Il decreto 231 e le difficoltà applicative che si celano in relazione alle operazioni straordinarie degli enti

 

Introduzione al Decreto 231

Il complesso apparato del “decreto 231”, sebbene ha rappresento una svolta epocale nel sistema giuridico e sanzionatorio italiano[1], presenta delle lacune non indifferenti.

Per cominciare, l’eterna vaexata quaestio riguardo la natura amministrativa o penale della responsabilità da reato degli enti, tanto che ormai, da più di un decennio, giurisprudenza e dottrina non riescono ad avallare nessuna tesi che assicuri certezza e garanzia, auspicando l’intervento chiarificatore del legislatore con l’introduzione di un “tertium genus” che qualifichi la responsabilità come un complesso intreccio di matrice amministrativa-penale-civile. A prescindere dalla suddetta diatriba, nelle anfrattuosità della disciplina della responsabilità penale degli enti si cela un capitolo ancora umbratile[2] nell’esperienza applicativa, che va direttamente a toccare il “nervo scoperto” del relativo sistema sanzionatorio: quello, cioè del rispetto del principio di “personalità”. L’art. 27 comma 1 Cost. sancisce che “la responsabilità penale è personale”. Suddetto principio tuttavia, è stato modellato dal legislatore sulla base della persona fisica, e di conseguenza successivamente “esteso” alla persona giuridica, poiché il superamento del brocardo “societas delinquere non potest” non era stato preventivato nei circa cinquanta anni precedenti all’ingresso del “Decreto 231”.  Ma se problemi non sorgono in relazione all’attribuzione del reato in capo alla “stessa” persona fisica che lo aveva commesso, non si può dire altrimenti in relazione a quella giuridica, specie con riguardo agli istituti che la sezione II del capo II del D.lgs. 231/2001 (decreto 231) raggruppa sotto il nomen iuris di “vicende modificative dell’ente”.

L’ente infatti, durante la sua esistenza, può essere interessato da operazioni di ristrutturazione che possono determinare il “mutamento di veste” o addirittura la scomparsa dell’ente stesso come centro autonomo di imputazione, con la conseguenza di rendere difficile l’intervento sanzionatorio senza intaccare o comunque “mettere a repentaglio” il rispetto del principio di personalità della responsabilità penale. Il legislatore si è dovuto così confrontare con una particolare realtà in cui le esigenze di tutela del traffico giuridico si sono dovute confrontare con il pericolo di frode alla legge, per evitare che le vicende modificative venissero usate come espediente elusivo finalizzato all’aggiramento della giustizia.

 

Le operazioni straordinarie dell’ente

Le operazioni straordinarie degli enti e le conseguenze cui esse conducono sul piano della loro responsabilità, trovano espressa disciplina all’interno del d.lgs. 231/2001 (decreto 231), nella Sezione II, Capo II, artt. da 28 a 33, i quali si riferiscono specificamente alle ipotesi di trasformazione, scissione e fusione. A queste si unisce la cessione d’azienda; anche se quest’ultima, in verità, sebbene abbia una disciplina simile in relazione alla materia trattata, si colloca su un piano diverso rispetto alle altre vicende, come si evince dal trattamento normativo riservatole.

Fin qui nulla quaestio. Ma cosa ne è delle sanzioni applicabili in dipendenza di illeciti penali in caso di una “mutazione organizzativa” di un ente (o tra enti)? Le stesse si comunicano alle nuove “entità” o agli organismi che subentrano nel complesso dei rapporti giuridici, attivi e passivi, dell’ente originariamente responsabile, o cadono, al contrario, in un nulla di fatto?

Da qui ne è nato un sistema basato su un equo compromesso tra le istanze di “effettività” del sistema sanzionatorio e quelle di “garanzia”. Suddetto sistema trova la sua matrice essenzialmente in tre punti:

  1. Le sanzioni pecuniarie seguono (di massima) le sorti della generalità degli altri debiti dell’ente originario, nel senso che trasmigrano allo stesso modo delle altre obbligazioni pecuniarie civili.
  2. Le sanzioni interdittive mantengono il loro collegamento con il «ramo di attività» nell’ambito del quale il reato è stato commesso; nel senso che vanno ad inibire il settore “colpito” dalla sanzione quantunque questo venga in essere in altro ente destinatario.
  3. In relazione a quest’ultimo criterio, vi è la possibilità di chiedere la sostituzione della pena interdittiva con quella pecuniaria qualora si dimostri che l’intervento di riassetto organizzativo sia valso a rimuovere le cause che avevano determinato o reso possibile la commissione del fatto criminoso.

