In Italia al fine di contrastare il crimine organizzato è stata prevista la creazione di una serie di organi dell’antimafia sia giudiziari che di polizia

 

Il primo degli organi antimafia: la Direzione Nazionale Antimafia

Al vertice degli organi dell’antimafia in Italia abbiamo la Direzione Nazionale Antimafia (DNA). La nascita della DNA è frutto dell’idea di Giovanni Falcone a cui, durante il periodo in cui rivestiva la direzione degli Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia, fu possibile dare attuazione. È infatti con il d. l. 367/1991, convertito in legge n. 8 del 22 gennaio 1992, che tale Ufficio fa il suo ingresso nell’ordinamento italiano.

La DNA ha sede presso la Procura generale presso la Corte suprema di Cassazione e, in prima approssimazione, svolge attività di coordinamento, in ambito nazionale, delle indagini di criminalità organizzata svolte dalle varie procure distrettuali.

Nel 2015 con il d. l. n. 7 convertito nella l. 43/2015 alla competenza in materia di contrasto al crimine organizzato si è affiancata quella in materia di terrorismo, anche internazionale.

 

Struttura della DNA

Tra gli organi dell’antimafia sicuramente si deve menzionare la Direzione Nazionale Antimafia la cui struttura trova disciplina all’art 103 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione il quale prevede che alla Direzione sono preposti un magistrato, con funzioni di Procuratore Nazionale[1], e due magistrati con funzioni di procuratore aggiunto, nonché, quali sostituti, magistrati che abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità.

I Sostituti procuratori sono attualmente venti.

I magistrati per l’incarico di Procuratore Nazionale e procuratore aggiunto sono scelti tra coloro che hanno svolto, anche non continuativamente, funzioni di pubblico ministero per almeno dieci anni e che abbiano specifiche attitudini, capacità organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti in materia di criminalità organizzata e terroristica.

Questi stanno in carica per un periodo di quattro anni con possibilità di essere rieletti una sola volta.

Il conferimento dell’incarico spetta al Consiglio Superiore della Magistratura in accordo con il Ministro di Giustizia.

Il Procuratore nazionale antimafia ha un ruolo di direzione dell’Ufficio ed è sottoposto alla vigilanza del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, che riferisce al Consiglio Superiore della Magistratura circa l’attività svolta e i risultati conseguiti dalla DNA e dalle direzioni distrettuali antimafia.

 

Funzioni del Procuratore Nazionale Antimafia

Le funzioni di tale organo dell’antimafia sono delineate all’art 371 bis c.p.p. il quale primariamente ne individua l’ambito di competenza circoscrivendolo ai procedimenti per i delitti di cui all’art 51 comma 3 bis e quater e per i procedimenti di prevenzione antimafia ed antiterrorismo.

Con la precisazione però che per i procedimenti di cui all’art 50 comma 3 bis c.p.p dispone della Direzione Investigativa Antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l’impiego a fini investigativi.

In relazione ai procedimenti per i delitti di cui all’articolo 51 comma 3 quater, invece, si avvale dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia e impartisce direttive intese a regolarne l’impiego a fini investigativi.

In prima approssimazione, questi ha funzioni di coordinamento delle Procure distrettuali e ha poteri di sorveglianza, controllo e avocazione, oltre che di impulso delle indagini che non può compiere direttamente e non può dare direttive vincolanti nel merito alle procure distrettuali. Può invece avocare le indagini condotte da una procura distrettuale che abbia dimostrato grave inerzia o che non si sia coordinata con le altre.

In particolare, questi:

  • assicura un costante collegamento con ciascuna DDA per l’acquisizione e la successiva elaborazione di dati, notizie e informazioni relativi ai reati di competenza;
  • può disporre l’applicazione temporanea dei magistrati della Direzione Nazionale presso una DDA per coadiuvare quest’ultima quando lo richiede la complessità di un’indagine;
  • può riunire i procuratori distrettuali interessati al fine di risolvere i contrasti che, malgrado le direttive specifiche impartite, siano insorti e abbiano impedito di promuovere o di rendere effettivo il coordinamento;
  • dispone, con decreto motivato reclamabile al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, l’avocazione delle indagini preliminari quanto non hanno dato esito le riunioni disposte al fine di promuovere o rendere effettivo il coordinamento.

