Breve riflessione sulle misure messe in campo dal Governo in tema di sovraffollamento carcerario, un problema persistente e di non immediata soluzione
La situazione pre-covid del sovraffollamento carcerario
Il problema del sovraffollamento carcerario segna l’Italia da ormai molti anni[1]. Sulla questione un primo punto fermo è stato posto dai giudici della Corte EDU con la sentenza pilota nota come sentenza Torreggiani[2] con la quale veniva condannata l’Italia per violazione dell’art 3 CEDU, in quanto, in estrema sintesi, lo stato di sovraffollamento carcerario presente in molti istituti congiunto ad altri fattori (es. mancanza di luce ed acqua calda nelle celle) dava in concreto vita ad un trattamento inumano e degradante come tale contrario appunto all’art 3 CEDU.
La Corte con la sentenza richiamata dà all’ordinamento italiano un anno di tempo dal passaggio in giudicato della sentenza per l’adozione di meccanismi effettivi ed idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario.
In esecuzione di tale previsione, ed al fine di evitare di incorrere in ulteriori sanzioni, il governo italiano, nel 2014[3], ha provveduto all’introduzione di due nuovi articoli all’interno della l. 354/1975; l’art 35 bis che è andato a prevedere un strumento di carattere preventivo con il quale mettere il detenuto nella condizione di far valere la pretesa violazione dell’art 3 CEDU mediante la predisposizione di un rimedio di carattere giurisdizionale e l’art 35 ter che delinea, invece, un meccanismo compensativo/risarcitorio in caso di avvenuta violazione.
Il processo di riforma avviato dal governo all’indomani della sentenza Torreggiani ha portato effetti positivi nel breve periodo; infatti, come emerge dai dati ufficiali se nel 2013 i detenuti presenti in Italia erano 62.536 nel 2014 il numero è sceso a 53.623[4].
La situazione di contenimento del sovraffollamento è, tuttavia, durata ben poco infatti già nel 2016 il tasso di sovraffollamento è nuovamente cresciuto.
Situazione attuale nelle carceri italiane
La situazione carceraria italiana è ad oggi tutt’altro che florida. Stando ai dati del Ministero della Giustizia nel febbraio 2020 i detenuti presenti nelle carceri italiane erano 61.230, a fronte di una capienza regolamentare delle carceri pari a 50.931 posti [5]. In altre parole, dove dovrebbero stare 100 persone lo Stato italiano ne ha confinate 120. Con una differente distribuzione poi tra le varie regioni di Italia.
Tale situazione, di per sé problematica, è stata ulteriormente messa in crisi dallo scoppio della pandemia. In una situazione di emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo il sovraffollamento carcerario rischia infatti, di condurre a conseguenze ancor più disastrose nel momento in cui- come già purtroppo sta avvenendo- il contagio si diffonde nelle carceri.
È infatti evidente che, in una realtà come quella carceraria risultano difficilmente applicabili anche le più basilari regole imposte dalle autorità sanitarie e governative. Si pensi, prima tra tutte, a quella del distanziamento sociale. Come può esser possibile applicare tale regola all’interno di istituti nei quali i detenuti condividono celle di 12 metri quadrati con altri due o tre compagni?
Come è stato correttamente osservato[6], tale situazione non può neppur esser validamente fronteggiata fornendo guanti e mascherine monouso agli operatori penitenziari e ai detenuti.
Si è reso dunque necessario un intervento radicale volto a ridurre tale situazione di sovraffollamento decongestionando il nostro sistema carcerario.
Le misure messe in atto dal governo
Preso atto del potenziale scoppio di una bomba sanitaria all’interno degli istituti penitenziari il governo ha deciso di intervenire predisponendo, all’interno del c. d d. l. “Cura Italia”[7] due meccanismi ad hoc disciplinati agli articoli 123 e 124.
L’articolo 123 delinea un’ipotesi di detenzione domiciliare in deroga a quella ordinaria in base alla quale, fatta eccezione per le ipotesi delineate dalla lettera a) ad f) del richiamato decreto[8], dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2020, la pena detentiva è eseguita, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena. Prevedendo poi, al comma 3 che, qualora la pena, anche residua, superi i sei mesi, per disporre l’esecuzione domiciliare occorre applicare all’interessato un dispositivo di controllo, ed è condicio sine qua non che l’interessato presti il consenso all’attivazione del dispositivo.
L’articolo 124 estende invece, in deroga alla normativa ordinaria, la durata delle licenze per i semiliberi consentendone la durata sino al 30 giugno 2020.
L’obbiettivo dichiarato da tali misure avrebbe dovuto essere quello di decongestionare il sistema carcerario. Obbiettivo che, tuttavia, è ben lontano dall’esser stato raggiunto; come i dati dimostrano, infatti, il numero dei detenuti che hanno potuto usufruire di tali misure[9] così da scontare la pena al di fuori dell’istituto è di 2.628 detenuti per quanto riguarda l’uscita in detenzione domiciliare, di cui 617 con applicazione del braccialetto elettronico; 704 sono invece le licenze concesse a favore di persone semilibere.
Tra le inadeguatezze che a tali misure vengono recriminate, e che già erano state indicate agli addetti ai lavori in sede di conversione del d.l., vi è il fatto che tali misure, e soprattutto la detenzione domiciliare in deroga, risultano in concreto applicabili sia per l’entità di pena richiesta, sia per la scarsità dei braccialetti elettronici, ad un range di detenuti fortemente circoscritto. Lo stesso CSM infatti ha affermato che le norme contenute nel decreto Cura Italia per i detenuti sono «inadeguate», visto che «una parte numericamente non esigua della popolazione detenuta non potrà avere accesso alla misura per l’indisponibilità di un effettivo domicilio». Per i detenuti che potranno fruirne invece, l’incisività dell’intervento risulterà invece «fortemente depotenziata dalla indisponibilità degli strumenti di controllo elettronici, la cui carenza, non da oggi, costituisce una delle maggiori criticità del nostro sistema»[10].
