Il diritto di passaggio inoffensivo delle navi straniere e i poteri dello Stato costiero

 

Diritto di passaggio inoffensivo: limite ai poteri dello Stato costiero

Come è noto, la Convenzione UNCLOS[1] si configura quale accordo di codificazione disciplinante le norme consuetudinarie di diritto internazionale marittimo. L’argomento che qui interessa è il diritto di passaggio inoffensivo. Ma facciamo un passo indietro.

Superata la prassi del principio di libertà dei mari, gli Stati si assicurano il controllo delle acque adiacenti alla propria costa. Ciò ha portato, a seguito della c.d. dottrina Truman[2], ad una distinzione delle acque in ragione dei poteri che lo Stato costiero può esercitare su di esse: mare territoriale, zona contigua, piattaforma continentale, zona economica esclusiva[3], mare internazionale.

Ciò che in questa sede interessa è verificare, nell’ambito del mare territoriale, quali siano i limiti ai poteri esercitabili dallo Stato costiero. Ai sensi dell’art. 3 Conv. UNCLOS, il mare territoriale si estende fino a massimo 12 miglia marine dalla linea di base, la quale – generalmente – viene individuata nella linea di bassa marea[4]. Tuttavia l’art. 7 Conv. UNCLOS stabilisce, quale deroga a tale criterio, quello del sistema delle linee rette finalizzato al congiungimento dei punti sporgenti della costa. L’Italia, in conformità a questa norma consuetudinaria, ha adottato il sistema delle linee rette – per tutte le coste della penisola e delle isole maggiori – con il D.P.R. n. 816/1977.

Ebbene, di regola lo Stato costiero può esercitare sul mare territoriale tutti i poteri attribuitigli sulla costa[5]; ma, come accade sulla terraferma, esistono dei limiti alla potestà dello Stato.

Il primo è senz’altro costituito dall’impossibilità di esercitare la giurisdizione sulle navi straniere per fatti interni[6] che non minino la pace e la sicurezza dello Stato costiero ovvero non si tratti di crimina iuris gentium o violazione delle norme di ius cogens[7].

Altro limite, al pari fondamentale, è il diritto di passaggio inoffensivo o innocente[8] delle navi straniere, così come ricostruito dagli artt. 17 e ss Conv. UNCLOS.

L’accordo di codificazione in esame riconosce alle navi di tutti gli Stati, costieri o privi di litorale, il diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale, in conformità alle condizioni previste dallo stesso. Il diritto internazionale attribuisce al termine “passaggio” il significato di “navigazione” del mare territoriale, individuando – precipuamente – le caratteristiche di tale atto: mero attraversamento senza entrare nelle acque interne né fare scalo in una rada o installazione portuale situata al di fuori delle acque interne; ovvero dirigersi verso le acque interne o uscirne, oppure fare scalo in una rada o installazione portuale. A tale scopo il passaggio deve essere continuo e rapido, purtuttavia consentendo la fermata e l’ancoraggio, ma soltanto se questi costituiscono eventi ordinari di navigazione o sono resi necessari da forza maggiore o da condizioni di difficoltà, oppure sono finalizzati a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo o in difficoltà[9].

 

La specificità dell’articolo 19 della Convenzione UNCLOS

L’art. 19 Conv. UNCLOS, inoltre, offre un’analisi dettagliata dell’aggettivo “inoffensivo”, qualificato quale passaggio che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero.

Dunque, il diritto di passaggio inoffensivo è consentito solo alle navi straniere che non pongono in essere atti:

  • di minaccia o di impiego della forza contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dello Stato costiero, o contro qualsiasi altro principio del diritto internazionale enunciato nella Carta delle Nazioni Unite;
  • di esercitazione o manovra con armi di qualunque tipo;
  • di raccolta di informazioni a danno della difesa o della sicurezza dello Stato costiero;
  • di propaganda diretti a pregiudicare la difesa o la sicurezza dello Stato costiero;
  • di lancio, appontaggio o recupero di aeromobili;
  • di lancio, appontaggio o recupero di apparecchiature militari;
  • di carico o scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero; di inquinamento intenzionale e grave;
  • di pesca;
  • di conduzione di ricerca scientifica o di rilievi;
  • diretti a interferire con i sistemi di comunicazione o con qualsiasi altra attrezzatura o installazione dello Stato costiero;
  • che non siano in rapporto diretto con il passaggio[10].

