La necessità di recepire la Direttiva 2017/1371 UE (c.d. direttiva P.I.F.), ha fornito al legislatore l’occasione per intervenire con una riforma dei reati tributari, ad appena cinque anni dalle ultime modifiche, ad opera del D.Lgs. n. 158/2015
Introduzione alla riforma dei reati tributari
La Direttiva P.I.F., approvata il 5 Luglio 2017, è intervenuta nel settore dei c.d. white collar crimes[1], imponendo degli obblighi di penalizzazione rispetto a condotte lesive degli interessi finanziari dell’Unione Europea[2]. La scelta è stata quella di incidere sulle discipline penalistiche degli Stati Membri attraverso un’azione armonizzatrice[3], che, tuttavia, rimane condizionata al recepimento da parte dei singoli ordinamenti interni[4].
La necessità di recepire la direttiva P.I.F. all’interno dell’ordinamento, ha costituito il viatico del legislatore, per intervenire sulla disciplina dei reati tributari, con un rinnovato “furore carcerocentrico”[5], ad appena 5 anni dall’ultima riforma.
La riforma dei reati tributari
Come anticipato, la necessità di adeguare l’ordinamento interno ai principi enucleati nella direttiva P.I.F. ha fornito l’occasione per operare l’ennesimo rimaneggiamento nel settore dei reati tributari. Il legislatore è intervenuto, dapprima con l’art. 3 della legge di delegazione europea 2018[6], poi con l’art. 39 del D.L. 26.10.2019, n. 124[7] – c.d. decreto fiscale –, convertito in L. 19.12.2019, n. 157 e, infine, con il D.Lgs. n. 75/2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15.07.2020.
In generale, può affermarsi che la riforma[8] si contraddistingue per cinque aspetti qualificanti[9].
In primo luogo, sono stati inaspriti i trattamenti sanzionatori previsti per quasi tutti i reati contemplati nel D.Lgs. n. 74/2000[10], in radicale controtendenza rispetto alla precedente riforma del 2015[11]. Le fattispecie previste agli artt. 2 e 8 sono state sdoppiate ed è stata introdotta una circostanza attenuante[12] al comma 2 bis dell’art. 2. Inoltre, è stata estesa l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 13, co. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 alle fattispecie criminose previste dagli artt. 2 e 3 del citato decreto. Per quanto riguarda la responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato, il legislatore ha incluso i reati tributari nell’elenco dei reati-presupposto previsti dall’art. 25 quinquiesdecies del D.Lgs. n. 231/2001[13]. In tal modo, si è rimediato ad una discrasia evidenziata a più riprese anche dalla giurisprudenza di legittimità[14]. Infine, con l’introduzione dell’art. 12 ter nel D.Lgs. n. 74/2000, si è legittimato l’utilizzo, anche nel settore penal-tributario, della c.d. confisca allargata nei confronti di tutti i condannati o patteggianti per i reati inseriti nel D.Lgs. n. 74/2000, fatta eccezione per le fattispecie previste agli artt. 10 bis e 10 ter.
Per esigenze di speditezza espositiva, non è possibile analizzare ciascuna modifica. Tuttavia, vale la pena soffermarsi sugli inasprimenti sanzionatori, in particolare, sulle conseguenze derivanti da tale scelta di politica criminale.
Gli inasprimenti sanzionatori: conseguenze
Come accennato in precedenza, in aperta contraddizione con la riforma del 2015[15], il legislatore con l’art. 39 del decreto fiscale fa una precisa scelta di campo, in direzione di un generale inasprimento della disciplina sanzionatoria prevista per la commissione di illeciti tributari. Questo nuovo indirizzo – che, invero, sembra più un ritorno al passato – è stato criticato in dottrina. In effetti, non si può far a meno di evidenziare come l’innalzamento delle cornici edittali appaia disancorato dall’offensività delle fattispecie delittuose considerate, rappresentando un preludio al ricorso a pene detentive esemplari per il condannato[16].
È chiaro come, in tal modo, verrebbero del tutto frustrate le ragioni sottese alla finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, co. 2 cost.[17]. Peraltro, dev’essere considerato come non sia dato di rinvenire un’esigenza criminologica concreta alla base di questo intervento di modifica legislativa, neanche nei documenti che hanno accompagnato il dibattito parlamentare sul testo di legge[18].
Inoltre, va sottolineato come le cornici edittali delle fattispecie incriminatrici abbiano un’incidenza, non solo riguardo alla risposta sanzionatoria irrogabile in concreto al condannato, ma anche sull’applicazione degli istituti processuali, la cui operatività dipende dalle pene previste in astratto dalle diverse disposizioni incriminatrici[19]. Così, a titolo di esempio, si consideri che l’art. 266, co. 1, lett. a) c.p.p. consente l’intercettazione di comunicazioni telefoniche, per i procedimenti relativi a delitti non colposi, per i quali è prevista la pena della reclusione nel massimo superiore a cinque anni.