 

Ai fini del coordinamento il Procuratore può avvalersi dei servizi centrali delle Forze di polizia quali la Direzione Investigativa Antimafia (DIA), il Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma dei Carabinieri (ROS), Il Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di finanza (SCICO).

 

La Direzione Distrettuale Antimafia: struttura e funzioni

Tra gli organi dell’antimafia, a livello periferico, rivestono un ruolo fondamentale al fine di un efficacie svolgimento dell’attività d’indagine, le Direzioni Distrettuali Antimafia (DDA) istituite presso le Procure della Repubblica nei ventisei distretti di Corte d’Appello di cui si avvale il Procuratore Nazione Antimafia.

Per quanto concerne la formazione di tale organo lo stesso articolo 102 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione ne prevede l’istituzione ad opera del Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto.

Nell’ambito del suo ufficio, infatti, questi è tenuto ad istituire una direzione distrettuale antimafia designando i magistrati che devono farne parte. Per la designazione, il procuratore distrettuale tiene conto delle specifiche attitudini e delle esperienze professionali. Della direzione distrettuale non possono fare parte magistrati in tirocinio. La composizione e le variazioni della direzione sono comunicate senza ritardo al Consiglio Superiore della Magistratura.

L’incarico ha una durata non inferire a due anni.

Il procuratore distrettuale o un suo delegato è preposto all’attività della direzione e cura, in particolare, che i magistrati addetti ottemperino all’obbligo di assicurare la completezza e la tempestività della reciproca informazione sull’andamento delle indagini ed eseguano le direttive impartite per il coordinamento delle investigazioni e l’impiego della polizia giudiziaria.

L’ambito di competenza dei magistrati assegnati alla procura distrettuale riguarda i procedimenti per i reati di cui all’art 51 co 3 bis c.p.p.

 

Il reparto investigazioni giudiziarie della DIA: origine e funzioni

Infine, tra gli organi dell’antimafia una particolare menzione merita la DIA.

Falcone volle creare un organismo nazionale che coordinasse le indagini fra le varie procure e volle che la nascita dell’organismo giudiziario fosse accompagnata dalla creazione della DIA. Questo organo, formato da Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza, che si occupava in via esclusiva di tutte le indagini antimafia, fu istituito con d.l. del 29 ottobre 1991, n. 345, convertito in legge 30 dicembre 1991, n.410.

Il disegno di creazione della DIA implicava il riassetto di un intero settore della sicurezza pubblica, che aveva avuto nell’Alto Commissario il primo ufficio specializzato nella lotta contro la delinquenza.

All’Alto Commissario, secondo il progetto originario, spettava la direzione generale della DIA, con obbligo di riferire periodicamente al Consiglio Generale per la lotta alla criminalità organizzata. Alla DIA sarebbe stato preposto un responsabile, con qualifica di dirigente superiore o grado equiparato, che avesse maturato una certa esperienza nel settore della criminalità organizzata.

Proprio il ruolo dall’Alto Commissario fu aspramente criticato in sede di dibattito parlamentare sia per l’ampio potere discrezionale concessogli sia, anche, per il mantenimento di questa figura visto che essa non aveva soddisfatto appieno le aspettative.

L’esito di tale querelle fu una modifica del testo normativo così che l’Alto Commissario non ebbe più la direzione della DIA ma, bensì, la responsabilità generale delle attività da essa svolte.

Successivamente fu deciso di fissare entro il 1995, quindi entro tre anni dall’entrata in vigore della normativa, la data massima di abolizione della figura dell’Alto Commissario, i cui poteri sarebbero poi passati al Ministro dell’Interno, con facoltà di delega a Prefetti, al Direttore della DIA e – per le facoltà attinenti alla tutela dei collaboratori di giustizia – al Capo della Polizia. Abolizione che avvenne già alla fine di dicembre del 1992.

