I processi mediatici oltre a diventare pubbliche gogne per gli individui che li vivono, potrebbero diventare un valido mezzo per ottenere visibilità e giustizia, sensibilizzando sul tema della violenza sessuale?
Processi mediatici e reati sessuali
Per “processi mediatici” si intendono interazioni tra media e opinione pubblica quando i processi si sostituiscono a quelli reali, prendendo forma in talkshow nella quale ogni individuo dispone della libertà di parola, spesso facendo venir meno quella degli attori coinvolti. Motivo per cui si assumono toni molto accesi e orientamenti colpevolisti, volti a screditare l’immagine dell’imputato e a indagare sui possibili moventi. Oltre ai giornalisti, chi conduce le inchieste televisive relative ai casi mediatici molto spesso è un opinionista chiamato a dire la propria opinione facendo venir meno l’approfondimento del processo reale o disconoscendo gli atti processuali.
Questo fa sì che nei processi mediatici non ci sia alcun limite deontologico da rispettare nei confronti delle persone coinvolte, motivo per cui spesso anche le vittime possono essere definite colpevoli. In Italia infatti è quello che purtroppo avviene nel caso dei processi mediatici applicati ai reati sessuali[1], i quali spesso si trasformano in una gogna pubblica per la vittima. In questa sede si è infatti scelto di analizzarli al fine di sensibilizzare sull’argomento.
Violenza sessuale e consenso, i concetti
Per ciò che concerne gli atti sessuali deve ricomprendersi tra essi ogni atto coinvolgente la corporeità della persona offesa, posto in essere con la coscienza e volontà di compiere un atto invasivo della sfera sessuale di una persona non consenziente. Per quanto riguarda la violenza, invece, essa consiste non solo nell’esercizio di una violenza fisica o coazione materiale, ma anche qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che abbia come ricaduta la limitazione della libertà del soggetto passivo, il quale contro la sua volontà, subisce atti sessuali[2].
I reati che prima rientravano nelle fattispecie “violenza carnale” e “atti sessuali” vengono adesso puniti a norma dell’articolo 609 bis del codice penale come “violenza sessuale”. La peculiarità quando si parla di questi reati sta nel concetto di consenso. Il consenso deve perdurare per tutta la durata del rapporto sessuale e non solo all’inizio, integrandosi dunque il delitto in esame quando il consenso originariamente prestato venga meno a causa di un ripensamento o a causa della non condivisione delle modalità di consumazione del rapporto. Il consenso deve inoltre essere prestato validamente e coscientemente.
Tra ricostruzione dei fatti e domande impertinenti, cosa rimane della dignità?
Oltre che su un piano giuridico, la violenza sessuale è un tema delicato anche su un piano umano, in quanto spesso ancora coperto da taboo, in una società dove da sempre, anche all’interno delle aule di tribunale vengono spesso istituiti processi mediatici alla vittima piuttosto che al predatore sessuale.
Alla vittima di una violenza sessuale, infatti, puntualmente vengono chiesti particolari intimi, il tipo di abbigliamento indossato prima dell’atto sessuale, la sua attitudine, il suo tenore di vita, la sua soddisfazione, come se fossero elementi utili a comprendere se il reato commesso sia in parte causato da una determinata condotta. Oggi essere vittima di una violenza sessuale in una società misogina significa farsi colpevolizzare attraverso continue frasi come: “Se l’è cercata”, “Perché era in giro di notte?”, “Perché era ubriaca?”. Di conseguenza i casi di violenza sessuale si trasformano facilmente in processi mediatici, una macabra spettacolarizzazione che attira i più curiosi, nella quale la vittima si ritrova intrappolata in un vortice di telecamere, udienze e giudizi.
Un esempio pratico può essere constatato nel processo mediatico italiano che in questo momento sta avendo più visibilità: Il Caso Genovese.
Caso Genovese: l’ultimo esempio di processo mediatico di un caso raccapricciante
Il Caso Genovese ha rimesso in luce una dura realtà. Un mondo violento e depravato, fatto di potere e denaro, dove le donne sono considerate un oggetto sessuale da usare con disprezzo, un mezzo per esaltare la propria convinzione di dominio, di supremazia, persuasi che con la ricchezza si possa comprare tutto, persone e dignità. Compreso il consenso.
Genovese potrebbe essere collegato all’indagine bolognese “Villa Inferno”, inerente festini a base di droghe e prestazioni sessuali con soggetti minorenni.
Il caso Weinstein italiano, un uomo potente, convinto fino a poco tempo fa di poter comprare il silenzio delle sue vittime. Un mondo come questo non è un’eccezione, ma si verifica molto più spesso di quanto si voglia ammettere. Sempre più uomini che detengono ricchezza e potere che abusano di donne che non hanno gli stessi mezzi, sicuri del fatto che non verranno denunciati dalle stesse.