Alla luce della recente riforma, durante la fase delle indagini, per i delitti di cui agli artt. 2, 3, 8 e 10 D. Lgs. n. 74/2000 sarà consentito (almeno in astratto) l’utilizzo di questo particolare strumento di indagine. Allo stesso modo, nell’ambito dei limiti fissati dall’art. 266, co. 2 c.p.p., sarà consentito il ricorso al captatore informatico. Ugualmente, si potrà far ricorso alle misure cautelari di natura coercitiva in un maggior numero di ipotesi, posto che sono applicabili agli indagati/imputati per delitti puniti con la reclusione nel massimo superiore a tre anni[20]. A tal riguardo, ad esempio, si consideri che saranno applicabili misure coercitive ai sensi dell’art. 280, co. 1 c.p.p. agli indagati/imputati del delitto di dichiarazione infedele[21], visto che la riforma ha portato la pena massima a 4 anni e 6 mesi di reclusione[22].
.. (segue) L’estensione della causa di non punibilità da ravvedimento operoso e il patteggiamento ex art. 444 c.p.p.
Tuttavia, non solo i massimi, ma anche l’innalzamento dei minimi edittali ha un’incidenza di non poco momento sulla durezza della sanzione, posto che potrebbe ostare all’accesso a riti alternativi per la definizione del procedimento penale e all’applicazione di misure alternative al carcere[23].
A tal riguardo, è paradigmatico il caso del patteggiamento ex art. 444 c.p.p.. In effetti, alla luce degli innalzamenti dei minimi edittali, in concreto, sarà difficile per l’imputato accedere al patteggiamento ordinario a due anni per i reati in materia di dichiarazione, per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e per l’occultamento o la distruzione di scritture contabili. Vero è, che è sempre possibile ricorrere al patteggiamento allargato, tuttavia, sono indubbiamente minori i vantaggi dal punto di vista difensivo[24], sol che si consideri che l’entità minima della pena, 2 anni e 1 giorno di reclusione, impedisce l’applicazione dell’istituto della sospensione condizionale. Infine, va evidenziata un’ulteriore problematica che si porrà a seguito dell’estensione alle fattispecie previste dagli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 74/2000, della causa di non punibilità ex art. 13, co. 2 del medesimo decreto. Quest’ultima norma prevede la non punibilità del soggetto che provveda all’integrale pagamento del debito tributario, comprese sanzioni e interessi, prima di aver avuto conoscenza del procedimento penale e/o amministrativo nei suoi confronti. L’estinzione del debito tributario configura una condizione per poter accedere al patteggiamento. La contraddizione è evidente. Il ravvedimento operoso non può essere al contempo causa di non punibilità e condizione di accesso ad un rito alternativo.
In tal senso, si è espresso anche l’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione[25], sicché dovrebbe estendersi ai reati previsti dagli artt. 2 e 3, la tesi accolta in giurisprudenza per le fattispecie previste agli artt. 4, 5, 10 bis, 10 ter e 10 quater. Per utilizzare le parole della Suprema Corte:
“[..] o l’imputato provvede, entro l’apertura del dibattimento, al pagamento del debito a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, sempre che il ravvedimento e la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 4, 5, 10 bis, 10 ter, 10 quater, [a seguito della riforma anche i reati ex artt. 2 e 3] ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo impregiudicato il potere di chiedere l’applicazione della pena per i medesimi reati”[26].
Conclusioni
Alla luce delle criticità esposte, viene da chiedersi se fosse effettivamente necessario intervenire in materia con un decreto legge, attesa la lapalissiana insussistenza delle ragioni di necessità e di urgenza richieste dall’art. 77 Cost.. Forse sarebbe stato più opportuno intervenire attraverso una riforma meditata, frutto di un accorto dibattito parlamentare, e maggiormente in linea con l’idea di un diritto penale riscossivo, più funzionale alla tutela delle ragioni dell’Erario.
Informazioni
BASILE, Brevi note sulla nuova direttiva PIF. Luci e ombre del processo di integrazione UE in materia penale, in Diritto penale contemporaneo 2017, n. 12.
DELL’OSSO, Corsi e ricorsi nel diritto penal-tributario: spunti (critici) sul c.d. decreto fiscale, in Diritto penale e processo, 2020, n. 3.
FIMIANI, La riforma dei reati tributari nella L. n. 157/2019, in Foro Italiano 2020, n. 4.
INGRASSIA, Il bastone (di cartapesta) e la carota (avvelenata): iniezioni di irrazionalità nel sistema penale tributario, in Diritto penale e processo 2020, n. 3.
