Il “no” della Corte costituzionale e le ragioni dell’incompatibilità costituzionale dell’ergastolo minorile applicato ad un imputato minorenne
Introduzione all’ergastolo minorile
La sentenza 168/1994 della Corte costituzionale, seppur spesso trascurata e poco considerata, gioca un ruolo essenziale nella giustizia penale minorile. Con questa sentenza si nega in modo espresso la possibilità di condannare il minore di 18 anni, anche se autore di gravissimi reati, alla pena perpetua. Questo “no” così imperativo dato dai giudici della Corte all’ergastolo minorile è stato frutto di una profonda riflessione che ha, in concreto, riguardato l’imputato in quanto minorenne e le esigenze educative che derivano dalla sua minore età.
Condannare un minore al “fine pena mai” non permette, secondo i giudici della Corte costituzionale, di rispettare ed assicurare le esigenze educative e di formazione del minore stesso. Tali esigenze possono essere, invece, efficacemente soddisfatte attraverso strumenti ed istituti alternativi quali, ad esempio, le comunità[1] e la messa alla prova[2].
Pena perpetua per il minore di 18 anni: qual è la risposta del legislatore americano?
Il quesito circa la possibilità di condannare un minore all’ergastolo è stato risolto attraverso la sentenza 168/1994. Ma prima di analizzarla e di comprendere le ragioni della decisione presa dai giudici, occorre volgere lo sguardo altrove per cercare di capire come altri Stati trattano questo delicato argomento.
Si chiama Christian Fernandez ed aveva solo 12 anni quando è stato accusato di aver ucciso il fratellino spingendolo contro una libreria. Christian si trova sotto processo in un tribunale della Florida e rischia di essere condannato all’ergastolo. Questo caso rappresenta soltanto la punta dell’iceberg: gli USA sono, ad oggi, uno dei pochissimi Stati che consentono e prevedono la possibilità di condannare un soggetto minorenne all’ergastolo. Al momento, infatti, l’America conta circa 2500 persone che dovranno scontare il carcere a vita per crimini commessi prima dei 18 anni e 73 scontano l’ergastolo per reati che sono avvenuti quando avevano 14 anni[3]. Ma se questo è lo scenario che si prospetta per un minorenne americano autore di gravi reati, cosa accade nel nostro Paese?
Sul tema dell’esecuzione penale minorile il legislatore italiano si è dimostrato molto più attento e all’avanguardia rispetto agli USA; infatti, in Italia, grazie all’intervento della sentenza 168/1994, non è possibile condannare un imputato minorenne al carcere a vita. Si tratta di una decisione presa non troppo tempo fa dalla Corte Costituzione, la quale, ripercorrendo alcune importanti tappe storiche, chiarisce, all’interno della sopracitata pronuncia, per quali ragioni la pena dell’ergastolo[4] non possa essere applicata nei confronti di un minorenne.
Fine pena mai per il minore reo: il silenzio dell’ordinamento italiano
La sentenza 168/1994[5], nonostante venga spesso trascurata, gioca un ruolo essenziale e determinante nell’ambito del diritto penale minorile. Questa priva la giustizia penale minorile dello strumento sanzionatorio più esemplare presente nel nostro ordinamento, ossia l’ergastolo.
Storicamente il legislatore italiano non ha mai ritenuto di dover applicare il “fine pena mai” all’imputato minore d’età. Infatti, né il codice Zanardelli né il codice Rocco prevedevano la possibilità di condannare il minore all’ergastolo e, nonostante non vi fosse un divieto esplicito, tale eventualità veniva di fatto esclusa attraverso l’applicazione delle circostanze del reato. Mi spiego meglio: se il minore avesse commesso un reato punito con la pena dell’ergastolo avrebbe operato automaticamente l’attenuante dell’età ex art. 98 c.p.[6]. Esisteva, però, il rischio che il minore venisse condannato alla pena perpetua nel caso di concorso di circostanze attenuanti e aggravanti: se il bilanciamento avesse determinato una prevalenza delle aggravanti sarebbe stato possibile ricorrere alla pena dell’ergastolo.
Tuttavia, il legislatore del 1930 aveva chiaramente stabilito che le circostanze di natura personale, come l’attenuante dell’età ex art. 98 c.p., non potevano essere soggette a bilanciamento, il che, di fatto, escludeva la possibilità di condannare al carcere a vita un imputato minorenne, nonostante la gravità del reato commesso.
Lo scenario cambiò drasticamente nel 1974 quando venne riformata la disciplina delle circostanze e del loro bilanciamento, stabilendo che ogni circostanza è bilanciabile, anche quelle personali[7]. In questo modo, seppur involontariamente, il legislatore italiano aveva previsto la concreta possibilità di applicare la pena perpetua anche nei confronti di un soggetto minorenne. Alla giustizia penale minorile veniva, in questo modo, consegnata una carta in più da giocare i cui effetti, tuttavia, rischiavano di produrre più danni che benefici.
Il “no” della Corte costituzionale
Nel 1994 la Corte costituzionale dovette affrontare di petto il delicatissimo tema dell’ergastolo minorile cercando di capire se, in qualche modo, il minore potesse trarre dei benefici e soddisfare le sue esigenze educative pur scontando una pena perpetua. Inutile dire che il risultato di questa riflessione portò i giudici a dichiarare illegittimo, attraverso la sentenza 168/1994, il complesso normativo che permetteva l’applicabilità dell’ergastolo nei confronti del minore imputato.
