La privatizzazione delle carceri italiane può rappresentare una soluzione efficace dei numerosi problemi che affliggono i nostri istituti penitenziari?
Introduzione
Il nostro ordinamento ha sempre escluso una possibile privatizzazione delle carceri, ma, ad oggi, le condizioni degli istituti penitenziari italiani sono degradanti a tal punto da aver rimescolato le carte in tavola.
L’art. 27 della nostra Costituzione recita chiaramente che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Il carcere, dunque, non deve solo promuovere attività capaci di rieducare i detenuti preparandoli al loro reinserimento nella società, ma soprattutto deve rispettare e tutelare i diritti umani.
Osservando la situazione in cui versano le carceri italiane ci si rende ben presto conto che l’art.27 della Costituzione è, di fatto, lettera morta: il sovraffollamento degli istituti penitenziari è all’ordine del giorno[1], le condizioni igieniche nelle quali versano i detenuti sono talvolta agghiaccianti e sempre più spesso le carceri sono incapaci di assicurare la realizzazione di attività rieducative.
Nonostante i diversi tentativi legislativi e i richiami dalla Corte EDU, l’Italia non è ancora riuscita a risolvere queste gravissime problematiche e ad oggi solo una via resta percorribile, ossia la privatizzazione degli istituti penitenziari; si tratta di una soluzione che, tentatrice come il canto di una sirena, si fa giorno dopo giorno sempre più tangibile.
Un passpartout chiamato privatizzazione delle carceri
Il tema della privatizzazione delle carceri anima da moltissimo tempo il dibattito italiano, ma prima affrontare l’argomento occorre fare un passo indietro per capire come mai questo tema, ad oggi, sia così caldo ed acceso.
Le carceri italiane da molti anni rappresentano il tallone d’Achille della giustizia italiana: dall’essere luoghi di rieducazione sono diventati dei veri e propri lager dove, a farla da padrone, è il sovraffollamento che ha come immediata ed inevitabile conseguenza l’azzeramento dei diritti umani dei detenuti. Il problema del sovraffollamento delle nostre carceri ha attirato l’attenzione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, nel 2013 si è pronunciata con la sentenza Torreggiani nella quale emerge una realtà agghiacciante: il signor Torreggiani, il signor Bamba e il signor Biondi erano detenuti nel carcere di Busto Arsizio ed occupavano una cella di 9 m2, perciò ognuno di loro aveva a disposizione per vivere solo 3 m2.
Attraverso questa pronuncia la Corte EDU ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 della CEDU[2] sostenendo che, alla luce di quelle che erano le condizioni di vita riportate, i detenuti venivano sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. L’Italia venne, quindi, invitata a risolvere il problema strutturale del sovraffollamento delle carceri cercando di ridurre il numero di persone detenute, dando maggiore applicazione alle misure punitive non privative della libertà personale e riducendo al minimo il ricorso alla custodia cautelare in carcere[3].
La sentenza Torreggiani, nonostante desse voce all’orribile realtà delle carceri italiane, non fu affatto risolutiva: il problema del sovraffollamento, infatti, persiste tutt’oggi e, nonostante i consigli, dati e mai seguiti, presenti nella pronuncia della corte EDU, l’Italia è alla continua ricerca di una soluzione più immediata, semplice e definitiva.
Negli ultimi anni si è cominciato a parlare della privatizzazione delle carceri come se fosse un passpartout capace di risolvere non solo il problema del sovraffollamento, ma qualunque altro problema che affligge i nostri istituiti penitenziari; rispetto ad altre realtà, come quella americana, in Italia l’organizzazione e gestione delle carceri costituisce una rilevante funzione pubblica. Nello specifico l’amministrazione penitenziaria rientra nella più ampia funzione dell’amministrazione della giustizia, a sua volta parte delle funzioni d’ordine. Quest’ultime esprimono di regola la sovranità dello Stato, per cui non sarebbe configurabile per l’esercizio di esse una concorrente competenza di autorità non facenti parte dell’apparato statale.
“Per questa ragione, nel nostro Paese, se da un lato si riconosce che una gestione delle strutture penitenziarie assistita da capitali privati consente che la sovranità statale venga esercitata nella modalità più economica, efficace ed efficiente possibile, dall’altro la prassi dell’esternalizzazione in materia carceraria è molto limitata e circoscritta prevalentemente alla gestione di alcuni servizi strumentali (ad esempio, il vettovagliamento dei detenuti è affidato per lo più ad aziende private alle quali il servizio viene appaltato)”[4].
Alcune eccezioni italiane
Esistono però delle eccezioni che meritano di essere menzionate e che ci avvicinano sempre di più ad una realtà di privatizzazione delle carceri: nel 2005 l’ex casa di lavoro di Castelfranco Emilia è stata trasformata, attraverso un decreto del Ministro della Giustizia, in una casa di reclusione destinata alla custodia attenuata dei detenuti tossicodipendenti. Questo progetto venne realizzato in collaborazione con la comunità religiosa di San Patrignano alla quale venne affidata buona parte della gestione del nuovo istituto grazie ad un’intesa di partnership con il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria dell’Emilia-Romagna.
