, i promotori possono depositare presso la Cancelleria della Corte di Cassazione la richiesta di referendum con le firme di almeno cinquecentomila elettori o le deliberazioni di cinque Consigli regionali (adottate a maggioranza assoluta). Per evitare coincidenze tra elezioni del Parlamento e voto referendario, il deposito non è consentito nell’anno antecedente alla scadenza naturale delle Camere e nei sei messi successivi alla loro elezione.
Entro il 15 dicembre dell’anno in cui è presentata, la richiesta è vagliata nella sua regolarità dall’Ufficio centrale per il referendum istituito presso la Corte di Cassazione. Questo controlla la validità e il numero delle firme, il rispetto dei termini, la natura dell’atto oggetto del quesito (legge o atto avete forza di legge). Infine, decide la denominazione del referendum concentrando eventuali richieste uniformi sulla stessa materia, sana irregolarità, dichiara cessate le operazioni se l’atto oggetto sia già stato abrogato, dichiarato incostituzionale o siano state sciolte anticipatamente le Camere.
Superato tale vaglio di regolarità-legittimità, si instaura il giudizio di ammissibilità svolto dalla Corte Costituzionale (ex art. 2 l. cost. 1/1953), per verificare il rispetto dei limiti costituzionali. La sentenza che dichiari ammissibile o meno il referendum, va pubblicata entro il 10 febbraio.
Il Consiglio dei Ministri delibererà la data del voto comprendendola tra il 15 aprile e il 15 giugno, e sarà convocato il referendum con D.P.R.
La consultazione è valida se partecipa la maggioranza degli aventi diritto e se ottiene il voto favorevole all’abrogazione della maggioranza dei votanti.
E’ interessante confrontare questo tipo di quorum con quello (assente) del referendum costituzionale (ex art. 138 Cost.)[2]. I Costituenti, per salvaguardare maggiormente gli atti legislativi del Parlamento, hanno previsto per il referendum abrogativo un quorum difficile da raggiungere (bastando alle forze che vogliano salvaguardare la stabilità dell’atto oggetto, incitare a disertare le urne, facendo leva su un diffuso astensionismo). Viceversa, per salvaguardare la Costituzione da riforme che (coinvolgendo la Carta rappresentativa dei consociati) devono essere condivise dai cittadini, non si prevede un quorum. Per le minoranze dissenzienti è più facile opporvisi, perché si obbliga i promotori a un’ampia campagna referendaria (non bastando far leva sull’astensionismo).
L’eventuale esito positivo del referendum abrogativo avrà effetto dal giorno successivo a quello della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.P.R. che lo recepisce. L’esito negativo all’abrogazione preclude una riproposizione del referendum per i successivi cinque anni, mentre quello positivo (abrogante) è dubbio che precluda al Parlamento (nell’esercizio della sua legittima discrezionalità politica) di ripristinare la medesima disciplina.
Vaglio della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum abrogativo
La giurisprudenza costituzionale in materia di ammissibilità del referendum, ne ha esteso i limiti oltre quelli desumibili dalla Costituzione.
Non possono essere abrogate leggi:
- tributarie,
- di bilancio,
- di amnistia, di indulto e
- di autorizzazione a ratificare trattati internazionali (per evitare voti dell’opinione pubblica su materie particolari in cui potrebbero emergere impulsi collettivi).
Limiti ulteriori sono stati rintracciati nella struttura del quesito referendario. Il quesito va formulato in modo tale da contenere una sola scelta politica, dovendo il corpo elettorale esprimersi con un “sì” o un “no”. Inoltre, sono stati considerati inammissibili referendum contro la Costituzione, leggi costituzionali, leggi rinforzate o a contenuto costituzionalmente vincolato.
Queste ultime sono leggi ordinarie, ma la giurisprudenza le ha sottratte dall’abrogazione in quanto coinvolgenti istituti, organi, procedure o principi stabiliti in Costituzione. Vengono distinte in: leggi costituzionalmente necessarie (poiché previste dalla Costituzione, ma con contenuto costituzionalmente indifferente); leggi a contenuto costituzionalmente necessario (la Costituzione ne impone un determinato contenuto).
Un referendum abrogativo su una legge elettorale è considerato coinvolgente una legge costituzionalmente necessaria perché ha ad oggetto la determinazione della composizione di Camera o Senato.
Il referendum abrogativo su una legge elettorale alla luce della Corte Costituzionale, sent. 10/2020
La giurisprudenza costituzionale in materia di referendum abrogativo su una legge elettorale, li ha ammessi purché di tipo parziale. Non si possono, cioè, proporre quesiti abroganti in modo totale poiché (in seguito all’eventuale esito positivo e in assenza di un immediato intervento del Legislatore volto a ridisciplinare la materia) si potrebbe creare una lacuna nell’ordinamento.
Secondo la Corte, a seguito dell’abrogazione referendaria deve rimanere una disciplina (c.d. di risulta) che possa essere immediatamente applicabile, soprattutto quando coinvolga la corretta determinazione dell’organo costituzionale massimamente rappresentativo (il Parlamento). Per questo, la giurisprudenza ritiene quasi dovuti i quesiti referendari c.d. manipolativi in materia elettorale. Non potendo, la disciplina per l’elezione di tale organo costituzionale, difettare di auto-applicabilità immediata, si ritiene che il quesito debba essere “ritagliato” in maniera chirurgica tale da poter evitare vuoti normativi.
