Il diritto di interpello si pone come trait d’union tra l’amministrazione finanziaria ed il contribuente nella formazione della pretesa impositiva

 

Introduzione al diritto di interpello

Come noto, il sistema fiscale italiano ha una sua matrice identitaria frastagliata e complessa, in quanto non vi è una raccolta di norme unitaria e settorializzata che disciplina l’intera materia; vi sono infatti una serie di leggi e testi unici introdotti via via nel corso degli anni che si sono adattati ai molteplici cambiamenti che hanno riguardato il sistema tributario.

Tra le anfrattuosità del suddetto sistema, rilevano inoltre una serie di complicazioni date dalla difficoltà, da parte del contribuente, di interpretare le norme tributarie.

Il sistema fiscale italiano si fonda sull’autodeterminazione dell’imposta da parte dei contribuenti. Quindi è rimesso al soggetto passivo dell’imposta non solo il pagamento della stessa, ma anche la sua determinazione quantitativa, attraverso l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni di legge. Per questo motivo, il contribuente è chiamato ad interpretare la normativa vigente al fine di applicarla correttamente. Ed è qui che sorge il problema maggiore. La normativa fiscale italiana è molto complessa e può facilmente creare dubbi interpretativi. Inoltre una normativa di difficile interpretazione, non soltanto complica l’attività ai singoli contribuenti, ma risulta anche dannosa per l’intero sistema poiché, se da un lato può creare inesattezze e incompletezze della dichiarazione, dall’altro può creare terreno fertile per comportamenti elusivi da parte dei contribuenti.

L’intervento dell’Amministrazione finanziaria è quasi sempre successivo ed eventuale alla dichiarazione del contribuente e si concretizza in un’attività di controllo e sanzionatoria[1]. Per i motivi finora citati, il rapporto tra Fisco e contribuenti è sempre stato caratterizzato da una netta e diretta conflittualità. Al fine di mitigare la conflittualità appena citata, l’ordinamento italiano ha partorito nel corso del tempo una serie di istituti volti a rendere il rapporto fisco-contribuente maggiormente collaborativo, dando la possibilità ad ogni cittadino (e non) di partecipare attivamente alla “formazione della pretesa fiscale” da parte dello Stato. In questa sede voglio analizzare brevemente uno di questi strumenti: il diritto di interpello.

 

Le tipologie di interpello

L’istituto dell’interpello nasce in seguito alla promulgazione della legge 27 luglio n. 212/2000, meglio nota come “Statuto del contribuente”. L’interpello si traduce in una richiesta (o un parere) proposto dal contribuente all’Amministrazione finanziaria qualora sussistano dubbi interpretativi circa una norma tributaria, evitando così di effettuare operazioni sbagliate che potrebbero riverberarsi negativamente in un momento successivo in seguito ad attività di controllo fiscale.

L’art. 11 dello Statuto elenca 4 tipologie di interpello:

  • Interpello ordinario, disciplinato dall’art. 11 co.1 lettera a) L. 212/2000 viene usato dal contribuente per ottenere dall’amministrazione finanziaria dei chiarimenti sulla corretta interpretazione delle norme tributarie. Con un recente intervento normativo questa tipologia di interpello ha subito un’estensione del suo ambito applicativo che l’ha portato a sdoppiarsi in:
  • Interpello interpretativo, in cui l’oggetto dell’istanza è la norma tributaria in senso stretto (sono esclusi pertanto gli atti non aventi carattere normativo)
  • Interpello qualificatorio, in cui l’oggetto dell’istanza è la corretta identificazione normativa del caso concreto[2]. In sintesi il contribuente non chiederà nulla in merito all’applicazione di una disposizione, bensì in merito alla corretta qualificazione delle fattispecie complesse.

Si tratta di un ampliamento rispetto al tradizionale interpello ordinario. L’Amministrazione può fornire una risposta che contiene una valutazione basata più sulle circostanze di fatto relative alla fattispecie, piuttosto che sull’interpretazione delle norme invocate dal contribuente nel caso concreto[3].