 

In sintesi vi è quindi una sorta di commistione tra impianto normativo regolante la responsabilità “amministrativa” da reato e responsabilità patrimoniale-civile da esso derivante. Il dubbio, tuttavia, nonostante la meticolosità del sistema permane, vuoi in relazione al carattere “personale” della responsabilità «parapenale», vuoi in relazione alla stessa finalità «antielusiva» che dichiaratamente ispira la medesima impalcatura[3].

 

La trasformazione

La trasformazione di una società consiste nel mutamento della sua forma giuridica e, quindi, del tipo di società. Questo mutamento, tecnicamente, si ottiene attraverso la modificazione dell’atto costitutivo della società, attuata tramite delibera dell’assemblea dei soci, secondo le modalità e con le maggioranze richieste dalla legge per il tipo di società che intende trasformarsi.

Il codice civile regolamenta due tipi di trasformazione: la trasformazione omogenea e la trasformazione eterogenea. Si ha trasformazione omogenea quando una società si trasforma in un’altra società, ma di tipo diverso.

Con la trasformazione eterogenea, invece, si attua una trasformazione in enti di tipo diverso rispetto a quello originario. Dunque, l’art. 2498 c.c., rubricato «continuità dei rapporti giuridici», dispone:

con la trasformazione l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti, anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione

 

Di concerto, anche la riforma del diritto societario varata nel 2003 ha stabilito, in sintonia con quanto disposto nel codice civile, che la trasformazione comporta la prosecuzione, da parte della società risultante dalla trasformazione, di tutti i rapporti, anche processuali.

In relazione alla disciplina del decreto 231, scendendo ad esaminare nello specifico le varie “vicende modificative”, possiamo dire che la trasformazione ha senza dubbio la disciplina più semplice e lineare. Indipendentemente dal tipo di trasformazione, infatti, l’ente continua a rispondere dell’illecito dipendente da reato nei medesimi termini in cui ne rispondeva prima della data della trasformazione stessa. Non di meno, giurisprudenza maggioritaria e dottrina avallano quanto detto finora: la trasformazione, anche quando comporti l’acquisto o la perdita della personalità giuridica, non determina l’estinzione della società originaria e la creazione di una nuova. Al contrario rimane la stessa, mutando solo il modulo formale[4].

Alla luce di quanto finora esposto, la “vicenda” non può che restare neutra sul piano considerato, poiché non si assiste a nessuna conglomerazione tra enti “colpevoli e non colpevoli”.

 

La fusione

L’istituto della fusione è senza dubbio una delle “vicende modificative” più importanti dell’ente e consiste in un “unione di forze” tra più “entità” volta al perfezionare il raggiungimento dello scopo sociale. Questa può avvenire attraverso la costituzione di una nuova società (c.d. fusione propria) o mediante l’incorporazione in una società preesistente (c.d. fusione per incorporazione). La fusione è quindi una modificazione che comporta una riduzione in minus dei soggetti di diritto, nel senso di determinare l’eliminazione di almeno uno dei centri di imputazione che confluiscono in un unico soggetto[5].

Anche la giurisprudenza della Cassazione successiva si è orientata in tal senso:

«la fusione tra società non determina, nell’ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria; ma attua l’unificazione mediante integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione»; risolvendosi dunque in «una vicenda evolutiva dello stesso soggetto, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo»[6].