Tra le altre, le sentenze della Corte Costituzionale nn. 27/1987, 47/1991 e 32/1993 hanno inaugurato tale orientamento. Hanno ammesso quesiti manipolativi nelle richieste di abrogazione parziale della legge elettore purché siano omogenei, riconducibili a una matrice razionalmente unitaria e rimanga una coerente normativa di risulta, così da garantire la costante operatività del Parlamento.
La recente sentenza n. 10/2020 si dimostra perfettamente in continuità con ciò. Ha dichiarato inammissibile la richiesta di un referendum popolare sulla “Abolizione del metodo proporzionale nell’attribuzione dei seggi in collegi plurinominali nel sistema elettorale della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica” (presentata dai Consigli regionali di Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Abruzzo, Basilicata, Liguria), perché “eccessivamente manipolativo”.
Ribadendo la sua giurisprudenza, la Corte ammette operazioni di “ritaglio” di frammenti normativi e di singole parole, a condizione che l’abrogazione parziale richiesta non si risolva in una proposta all’elettore con uno stravolgimento dell’originaria ratio e struttura della disposizione. In questi casi, il referendum (perdendo la propria natura abrogativa) tradirebbe la ragione ispiratrice dell’istituto, diventando surrettiziamente propositivo. Non si può introdurre una nuova statuizione non ricavabile ex se dall’ordinamento.
Oggetto della richiesta referendaria erano le due leggi elettorali del Senato e della Camera. Se ne proponeva l’abrogazione dei riferimenti letterali ai collegi plurinominali, eliminandone la quota proporzionale e trasformando così il sistema elettorale in uno totalmente maggioritario a collegi uninominali. All’esito della richiesta abrogazione referendaria sarebbe stato, però, necessario rideterminare i collegi elettorali in modo diverso da come previsti dalla vigente disciplina, per trasformarli tutti in uninominali. A tal fine, i promotori proponevano anche la parziale abrogazione della delega conferita al Governo con legge n. 51/2019 che aveva, però, il diverso scopo di dare attuazione alla riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari[3].
Così facendo, la proposta referendaria avrebbe però alterato radicalmente il senso e la portata di questa delega, per renderla adattabile anche all’ipotesi di mutamento del sistema elettorale risultante dal referendum. Sarebbero stati modificati tutti i caratteri somatici della delega originaria (oggetto, tempo, principi e criteri direttivi), tanto da dar vita a una nuova delega. Inoltre, sarebbe stata potenzialmente destinata a un duplice esercizio: l’attuazione della riforma costituzionale sulla riduzione dei parlamentari e l’attuazione della legge elettorale risultante dal referendum abrogativo (con l’ulteriore possibilità che i due referendum si potessero svolgere in tempi differenti). Si sarebbe realizzata un’eccessiva, e perciò inammissibile, manipolazione del testo originario della norma di delega.
Informazioni
AA.VV., “Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo”, Atti del Seminario svoltosi a Roma, Palazzo della Consulta nei giorni 5 e 6 luglio 1999, Milano, 1998.
Carnevale, “Il referendum abrogativo e i limiti della sua ammissibilità nella giurisprudenza costituzionale”, Padova, 1992.
Crisafulli, “Lezioni di diritto costituzionale”, CEDAM, Padova, 1993, p. 116.
Dogliani e Massa Pinto, “Elementi di diritto costituzionale”, Giappichelli, Torino, 2015, p. 251.
Rosa, “Articolo 75”, in Clementi, Cuocolo, Rosa, Vigevani (a cura di), “La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo”, Il Mulino, Bologna, 2018, p.118.
Sorrentino, “Le fonti del diritto italiano”, CEDAM, Vicenza, 2015, p. 150.
Comunicato stampa deposito Corte Cost. sent. 10/2020: https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20200131125306.pdf
Corte Cost. sent. 10/2020: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2020&numero=10
[1] Il referendum abrogativo è considerato un istituto di democrazia diretta che (insieme con la petizione ex art. 50 Cost. e all’iniziativa legislativa popolare ex art. 71 Cost) integra l’espressione indiretta della sovranità popolare.
[2] DirittoConsenso ha parlato di ciò in http://www.dirittoconsenso.it/2019/11/08/referendum-costituzionale-confermativo-od-oppositivo/
[3] DirittoConsenso ha parlato del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari in: http://www.dirittoconsenso.it/2019/10/18/sulla-nuova-legge-costituzionale-due-posizioni-critiche/

Guido Casavecchia
Ciao, sono Guido. Laureando in Giurisprudenza presso l'Università di Torino, sono appassionato di diritto costituzionale, penale sostanziale e processuale, e diritto delle nuove tecnologie. Ho partecipato a summer e winter law schools presso le Università di Praga, Nizza, Napoli e Aosta. Collaboro con il giornale universitario di Torino. In passato ho scritto di diritto, attualità e nuove tecnologie per Impactscool Magazine.
Ho fatto parte di DirittoConsenso da ottobre 2019 a giugno 2020.