LA VATTIATA, La nuova direttiva PIF. Riflessioni in tema di responsabilità da reato degli enti giuridici, gruppi societari e reati tributari, in Giurisprudenza Penale WEB 2019, n. 9.
PARISI, Chiari e scuri nella direttiva relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, in Giurisprudenza Penale WEB 2017, n. 9.
SANTORIELLO, I reati tributari, www.ilpenalista.it, bussola 25.05.2020.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE – UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO, Relazione 3/20, La legge 19 dicembre 2019, n. 157 di conversione del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, «disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili»: profili penalistici.
VARRASO, Decreto fiscale e riforma dei reati tributari. Le implicazioni processuali, in Diritto penale e processo, 2020, n. 3.
VIGANÒ, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in materia di IVA? Primato del diritto UE e nullum crimine sine lege in una importante sentenza della Corte di Giustizia, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 14.9.2015.
[1] LA VATTIATA, La nuova direttiva PIF. Riflessioni in tema di responsabilità da reato degli enti giuridici, gruppi societari e reati tributari, in Giurisprudenza Penale WEB 2019, n. 9.
[2] La Direttiva P.I.F. ha sostituito la Convenzione del 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee, implementando il livello di armonizzazione delle legislazioni nazionali dei singoli Stati Membri e rafforzando la protezione del sistema di riscossione IVA.
[3] La base giuridica dell’azione dell’U.E. è stata individuata nell’art. 83, §2 T.F.U.E., mentre l’iniziale proposta della Commissione la individuava nell’art. 325 T.F.U.E.. In ciò era confortata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che nel noto caso Taricco (CGUE, 8.9.2015, causa C-105/14, Taricco I) aveva individuato nell’art. 325 TFUE il fondamento dell’azione dell’Unione Europea e degli Stati Membri in materia di contrasto alle frodi, che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, attraverso il diritto penale. Nello stesso senso si era espresso l’Avvocato Generale, Yves Bon, nelle sue conclusioni nel procedimento pregiudiziale sollevato dalla Corte Costituzionale italiana, con ordinanza del 26.1.2017, n. 24.
[4] Più diffusamente, sul punto si veda: LA VATTIATA, op. cit.. Nello stesso senso: PARISI, Chiari e scuri nella direttiva relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell‘Unione, in Giurisprudenza Penale WEB 2017, n. 9; BASILE, Brevi note sulla nuova direttiva PIF. Luci e ombre del processo di integrazione UE in materia penale, in Diritto penale contemporaneo 2017, n. 12, p. 65.
[5] INGRASSIA, Il bastone (di cartapesta) e la carota (avvelenata): iniezioni di irrazionalità nel sistema penale tributario, in Diritto penale e processo 2020, n. 3, p. 308.
[6] L. 4.10.2018, n. 117
[7] In generale sull’utilizzo del decreto legge come strumento emergenziale, si veda: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/16/il-decreto-legge-come-strumento-emergenziale/.
[8] Icasticamente denominata “manette agli evasori”. Evidente il richiamo alla L. n. 516/1982, avente la stessa denominazione, che puniva condotte prodromiche all’evasione, inaspriva le sanzioni allora vigenti ed eliminava la pregiudiziale tributaria.
[9] FIMIANI, La riforma dei reati tributari nella L. n. 157/2019, in Foro Italiano 2020, n. 4, pp. 158 e ss.
[10] In effetti, fanno eccezione a tale inasprimento gli artt. 10 quater e 11 D.Lgs. n. 74/2000.
[11] A proposito del D.Lgs. n. 158/2015, ex multis, si veda: CARACCIOLI, I nuovi reati tributari. Commento al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, Milano 2016; SEVERINO, La riforma dei reati tributari: un’occasione perduta?, in Archivio Penale 2016, n. 3.
[12] Così Cass. – Ufficio del Massimario, Relazione 3/20, La legge 19 dicembre 2019, n. 157 di conversione del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, «disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili»: profili penalistici, di seguito anche “Relazione 3/2020”. Nello stesso senso anche INGRASSIA, op. cit., p. 308-309.
[13] Sul punto, più approfonditamente, si veda: http://www.dirittoconsenso.it/2020/03/13/ingresso-reati-tributari-dlgs-231-2001/
[14] Cass. S.U. n. 10561/2014.
[15] Sul punto senza pretesa di esaustività, si ricorda che con il D.Lgs. n. 158/2015 il legislatore ha innalzato le soglie di punibilità dei delitti in materia tributaria e ha fornito degli incentivi al contribuente resipiscente. Inoltre, vi è stata una chiara presa di posizione circa l’irrilevanza penale delle rivalutazioni su base normativa di componenti di reddito effettive. Per una trattazione più diffusa si veda: INGRASSIA, Ragione fiscale vs “illecito penale personale”, Santarcangelo di Romagna, 2016.