  • Interpello probatorio, la cui disciplina è contenuta nell’art 11 co.1 lettera b) della legge 212/2000, viene attivato quando il contribuente intende aderire a determinati regimi fiscali ma ha un dubbio circa la compatibilità degli stessi con l’operazione da lui posta in essere. In tal caso chiederà un parere all’Amministrazione finanziaria:
    • sulla sussistenza delle condizioni per l’accesso;
    • sull’idoneità degli elementi probatori prodotti a tal fine.
  • Interpello antiabuso: disciplinato all’art. 11, co. 1, lettera c, L. n. 212/2000 ha sostituito la vecchia istanza disapplicativa (art. 21 della L.  413/91, ora abrogata) e consente   di interrogare l’Agenzia delle Entrate sulla natura abusiva del diritto di specifici atti, atti e negozi, anche tra loro collegati.
  • Interpello disapplicativo: disciplinato dall’art. 11 co. 2 della legge 212/2000, consente al contribuente di chiedere la disapplicazione di una norma tributaria. Questa situazione si presenta allorquando la norma, al fine di evitare manovre elusive finalizzate all’evasione, limita deduzioni, detrazioni e crediti d’imposta; tutti strumenti che il contribuente possiede per ridimensionare la base imponibile che sarà poi oggetto di tassazione. Con l’interpello in rassegna si chiede all’Amministrazione finanziaria di disapplicare la norma tributaria “limitante” fornendo contestualmente la prova che il comportamento elusivo non può essere posto in essere in ragguaglio al caso concreto.

 

 

Effetti dell’interpello

L’istituto dell’interpello, come detto, è utilizzato dal contribuente per avere contezza circa la portata applicativa delle norme tributarie di dubbia interpretazione, evitando così incombenze pregiudizievoli.

Ciò posto, bisogna tener conto che le risposte fornite dall’Amministrazione finanziaria sono delle interpretazioni “di parte” e non hanno effetti vincolanti per il contribuente, il quale resta libero di disattendere la risposta ricevuta. Questa caratteristica dimostra che la risposta all’interpello non ha natura provvedimentale, in quanto mancano gli elementi dell’autoritarietà (poiché l’interpello non produce alcuna modifica unilaterale nella sfera giuridica del contribuente, il quale resta libero di uniformarsi o meno alle indicazioni ricevute ), dell’esecutività e dell’ esecutorietà (poiché trattandosi di un atto che ha solo la funzione di rendere nota al contribuente l’interpretazione dell’autorità amministrativa, non è un atto che produca effetti diretti ed immediati[4]).

Alla luce di quanto precede, il contribuente che riceva un diniego all’interpello presentato può scegliere se adeguarsi all’interpretazione dell’Amministrazione o meno. Ove decida di non adeguarsi, dovrà fare un’ulteriore valutazione e scegliere se impugnare la risposta negativa ricevuta, oppure aspettare l’eventuale successivo atto di accertamento e impugnare tale atto.

 

Modalità applicative

Ma come si propone un interpello? Come si redige? Ci sono requisiti formali/sostanziali tipici o può essere redatto senza formule solenni?

L’art. 3 del DM n. 209 del 2001 stabilisce che a pena di inammissibilità l’istanza di interpello deve contenere:

  • i dati identificativi del contribuente ed eventualmente del suo legale rappresentante;
  • la circostanziata e specifica descrizione del caso concreto e persona da trattare ai fini tributari sul quale sussistono concrete condizioni di incertezza;
  • l’indicazione del domicilio del contribuente o dell’eventuale domiciliatario presso il quale devono essere effettuate le comunicazioni dell’Amministrazione finanziaria;
  • la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante. L’istanza deve inoltre contenere l’esposizione, in modo chiaro ed univoco, del comportamento e della soluzione interpretativa sul piano giuridico che il contribuente intende adottare.

 

L’istanza d’interpello è redatta in carta libera ed è presentata agli uffici competenti mediante consegna a mano o spedizione tramite servizio postale, in plico senza busta, raccomandato con avviso di ricevimento. Dopo la ricezione, si apre la trattazione dell’istanza di interpello, che di norma compete alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, individuata in relazione al domicilio fiscale del contribuente.

 

Le risposte dell’amministrazione finanziaria

Terminata la fase della trattazione dell’istanza d’interpello, entro 120 giorni dalla presentazione della stessa, l’Agenzia delle Entrate rende al contribuente interessato una risposta scritta e motivata.

Nel caso in cui il contribuente presenti un’istanza ammissibile e recante la soluzione interpretativa ma non pervenga la risposta dell’ufficio entro il termine di 120 giorni si intende che l’Amministrazione finanziaria concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal contribuente (silenzio-assenso).