E questo è il risultato, una giovane modella diciottenne drogata, seviziata per più di venti ore da uno stupratore scortato da una guardia del corpo fuori la stanza per garantire che la violenza non fosse interrotta.
Rimane un corpo martoriato, venticinque giorni di prognosi e una ferita emotiva e psicologica che porterà per tutta la sua vita, rimanendo vittima di giudizi di una società che va rieducata a livello umano e giuridico, dai soliti “Come era vestita?” “Cosa ci facevi in un attico di lusso con persone del genere?”.
Il caso Genovese è il nuovo caso Weinstein, anche se non paragonabile in termini di difesa.
Infatti, se da un punto di vista da processi mediatici spesso scaturiscono meccanismi infernali per la vita della vittima, che spesso viene colpevolizzata, possiamo constatare anche casi contrari nella quale questi stessi processi possono diventare un mezzo di riscatto dalle violenze subite, nonché di sensibilizzazione sul tema. Infatti, complice la cultura comunicativa americana, nel processo Weinstein possiamo constatare una figura difensiva principale nella lotta agli abusi sessuali : l’avvocato Gloria Allred[3], che ha reso della spettacolarizzazione dei processi un valido mezzo per mettere in luce le ingiustizie, oltre ad aver sfruttato l’uso dei media per garantire che le vittime venissero capite e ascoltate anche fuori da un aula di tribunale.
L’Avvocato Gloria Allred e i processi mediatici: esempio di rivendicazione dei diritti delle donne
Quasi tutte le cause affidate a Allred hanno avuto un riscontro mondiale: nel 1994 ha difeso la famiglia di Nicole Brown Simpson, ex moglie di OJ Simpson, assassinata lo stesso anno. Nel 2017 invece, ha rappresentato Beverly Young Nelson, che ha accusato l’ex senatore dell’Alabama Roy Moore di averla aggredita sessualmente quando aveva 16 anni.
Durante la sua carriera si è occupata di casi di revenge porn, si è schierata contro club privati che cercavano di escludere donne e negli ultimi anni ha difeso diverse donne nei casi Bill Cosby e appunto il recente caso Harvey Weinstein unendosi al #MeToo e dando il suo essenziale contributo.
L’avvocato Allred si definisce “un’avvocata femminista” e ha fatto del suo lavoro una forma di ribellione:
“Per me, è sempre una questione personale quando una donna è vittima di ingiustizie e violenze”, racconta in un’intervista. “Il mio impegno verso questa causa deriva dalla mia esperienza”. Gloria Allred infatti ha vissuto sulla sua pelle il significato di una violenza sessuale ma da quell’esperienza ha deciso di uscirne vincitrice dando un valido contributo a tutte quelle donne che pensano di non poter aver voce davanti a circostanze del genere. Sacrificio, coraggio e anche un po’ di egocentrismo sono state le sue doti principali, quelle che le hanno fatto ottenere il successo che merita, rendendola una fuoriclasse unica nel suo campo.
Gloria Allred ama le telecamere e si trova sempre a suo agio di fronte allo schermo, trasformando una trappola per le sue assistite come uno strumento per dargli voce e sensibilizzare, usando ogni suo mezzo utile per raccontare i fatti di violenza, scegliendo fermamente la via dei processi mediaticu per ottenere una vittoria atta a diventare un simbolo per tutte quelle vittime che hanno paura di denunciare a causa della visibilità negativa che spesso viene ottenuta da casi del genere. Nelle conferenze stampa, con piglio da vera combattente, si scaglia senza esitazione contro gli uomini più potenti (Trump compreso) mettendo a nudo i risvolti tossici del loro maschilismo e l’ingiustizia del sistema che ancora li favorisce.
Quando la violenza sessuale diventa un caso mediatico: la visibilità diventa uno strumento di sensibilizzazione o di condanna verso la vittima?
La spettacolarizzazione dei processi da parte dei media prevede regole diverse da quelle canoniche del processo penale, con una tendenza “commerciale” a far prevalere i risultati dell’audience e del voyerismo sulla tutela costituzionale dell’equo processo e della presunzione di non colpevolezza. Motivo per cui a volte questo può avere aspetti negativi se non sfruttati a proprio vantaggio.
Concentriamoci però sui processi mediatici inerenti i reati sessuali che hanno portato ad un’evoluzione in termini giuridici e sociali.
In Italia, per esempio, nel 1978 possiamo constatare un processo mediatico che ha riscritto la storia: protagonista un caso con imputati quattro uomini, accusati per lo stupro di Fiorella, una ragazza diciottenne. “Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente”, così esortò l’avvocato di uno degli uomini accusati.