 

Il decreto 231 avalla questa tesi: come dispone l’art. 29 infatti la vicenda in rassegna si risolve nella totale continuità, non solo in relazione alle sanzioni, ma all’intera responsabilità. Nel caso di fusione propria, l’ente risultante assomma in sé le responsabilità da reato di tutte le partecipanti, mentre in caso di incorporazione, l’incorporante le cumula insieme alle sue proprie, e ciò sotto ogni aspetto: sanzioni pecuniarie, interdittive e confisca. Se l’operazione avviene tra due società in maniera orizzontale, ossia tra società che svolgono attività simili o identiche, il sistema sanzionatorio rischia di diventare troppo aspro considerando le conseguenze, vista la quasi impossibilità di isolare il segmento da colpire all’interno della nuova realtà aziendale[7]. Invero sanzioni quali l’interdizione dall’esercizio di attività, la revoca delle autorizzazioni o la capacità di contrarre con la pubblica amministrazione, rischiano di penalizzare eccessivamente anche quella “fetta” di ente derivata da società estranee alla commissione dell’illecito.

Per evitare, appunto, un eccesso di sanzione che potrebbe avere ripercussioni di non poco conto sull’ente, il legislatore ha ritenuto opportuno introdurre uno strumento che funge da rimedio a tali situazioni: la possibilità di ottenere la sostituzione delle misure interdittive con quelle a carattere pecuniario, se si dimostra che l’operazione di riassetto organizzativo abbia fatto estinguere quel “segmento criminoso”.

Si evita in tal modo che la disciplina della responsabilità degli enti nel decreto 231 si trasformi in un pericoloso spauracchio per le imprese che intendano ricorrere per motivi organizzativi a operazioni straordinarie.

 

Conclusioni

Come abbiamo visto, attraverso operazioni di ristrutturazione organizzativa, l’ente attinto da reati può “confondersi” con altri enti a questi estranei, rendendo la ricerca del “segmento criminoso” all’interno dell’ente risultante particolarmente difficile, poiché si rischierebbe di punire ingiustamente soggetti estranei agli illeciti perpetrati, violando cosi il principio di personalità della responsabilità penale, baluardo del nostro ordinamento.

Alla luce di quanto fin qui emerso, possiamo dire di aver avuto un responso sulla precisa immagine di ciò che a tutt’oggi è la nostra responsabilità da reato: l’ombra di un progetto, dal principio incompiuto. Lo spettro della violazione dell’art. 27 Cost. è un dato di fatto alla luce della tematica sulle operazioni straordinarie e, per questa ragione, si auspica un intervento del legislatore volto a disciplinare chiaramente la normativa in rassegna tentando, ad esempio, di ideare un meccanismo volto all’effettiva ricerca volta per volta dell’eventuale elusione, e non alla ascrizione tout court della responsabilità in oggetto all’ente risultante dalle trasformazioni nel frattempo avvenute per la commissione di reati “altrui”.

Informazioni

Cadoppi, Garuti, Veneziani, Enti e responsabilità da reato, Milano, 2010

Napoleoni, La responsabilità ammistativa delle società e degli enti, Torino, 2007

Napoleoni, Le vicende modificative dell’ente, AA.VV in Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, (a cura di) Lattanzi, 2010

Corso, Codice della responsabilità «da reato» degli enti annotato con la giurisprudenza, torino, 2018

www.rivista231.it

www.dirittoconsenso.it

[1] http://www.dirittoconsenso.it/2020/01/21/il-rapporto-tra-modello-231-e-giurisprudenza/

[2] www.rivista231.it

[3] Cadoppi-Garuti-Veneziani, Enti e responsabilità da reato, Milano, 2010, 485

[4] Cfr., Cass. civ., 10 febbraio 2009, n. 3269, in C.E.D. Cass, n.607211; Cass. Civ., 31 ottobre 2007, n. 23019, in Corr. Giur. 2008, 1105; Cass. Civ., 12 novembre 2003, n. 17066, ivi, n. 568128

[5] Cfr Cass. Civ.sez., un., 8 febbraio 2006, n. 2637, in Corr. Giur. 2006, 795, con nota di Gaeta, La fusione per incorporazione non è vicenda interruttiva del processo; in Foro it 2006, 1739

[6]  Napoleoni, Le vicende modificative dell’ente, AA.VV. in Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, (a cura di) Lattanzi, 2010

[7] Corso, Codice della responsabilità «da reato» degli enti annotato con la giurisprudenza, Torino, 2018