 

È lasciata, tuttavia, la possibilità allo Stato costiero di adottare leggi o regolamenti relativi al diritto altrui di passaggio inoffensivo che le navi straniere sono tenute a rispettare.

 

Il diritto di passaggio inoffensivo nei porti

Dal combinato disposto degli artt. 19, par. 2 e 25, par. 2 Conv. UNCLOS, è rintracciabile il diritto dello Stato costiero di subordinare a condizioni l’accesso ai propri porti delle navi straniere.

La questione in Italia ha riguardato soprattutto lo sbarco dei migranti irregolari, in ordine alle vicende delle navi Open Arms, Aquarius e Sea Watch, in quanto una parte dell’opinione pubblica ha ritenuto le attività di queste navi straniere come minacce alla pace ed alla sicurezza del territorio nazionale.

Se è vero che l’art. 19, par. 2, lett. g individua lo sbarco di persone in violazione delle leggi sull’immigrazione quale atto che legittima lo Stato costiero a definire il passaggio come offensivo, è altrettanto in vigore la consuetudine internazionale che configura lo stato di necessità (distress) come causa di esclusione dell’illecito internazionale.

Ed, ancora, se è vero che nessuna norma della Convenzione di Montego Bay disciplina esplicitamente un obbligo dello Stato costiero di intervento, è però previsto che ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile e senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio e i passeggeri:

  • presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;
  • proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;
  • presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo[11].

 

Dall’analisi fin qui svolta, dunque, sembrerebbe che non esista un obbligo dello Stato costiero di accogliere nei propri porti navi battenti bandiere straniere con a bordo migranti irregolari, ma solo un obbligo di salvataggio da parte di una propria nave che intuisca la situazione di pericolo in cui si trovano queste persone durante la loro traversata.

A ben vedere, non ci si può limitare a quanto disciplinato dalla Convenzione di Montego Bay che ha codificato le soli norme consuetudinarie di diritto marittimo. La prassi internazionale è molto più ampia, anzi, un upgrade nella gerarchia delle fonti internazionali impone – in ragione del tema trattato – di prendere in considerazione anche le norme di ius cogens che qui potrebbero venire il rilievo.

Senza ombra di dubbio, anche in questo caso, a prevalere è la tutela della dignità umana ovvero divieto di gross violation, così come ricostruiti con un’interpretazione estensiva degli artt. 1 e 2 Carta ONU. Se in passato l’obbligo di rispettare i diritti umani per gli Stati era solo negativo – cioè di astensione dal commettere atti di genocidio, tortura, pulizia etnica, espulsioni collettive e trattamenti inumani e degradanti –, la giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia[12] ha elaborato un obbligo attivo al fine di prevenire qualsiasi violazione di tale nucleo irrinunciabile.

Questa ricostruzione, dunque, offre una lettura più ampia del diritto di passaggio inoffensivo, non limitando l’analisi alla sola Convenzione UNCLOS, ma tenendo in considerazione anche i diritti delle altre persone coinvolte, alla luce di una vasta articolazione delle fonti del diritto.

 

Il passaggio negli stretti internazionali: inoffensivo o in transito?

Dal combinato disposto degli artt. 34, 35, 36 Conv. UNCLOS è possibile qualificare gli stretti internazionali quali vie marittime, interamente ricoperte dalle acque territoriali degli Stati costieri, che mettono in comunicazione due parti dell’alto mare ovvero una parte di questo con le acque territoriali o le ZEE[13] di un altro Stato. Oltre a questo fondamentale criterio geografico, non si può non far cenno anche ad un elemento funzionale nella definizione degli stretti internazionali, ovverosia l’utilizzo della via marittima a fini mercantili o quale luogo di transito nelle rotte internazionali.