L’Avv. Tina Lagostena Bassi[4] rispose con la sua storica arringa che è stata un vero e proprio grido di giustizia in una società ancora patriarcale e maschilista. Non utilizzò mezzi termini e raccontava senza censura le azioni dei carnefici, con un modo di fare unico che ha rivoluzionato i processi in tribunale relativi agli abusi sessuali, trasformando il processo mediatico in un mezzo di rivoluzione culturale piuttosto che in una gogna mediatica per la vittima di abusi.
Mi sento quindi in dovere verso tutte le donne di allegare parte della sua storica arringa:
“Sono qui prima di tutto come donna e poi come Avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. Che cosa intendiamo quando chiediamo giustizia, come donne? Noi chiediamo che anche nelle aule dei tribunali, si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese, si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto […] Mi scusino i colleghi, mi auguro di riuscire ad avere la forza di sentirli e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi Avvocati – e qui parlo come Avvocato – si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina così come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli Avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali sicuri da difendere, ebbene, nessun Avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori “Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere un po’ è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse! Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. […] Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna, la vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale […] secondo me è umiliare una donna venire qui a dire “non è una p******”. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole e senza bisogno di difensori. E io non sono il difensore, io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza, ed è una cosa diversa.”
Una nuova generazione di giuristi utile per continuare a lottare contro le violenze e per la parità
Tina Lagostena Bassi e Gloria Allred, seppur operanti in modelli giuridici differenti, sono solo due dei grandi personaggi degni di citazioni in libri di storia, ma soprattutto degni di essere presi come esempio di lotta, motivando le generazioni di futuri giuristi e giuriste alla perseveranza della difesa delle donne vittime di molestie. Si sono occupate di cause contro le discriminazioni e le violenze di genere, facendone una missione, battendosi con tutti i mezzi a disposizione per tutelare le donne vittime di ingiustizie, soprusi e violenze, media compresi.
Una Rivoluzione di giuristi per sensibilizzare
Oserei dire che occorrerebbe una Rivoluzione culturale, supportata da giuristi sempre più propensi alla difesa di casi come quelli descritti, capaci di utilizzare a proprio favore le opportunità che potrebbero offrire i processi mediatici, pur trattandosi di una questione dibattuta, poichè spesso, venendo meno le conoscenze degli atti processuali minano la regolarità del processo in Aula.
Serve sempre più una generazione di giuristi pronti a modernizzare il diritto processuale usando con criterio anche i potenti mezzi di comunicazione, gli stessi che possono distruggere vite se usati indebitamente, ma se usati con professionalità possono influire su una società che ancora oggi disconosce certe problematiche colpevolizzando le vittime e non mobilitandosi alla comprensione e alla non accettazione della cultura dello stupro.
Informazioni
https://www.altalex.com/documents/news/2017/05/17/violenza-sessuale
https://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2014/01/31/violenza-sessuale
“Gloria Allred: dalla parte delle vittime”, Documentario Netflix di Sophie Sartain e Roberta Grossman
“Fight Back and Win: My Thirty-Year Fight Against Injustice–And How You Can Win Your Own Battles” di Gloria Allred, Regan Books, anno 2006; Reprint edizione (13 maggio 2008)
[1] I reati sessuali, prima annoverati tra i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, furono riconosciuti con la legge n. 66 del 15 febbraio 1996 (Norme contro la violenza sessuale) inseriti nel Titolo XII del Codice Penale, “Delitti contro la persona”.
[2] Il riferimento è all’articolo 609 bis del Codice Penale, che stabilisce: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.”
[3] L’Avvocato Allred ha fatto della notorietà la peculiarità dei suoi casi, da oltre quarant’anni, quando fondò la Allred, Maroko & Goldberg, prima di diventare l’attorney d’America, l’avvocato cioè che i colleghi hanno votato fra i migliori del Paese e che il settimanale Time ha definito fra «le più efficaci in tema di diritto di famiglia e cause femministe»
[4] La prima avvocatessa al mondo ad utilizzare la parola “stupro” durante un processo, portavoce italiana dei diritti e delle rivendicazioni nelle donne, in particolare negli anni ‘70, tra le Fondatrici del Telefono Rosa e Presidente della Commissione per le Pari opportunità dal 1994 al 1995

Fiorella Galletta
Ciao, sono Fiorella. Nata a Palermo, classe '98, sono vicepresidente di un'associazione, lavoro in amministrazione presso un organismo di mediazione e studio Giurisprudenza presso l'Università Sapienza di Roma. Mi definisco una femminista, con la passione per il diritto, i dibattiti, la scrittura e la politica. Articolista per vari network, mi contraddistingue lo spirito critico e il cimentarmi in tematiche poco trattate, come il diritto del web e i reati sessuali. Mi affascina anche il diritto e la lingua francese, motivo per cui ho svolto un percorso d'eccellenza che mi ha portato a conseguire il Baccalauréat. Il mio motto è: o la va o la spacca.
Ho fatto parte di DirittoConsenso da aprile 2020 a novembre 2020.