Vi sono tre possibili risposte che l’Amministrazione finanziaria può rendere al contribuente:

  1. Risposta Tempestiva. Non vincola il contribuente, il quale rimane libero di non conformarsi alla soluzione interpretativa dell’Agenzia. L’ufficio, al contrario, rimane vincolato alla risposta fornita al contribuente e non potrà emettere atti di accertamento a contenuto impositivo o sanzionatorio in contrasto con la soluzione precedentemente comunicata.
  2. Risposta Omessa. Si applica il principio del silenzio assenso, si intende, cioè, che l’Amministrazione concordi con il comportamento prospettato dal contribuente (art. 5, comma 2, del Regolamento). Di conseguenza sono da ritenere nulli eventuali atti di accertamento e controllo emessi in difformità della soluzione prospettata dal contribuente (ed implicitamente condivisa dall’Agenzia per effetto del silenzio-assenso).
  3. Risposta Rettificativa. L’Amministrazione finanziaria può cambiare il parere precedentemente reso seppur decorso il termine dei 120 giorni, comunicando al contribuente la nuova versione interpretativa diversa da quella in precedenza resa in forma esplicita o implicita, i cui effetti ricadranno esclusivamente sui comportamenti successivi. Nel caso in cui il contribuente abbia già posto in essere il comportamento prospettato nell’istanza, uniformandosi alla soluzione interpretativa precedentemente comunicata o implicitamente condivisa dall’Agenzia, nulla può essergli contestato. Se, in caso contrario, il contribuente non abbia ancora posto in essere il comportamento, l’Amministrazione finanziaria può recuperare le imposte eventualmente dovute e i relativi interessi, ma non le sanzioni.

 

 

Conclusioni

L’analisi fin qui prospettata permette l’apprezzamento per la svolta impressa, al nostro ordinamento, a seguito dell’introduzione dell’istituto dell’interpello. La ragione fondamentale che suffraga tale assunto[5] è data dal fatto che l’interpello, ormai, costituisce un’essenziale espressione della funzione consultiva e di assistenza che l’Amministrazione finanziaria deve svolgere nella fase dello spontaneo adempimento dei rapporti obbligatori d’imposta[6].
È logico ritenere come l’istituto dell’interpello assicura una duplice finalità:

  • La certezza del diritto; in quanto l’indirizzo fornito in via interpretativa dall’amministrazione finanziaria indirizza certamente il contribuente verso una scelta ponderata e difficilmente lontana dall’interpretazione voluta dal legislatore
  • Il soddisfacimento dell’interesse erariale al corretto assorbimento dei doveri contributivi assicurando una certa e celere individuazione dei relativi mezzi finanziari rispetto a quella che, ordinariamente, si riscontra quando si verifica una contrapposizione con il contribuente soggetto ad imposizione

 

Quindi, come già detto in precedenza, gli interpelli ricoprono un ruolo di fondamentale importanza nell’evoluzione che caratterizza l’applicazione dei rapporti impositivi. Congiuntamente all’accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale, essi permettono il corretto adempimento degli obblighi impositivi in un’ottica di collaborazione, dialogo e valorizzazione del reciproco affidamento fra l’Amministrazione e il privato.

Informazioni

S.Mecca – G.Salerno, Diritto tributario e contenzioso, Keyeditore, 2020, Milano

A. Fantozzi, Il diritto tributario, Utet giuridica, 2003, Torino

[1] L’esempio che può essere fatto è nel caso del trasferimento all’estero della residenza fiscale. Ne ho parlato in quest’altro articolo per DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2020/04/02/il-trasferimento-della-residenza-fiscale-allestero/

[2] S.Mecca-G.Salerno, Diritto tributario e contenzioso, Keyeditore, Milano

[3] https://fiscomania.com/interpello-ordinario

[4] Cfr. Corte Cost., sentenza n. 191 del 14 giugno 2007, secondo cui “la risposta all’interpello di cui all’art. 11 della L. n. 6 212/2000 deve considerarsi un mero parere, che non integra alcun esercizio di potestà impositiva nei confronti del richiedente. Essa, infatti, configura lo strumento attraverso cui si esplica in via generale l’attività consultiva delle Agenzie fiscali in ordine all’interpretazione delle norme tributarie. Pertanto, il parere emesso, in occasione di una risposta ad un interpello, dall’Amministrazione finanziaria: è vincolante per l’Amministrazione che l’ha reso; non è vincolante per il contribuente”.

[5] https://www.ratioiuris.it/linterpello-tributario/

[6] A. Fantozzi, Il diritto tributario, 2003, osserva come “in un sistema tributario basato sull’adempimento spontaneo, è logico ritenere che l’Amministrazione, a fronte della peculiare funzione di controllo, debba svolgere anche quella di consulenza giuridica e di assistenza”