Tuttavia, nonostante il nostro ordinamento permetta di realizzare forme di collaborazione con enti e/o associazioni no-profit, il ruolo svolto dalla cooperativa della comunità di San Patrignano non si è limitato al semplice e mero supporto, bensì si è esteso anche all’attività di rieducazione[5]. Ma non è tutto: con il Decreto-legge sulle liberalizzazioni del 24 gennaio 2012 viene inserito lo strumento del “Project financing” per la costruzione di nuovi istituti penitenziari. Si tratta di un dispositivo economico che consente la partecipazione di grandi aziende, imprese private o banche alla progettazione, costruzione e gestione di nuove carceri.
Lo Stato, in altri termini, permette all’azienda, che ha partecipato alla progettazione e costruzione, di gestire la struttura in tutti i suoi servizi e mansioni, eccetto quello custodiale, per 20 anni traendone i relativi profitti. Il primo esempio di Project financing doveva essere il carcere di Bolzano, tuttavia, ad oggi il progetto è fermo a causa del fallimento dell’industria appaltatrice. La struttura, infatti, versa in una condizione piuttosto gravosa a causa delle scarse condizioni igieniche, del sovraffollamento e della difficoltà nell’organizzare attività del tempo libero ed educative[6].
L’esempio americano: uno specchio per le allodole?
L’associazione privatizzazione delle carceri ed USA è inevitabile: intorno agli anni ’80 l’America dovette interfacciarsi con il problema del sovraffollamento delle carceri, una problematica che venne affrontata procedendo alla graduale privatizzazione di strutture amministrate e gestite in precedenza dallo Stato e attraverso la costruzione di nuovi istituti privati.
Ad oggi CoreCivic e Geo Group sono le due principali società americane che detengono il controllo del mercato delle carceri private. Esse non si occupano solo della gestione diretta delle prigioni, ma anche dei fornitori, dei programmi di riabilitazione, di monitoraggio elettronico e sono proprietarie di edifici in cui hanno sede degli uffici governativi. Negli ultimi due anni queste due società hanno firmato nuovi contratti di appalto e, con Trump al governo, le azioni della CoreCivic e Geo Group sono aumentate rispettivamente del 43% e 21%.
Tuttavia, nemmeno la realtà carceraria americana è tutta rose e fiori: infatti, per poter mantenere queste “prigioni a scopo di lucro” vengono tagliati i costi e molti servizi spesso essenziali per tutelare la salute dei detenuti. Alcuni esempi? Diversi articoli ed indagini hanno aperto il vaso di Pandora che ha rivelato la presenza di personale non qualificato, cibo scadente, programmi di riabilitazione inesistenti e il trattamento brutale di molti detenuti. Oltre a ciò, sono state moltissime le inchieste sulle imprese legate alle società di gestione privata delle carceri che si avvalgono del lavoro dei detenuti a basso costo: “non devono preoccuparsi degli scioperi o di pagare i sussidi di disoccupazione, dei periodi di vacanza o degli straordinari. Tutti i loro lavoratori sono a tempo pieno, non arrivano mai in ritardo e non sono assenti a causa di problemi familiari; inoltre, se non gradiscono lo stipendio di 25 centesimi l’ora e si rifiutano di lavorare, vengono rinchiusi nelle celle di isolamento”[7].
Conclusione
Possiamo immaginare una privatizzazione delle carceri italiane?
Sebbene in Italia il business carcerario non ha, per il momento, sufficiente spazio per poter essere praticato, non possiamo negare del tutto la possibilità che il nostro Paese segua, prima o poi, le orme americane, ma la vera domanda è: la privatizzazione delle carceri rappresenta una reale soluzione ai problemi dei nostri istituti penitenziari oppure è soltanto un cavallo di Troia?
Informazioni
[1] Per approfondire il tema del sovraffollamento negli istituti penitenziari consiglio la lettura dell’articolo di Biagio Sapone dal titolo “Il problema del sovraffollamento carcerario” http://www.dirittoconsenso.it/2018/11/05/il-problema-del-sovraffollamento-carcerario/. Per conoscere invece in che modo è stato affrontato, e viene affrontato, il problema del sovraffollamento durante l’emergenza sanitaria consiglio l’approfondimento di Rebecca Giorli dal titolo “Sovraffollamento carcerario ed emergenza Covid-19” http://www.dirittoconsenso.it/2020/04/30/il-sovraffollamento-carcerario-covid19/
[2] Art.3 CEDU: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
[3] https://www.iusinitinere.it/sentenza-torreggiani-diritti-dei-detenuti-nelle-carceri-sovraffollate-2579
[4] http://www.lab-ip.net/uno-sguardo-sulla-privatizzazione-del-carcere-in-italia/#_ftnref1
[5] http://www.lab-ip.net/uno-sguardo-sulla-privatizzazione-del-carcere-in-italia/#_ftnref1
[6] https://www.antigone.it/osservatorio_detenzione/trentino-alto-adige/18-casa-circondariale-di-bolzano
[7] https://www.ilpost.it/2019/03/10/prigioni-private-stati-uniti/

Giulia Pugliese
Ciao, sono Giulia. Sono nata a Carate Brianza nel 1995. Sono una laureanda in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca e da sempre nutro una grande passione per la procedura penale, materia in cui ho scelto di scrivere la mia tesi. Nell'ultimo anno ho iniziato ad appassionarmi alla procedura penale minorile, passione che intendo coltivare e trasformare nel mio lavoro.
Ho fatto parte di DirittoConsenso da febbraio 2020 a dicembre 2020.