Questo, però, non significava dichiarare illegittimo l’ergastolo nel nostro ordimento, anzi i giudici, all’interno della pronuncia in esame, hanno riconosciuto e confermato la compatibilità del fine pena mai con l’art. 27 della Costituzione. In poche parole, anche l’ergastolo soddisfa la funzione rieducativa della pena, poiché non priva il reo della possibilità di ottenere la libertà condizionale ed altri benefici penitenziari che possono stimolarlo al cambiamento.
L’insieme di questi meccanismi rende la pena perpetua assolutamente legittima e perfettamente compatibile con la nostra Carta Costituzionale. Nonostante ciò, i giudici della Corte costituzionale hanno ritenuto illegittima l’applicazione dell’ergastolo al minore perché, di fatto, il fine pena mai non permette di prendere in considerazione la particolare condizione di un soggetto minorenne, il quale, presentando una personalità in continua formazione e cambiamento, ha particolari e specifiche esigenze che, per essere soddisfatte, necessitano inevitabilmente di un diverso trattamento che, di certo, non può essere assicurato attraverso l’ergastolo.
L’interpretazione in ottica costituzionale dell’ergastolo minorile
Nella sentenza 168/1994, i giudici della Corte costituzionale propongono una diversa lettura ed interpretazione di alcuni articoli della nostra Carta costituzionale. In primis, la Corte afferma chiaramente che l’art. 31 della Costituzione[8], favorendo la protezione dell’infanzia e della gioventù, impone che ai minori di 18 anni, a fronte delle loro esigenze educative, venga assicurata una diversità di trattamento.
Questa lettura dell’art.31 Cost., permette, a sua volta, di attribuire un diverso significato alla funzione special-preventiva della pena contenuta nell’art.27 comma 3 Cost.[9]: per i minori, infatti, tale funzione deve essere considerata prevalente, se non addirittura esclusiva, e ciò crea un insuperabile contrasto tra la stessa funzione special-preventiva e il complesso di norme che regolano l’ergastolo[10]. Inoltre, dall’attenta lettura dell’art.31 Cost. si ricava non solo un principio di differenziazione di trattamento, ma anche un dovere, in capo allo Stato italiano, di protezione del minore che può essere soddisfatto attraverso la previsione ed il riconoscimento di trattamenti differenziati che siano capaci di rispondere nel modo più efficace possibile alle particolari esigenze educative e di formazione del minore reo.
Il riconoscimento di tale dovere di protezione del minore modifica inevitabilmente il significato da attribuire al principio rieducativo della pena: infatti, alla luce di quanto affermato dai giudici nella sentenza 168/1994, quando si parla di minori imputati, alla pena va attribuita una connotazione non più rieducativa, ma educativa[11].
Conclusioni
In sintesi, i giudici della Corte costituzionale, attraverso la sentenza 168/1994, hanno affermato che l’art. 31 Cost. in combinato disposto con l’art. 27 impone un mutamento della funzione special-preventiva che, nei confronti dei minori, va letta in senso educativo e non rieducativo, poiché si tratta di un soggetto la cui personalità è in continua formazione. Bisogna alla luce delle esigenze e delle particolari necessità di un soggetto minorenne escludere che il carcere possa in qualche modo essere un luogo adatto nel quale educare un minore reo (anzi trascorrere molto tempo all’interno di un istituto penitenziario rischia di compromettere la formazione della sua personalità).
Per questi motivi, di fronte ad un minore autore di gravi reati è preferibile, se ve ne sono i requisiti, che la giustizia penale minorile intervenga attraverso l’ausilio di strumenti e istituti alternativi come, ad esempio, la messa alla prova o l’ingresso in comunità.
Informazioni
[1] Per approfondire il tema delle comunità per i minori consiglio la lettura del mio articolo dal titolo “La realtà delle comunità per i minori” http://www.dirittoconsenso.it/2020/05/22/realta-comunita-per-minori/
[2] Per approfondire il tema della messa alla prova consiglio la lettura del mio articolo dal titolo “La sospensione del processo con messa alla prova” http://www.dirittoconsenso.it/2020/04/14/sospensione-processo-messa-alla-prova/
[3] https://www.lastampa.it/esteri/2012/03/22/news/usa-tutta-la-vita-in-carcere-br-per-un-delitto-a-14-anni-1.36495023
[4] Per approfondire il tema dell’ergastolo a 360° consiglio la lettura dell’articolo di Guido Casavecchia dal titolo “L’ergastolo ostativo nella giurisprudenza CEDU” http://www.dirittoconsenso.it/2020/02/28/ergastolo-ostativo-cedu/
[5] https://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1994-05-04&atto.codiceRedazionale=094C0500
[6] Art. 98 c.p.: “E’ imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere; ma la pena è diminuita.
Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale”.
[7] http://www.lifeimprisonment.eu/media/PDF/ergastolo.pdf
[8] Art. 31 Cost.: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”
[9] Art. 27 comma 3 Cost: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
[10] https://www.diritto.it/il-principio-rieducativo-della-pena-e-il-codice-penale/

Giulia Pugliese
Ciao, sono Giulia. Sono nata a Carate Brianza nel 1995. Sono una laureanda in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca e da sempre nutro una grande passione per la procedura penale, materia in cui ho scelto di scrivere la mia tesi. Nell'ultimo anno ho iniziato ad appassionarmi alla procedura penale minorile, passione che intendo coltivare e trasformare nel mio lavoro.
Ho fatto parte di DirittoConsenso da febbraio 2020 a dicembre 2020.