Per non dispendere il patrimonio di mezzi, personale e know-how acquisito con il lavoro svolto dall’Alto Commissario, tuttavia ciò sarebbe stato prontamente trasferito alla DIA che si poneva, dunque, come un organismo ordinario avente il compito di operare contro la criminalità mafiosa nel lungo periodo.

La nascita della DIA rappresentò un capitolo nuovo nel contrasto alla criminalità, visto che fino a quel momento i modelli ordinamentali erano stati caratterizzati dalla concentrazione di funzioni diverse all’interno di un unico organismo, mentre adesso ad un organismo corrispondeva un solo e specifico compito.

La DIA deve essere ordinata secondo modelli rispondenti alla diversificazione dei settori di investigazione e alle specifiche caratteristiche degli ordinamenti delle forze di polizia interessate con l’obbiettivo dichiarato di costruire una struttura flessibile ed elastica, così da permettere all’organismo di modificarsi costantemente a seconda della necessità.

Tale organo dell’antimafia è a sua volta suddiviso in tre reparti, di questi il Reparto Investigazioni Giudiziarie è quello che svolge una funzione di pianificazione e programmazione delle indagini, nonché di verifica dei risultati conseguiti.

Per lo svolgimento di tale compito non può prescindere dalla creazione di appositi nuclei di investigatori che operino sul territorio, tenendo soprattutto conto del fatto che le indagini di polizia giudiziaria devono essere effettuate unicamente nei contesti territoriali che sono stati teatro dell’attività criminosa da contrastare.

Nelle sue articolazioni periferiche allora il reparto costituisce servizio di polizia giudiziaria e i vari nuclei devono essere diretti dalle procure distrettuali, sia che le investigazioni di iniziativa, sia che siano delegate dall’autorità giudiziaria così che le procure distrettuali possono considerarsi come “il referente istituzionale dell’organismo investigativo[2]”.

 

Riflessioni finali

Dall’articolazione ora delineata emerge chiaramente come un elevato livello di specializzazione e una settorialità negli incarichi siano il punto di forza degli organi dell’antimafia messi in campo dall’ordinamento italiano al fine di consentire un efficacie contrasto al crimine organizzato[3].

Infatti, solo prevendo organi con competenze specifiche che operano su vari livelli in costante coordinamento e strettamente collegati tra loro, defaticati di tutte quelle attività non strettamente connesse alla materia di loro competenza, si può effettivamente pensare di dare una significativa battuta d’arresto a tali forme di criminalità particolarmente insidiose e ben radicate sul territorio.

Informazioni

Sito del Ministero della Giustizia, consultabile al link: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_10_1.page#:~:text=Il%20Procuratore%20nazionale%20antimafia%20esercita,reati%20commessi%20dalla%20criminalit%C3%A0%20organizzata.

La direzione investigativa antimafia: origini, attività e prospettive, consultabile al link: http://tesi.luiss.it/25279/1/082022_DASSORI_FILIPPO.pdf

Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, a cura di Vincenzo Giglio, consultabile al link: https://www.filodiritto.com/codici/codice-delle-leggi-antimafia-e-delle-misure-di-prevenzione

[1] Il primo magistrato a rivestire il ruolo di Procuratore nazione antimafia fu Bruno Siclari, ex procuratore aggiunto di Milano, in carica dal 1992 al 1997. A Siclari succedette il procuratore di Firenze, Pier Luigi Vigna e, nel 2005, il plenum del CSM elesse Pietro Grasso riconfermandolo poi nel 2010. Attuale procuratore nazionale antimafia è  Federico Cafiero De Raho, ex procuratore  della Repubblica di Reggio Calabria, che svolge l’incarico dal 21 novembre 2017.

[2] F. Iannielli, M. Rocchegiani, La Direzione investigativa antimafia, Giuffrè, 1995, Milano

[3] Dello stesso autore e su tematica affine: http://www.dirittoconsenso.it/2020/08/25/concorso-esterno-e-il-caso-bruno-contrada/