Trattandosi nella sostanza, quindi, di una porzione di mare territoriale ovvero di ZEE, anche in questo caso dovrebbe riconoscersi – quale limite alla sovranità dello Stato rivierasco – il diritto altrui di passaggio inoffensivo. Tuttavia la Convenzione di Montego Bay – agli artt. 37 e ss – disciplina uno specifico istituto per gli stretti internazionali: il passaggio in transito.

I diritti derivanti da tale ultimo sono certamente più ampi di quelli connessi al passaggio inoffensivo, dal momento che quello in transito si applica anche ai sommergibili ed agli aeromobili civili e militari[14]. Tuttavia sia le navi sia gli aerei che esercitano il diritto di passaggio in transito sono subordinati agli obblighi previsti dall’art. 39 Conv. UNCLOS, che – al pari di quanto previsto per il passaggio inoffensivo – attengono al rispetto della sovranità territoriale e della sicurezza dello Stato costiero.

Se quest’ultimo può limitare l’esercizio dell’innocent passage, non è invece previsto – dall’accordo di codificazione in esame – alcun tipo di sanzione a carico delle navi che violino gli obblighi ex art. 39 Conv. UNCLOS, né una deroga al divieto dell’uso della forza per lo Stato costiero minacciato. Ciò non impedisce, però, l’attuazione di eventuali misure diplomatiche al fine di risolvere la controversia tra gli Stati.

Istituti diversi, dunque, quello del diritto di passaggio inoffensivo e quello del passaggio in transito applicabile ai soli stretti internazionali i quali – oltre ad avere un diverso campo di applicazione – trovano una disciplina divergente in ordine ai diritti ed alle sanzioni nel caso di violazione degli obblighi previsti dalla Convenzione di Montego Bay.

Informazioni

CAMARDA, CORRIERI, SCOVAZZI, 2010, La riforma del diritto marittimo nella prospettiva storica, Milano, Giuffrè Editore.

CONFORTI, 2014, Diritto internazionale, Napoli, Editoriale Scientifica.

FOCARELLI, 2019, Diritto internazionale, Wolters Kluwer CEDAM.

SINAGRA-BARGIACCHI, 2019, Lezioni di diritto internazionale pubblico, Giuffré Francis Lefebvre.

Convenzione UNCLOS http://www.ibneditore.it/wp-content/uploads/_mat_online/DirittoMarittimo/Convenzione_Diritti1982.pdf

Legge di ratifica Convenzione UNCLOS https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1994/12/19/094G0717/sg

https://www.biicl.org/

[1] Firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982

[2] Con cui gli Stati Uniti hanno rivendicato il controllo e la giurisdizione sulle risorse della piattaforma continentale.

[3] Per approfondimenti sul tema si rimanda a A. FEDERICO, “Il diritto internazionale marittimo: la zona economica esclusiva” in DirittoConsenso, 3 settembre 2020. http://www.dirittoconsenso.it/2020/09/03/diritto-internazionale-marittimo-zona-economica-esclusiva/

[4] Cfr. art. 5 Conv. UNCLOS.

[5] Cfr. art. 2 Conv. UNCLOS.

[6] Per la distinzione tra fatti interni ed esterni veda Cass. 30/10/1985.

[7] Cfr. art. 27 Conv. UNCLOS.

[8] C.d. innocent passage.

[9] Cfr. art. 18 Conv. UNCLOS.

[10] Cfr. art. 19 Conv. UNCLOS.

[11] Cfr. art. 98 Conv. UNCLOS.

[12] Caso Marx vs Belgio.

[13] Zona economica esclusiva.

[14] Cfr. art. 38, par. 1 Conv. UNCLOS.