Il risultato è quindi non idoneo a garantire una riduzione dei detenuti presenti negli istituti tale da consentire l’applicabilità, anche in tali luoghi, del raccomandato distanziamento sociale e da consentire, nei casi di detenuti positivi o sospetti tale, l’isolamento sanitario.
In alcuni casi tuttavia la Magistratura di Sorveglianza ha cercato di porre rimedio a tali inadeguatezze e favorire così il decongestionamento carcerario mediante l’impiego della strumentazione fornita dalla legislazione penitenziaria “ordinaria”; spicca tra tali interventi l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano con cui si è concesso il differimento facoltativo della pena ex art 147 c.p.p da scontare nelle forme della detenzione domiciliare ad un detenuto “assolutamente ostativo” ( e per il quale dunque era esclusa l’applicabilità della disposizione di cui all’art 123 d.l 18/2020) in quanto:
“non si può escludere che il soggetto sia a rischio in relazione al fattore età, alle pluripatologie con particolare riguardo alle problematiche cardiache, difficoltà respiratorie e diabete, rilevato inoltre che ad oggi la situazione risulta aggravata significativamente dalla concomitanza del pericolo di contagio e che tali patologie possano considerarsi gravi, ai sensi dell’art. 147 c.1 n.2) c.p., con specifico riguardo al correlato rischio di contagio attualmente in corso per COVID 19, che appare – contrariamente a quanto ritenuto dal MdS – più elevato in ambiente carcerario, che non consente l’isolamento preventivo”[11].
Dal quadro brevemente delineato appare evidente che siamo ben lontani da poter scongiurare un rischio sanitario all’interno delle carceri.
Se infatti il numero dei detenuti presenti all’interno degli istituti da febbraio 2020 è passato da 61.230 a 53.658[12], con un calo quindi di 6 mila detenuti dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, la situazione è ancora fortemente pericolosa.
Al fine di correttamente valutare l’affluenza attuale negli istituti penitenziari poi bisogna tenere presente che, sebbene la capienza regolamentare ufficiale sia di circa 50 mila posti, vi sono sempre aree in manutenzione e settori degli istituti resi completamente inagili dopo le rivolte di marzo. Per cui per poter parlare di un primo risultato positivo si dovrebbe procedere ad un ‘alleggerimento’ più massiccio delle presenze in carcere che potrebbe essere concretamente raggiunto solo se si consentisse l’uscita di circa otto-diecimila detenuti, oltre a quelli già in misura alternative ed ai semi liberi[13].
Per fare ciò è evidente che sia necessario un ripensamento delle misure messe in campo da Governo al fine di consentirne l’estensione ad un novero il più ampio possibile di detenuti.
Informazioni
[1] Su questa tematica vedi quest’altro articolo di DirittoConsenso: http://www.dirittoconsenso.it/2018/11/05/il-problema-del-sovraffollamento-carcerario/
[2] Adottata dall’unanimità in data 08.01.2013
[3] Gli artt. 35 bis e 35 ter l. 354/1975 sono stati introdotti con il d.l. n. 146/2013 convertito dalla l. 10/2014 c.d. “decreto svuota-carceri”
[4] Dati consultabili su https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.wp?facetNode_1=3_1_6&previsiousPage=mg_1_14&contentId=SST165666
[5] Dati consultabili su https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST250612&previsiousPage=mg_1_14
[6] https://www.antigone.it/news/antigone-news/3288-carceri-e-covid-19-i-dati-forniti-dal-ministro-bonafede-ci-dicono-che-si-deve-fare-di-piu-e-presto
[7] Decreto legge n.18/2020 entrato in vigore il 17.03.2020
[8] Le ipotesi di esclusione dell’applicabilità della misura sono:
a) soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis 354/1975 e successive modificazioni e dagli articoli 572 e 612-bis c.p.; b) delinquenti abituali, professionali o per tendenza; c) detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, salvo che sia stato accolto il reclamo; d) detenuti che nell’ultimo anno siano stati sanzionati per le infrazioni disciplinari di cui all’articolo 77, comma 1, n. 18-21 dpR 230/2000; e) detenuti nei cui confronti sia redatto rapporto disciplinare in quanto coinvolti nei disordini e nelle sommosse a far data dal 7 marzo 2020; f) detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.
[9] Dati del 24.04.2020 consultabili su http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/comunicati_stampa.page
[10] Delibera del CSM adottata a maggioranza il 26.03.2020
[11] Ordinanza scaricabile su https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2020/04/2020_2811_tds-1.pdf
[12] Questo il dato pubblicato dal Garante Nazionale dei detenuti in data 24.04.2020 consultabile su: http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/comunicati_stampa.page
[13] Osservazioni di Susanna Marietti in “Nelle carceri 6.000 detenuti in meno, ma non basta per il “distanziamento”

Rebecca Giorli
Ciao, sono Rebecca. Sono nata a Lucca nel 1994. Mi sono laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Pisa con una tesi sul trattamento penitenziario per i condannati per i reati di criminalità organizzata. Attualmente svolgo il tirocinio formativo ex art 73 d.l. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Lucca. Nutro un forte interesse per il diritto penale e penitenziario, in particolar modo per quanto riguarda i reati di criminalità organizzata.
Ho fatto parte di DirittoConsenso da marzo 2020 ad aprile 2022.