[16] VARRASO, Decreto fiscale e riforma dei reati tributari. Le implicazioni processuali, in Diritto penale e processo, 2020, n. 3, p. 332.
[17] Idem.
[18] DELL’OSSO, Corsi e ricorsi nel diritto penal-tributario: spunti (critici) sul c.d. decreto fiscale, in Diritto penale e processo, 2020, n. 3, p. 320. Lo stesso autore dubita della correttezza del processo di produzione normativa della riforma, atteso che “può apparire, [..], velleitario immaginare che possa esservi stato un attento dialogo politico – per intendersi: quello che i nostri principi costituzionali impongono in materia penale – rispetto a una previsione isolata (le disposizioni penalistiche sono contenute in un unico articolo), annegata tra più di una sessantina di norme che si occupano d’altro (dalle indennità dei sindaci dei piccoli comuni, all’Alitalia, e così via), nell’ambito di un testo venuto alla luce come decreto legge (peraltro, dall’entrata in vigore posticipata al momento della conversione, con buona pace dei casi straordinari di necessità e urgenza di cui all’art. 77 Cost.) e convertito in limine solo previa apposizione della questione di fiducia da parte del governo. Una sorta di antologia delle tecniche normative meno consone alla produzione del diritto penale, che certo non poteva dar vita a un serio confronto critico sui contenuti della riforma”. Nello stesso senso: INGRASSIA, op. cit., p. 313.
[19] VARRASO, op. cit., p. 333.
[20] Per quanto riguarda la custodia cautelare in carcere, invece, questa sarà applicabile nei confronti degli indagati/imputati per i delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a cinque anni.
[21] Art. 4 D.Lgs. n. 74/2000. Prima della riforma la pena prevista era della reclusione da 1 a 3 anni. Attualmente va dai 2 anni ai 4 anni e 6 mesi.
[22] Il che comporta anche l’esclusione della citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 550 c.p.p.. A tal proposito si veda FIMIANI, op. cit., p. 160; VARRASO, op. cit., p. 333.
[23] DELL’OSSO, op. cit.. In particolare, l’autore evidenzia come: “Elevati minimi edittali ostacolano, poi, una definizione dei procedimenti con l’applicazione di una pena contenuta su richiesta delle parti e, cioè, della soluzione di fatto maggiormente caldeggiata dalla riforma del 2015 nella prospettiva di favorire l’estinzione del debito erariale come viatico, appunto, per una chiusura soft del procedimento penale. E si trattava di una scelta quanto mai saggia perché fondata su un dato di realtà: il contribuente disposto a pagare quanto dovuto tende a non incarnare il prototipo dello spregiudicato evasore fiscale o del protagonista di una frode fiscale bensì, più facilmente, dell’imprenditore che opera sostanzialmente nella legalità ed è disposto ad assumersi le proprie responsabilità a fronte di una sanzione mite. Ed è facile presagire che tanto per questa misura quanto per la spada di Damocle della confisca allargata [..] il numero dei patteggiamenti per reati fiscali calerà, aumentando i processi e diminuendo le “spontanee” adesioni alle pretese erariali in fase d’indagini preliminari. Risulta, di contro, ben più arduo immaginare che sarà un tale scintillio d’armi a determinare l’auspicato calo della criminalità fiscale: per produrre tale effetto, oltre che sul piano etico e di educazione alla percezione del disvalore dell’evasione fiscale (promuovendo, così, una maggior adesione “per scelta personale” al precetto), occorrerebbe intervenire, come già sosteneva un grande studioso del diritto penale parecchi anni fa, sulla fase dell’accertamento (diminuendo l’attesa d’impunità dei piccoli e medi evasori) e, dunque, sulla concreta irrogazione di una pena e non su quella della durezza delle sanzioni”.
[24] VARRASO, op. cit., p. 334.
[25] Relazione 3/2020, pp. 20-21. Nello stesso senso anche: VARRASO, op. cit., p. 334 e ss..
[26] Cass., sez. III, 22.10.2018, n. 48029, Vitali.

Giulia Annunzi
Ciao, sono Giulia. Mi sono laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Bologna nel Marzo 2018, con una tesi riguardante il regolamento UE n. 2015/848 sulle Insolvenze Transfrontaliere. Dopo aver svolto la pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna e il tirocinio ex art. 73, presso la Procura della Repubblica di Bologna, attualmente sono assegnataria di una borsa di ricerca presso la Corte di Appello di Bologna, riguardante l'organizzazione dei procedimenti penali di particolare complessità, quale ad esempio "Aemilia".
Ho fatto parte di DirittoConsenso da giugno 2019 a marzo 2021.