La seguente trattazione si pone l’obiettivo di definire una pratica particolarmente controversa, presente nel panorama giuridico-culturale da anni: la pena di morte

 

Un quadro generale della pena di morte

La pena di morte, definita anche pena capitale, è una sanzione penale la cui esecuzione consiste nel privare il condannato della stessa vita. Si tratta di una punizione estrema ed alquanto risalente, inflitta in seguito al compimento di un crimine molto grave. In origine, veniva spesso utilizzata per punire assassini, eretici, traditori del Re; ma con il passare del tempo la brutalità di tale pena è stata contrastata da numerose associazioni, come Amnesty International che si è fortemente schierata contro questa pratica, in qualunque forma venisse esercitata.

Malgrado ciò, la pena capitale oggi è utilizzata ancora in circa 80 Paesi ed il dibattito inerente pro e contro è ancora aperto ed acceso.

 

La pena di morte in Italia

Per trattare questa tematica, è necessario ripercorrere i principali momenti storici della sua evoluzione.

In Italia la pena di morte è rimasta in vigore fino al 1889, anno in cui venne abolita in tutto il Regno d’Italia con l’approvazione, quasi all’unanimità di entrambe le Camere, del nuovo Codice penale, conosciuto anche come Codice Zanardelli. Tale pena, però, restò ancora in vigore nel Codice Penale Militare, venendo effettivamente applicata durante la Prima Guerra Mondiale per fatti di diserzione e comportamenti definiti disonorevoli. Infatti, nel 1926 la pena capitale venne reintrodotta con una legge da Mussolini per punire coloro che avessero attentato alla vita, alla libertà della famiglia reale o del Capo del Governo, e per altri reati commessi contro lo Stato. Soltanto dopo la caduta del fascismo, venne abolita per tutti i reati previsti dal Codice penale del 1930, ma fu mantenuta per i reati di collaborazione con i nazisti e fascisti, nonché inflitta dai tribunali militari degli alleati della Seconda guerra mondiale.

Soltanto con l’avvento della Costituzione, la pena di morte venne definitivamente abolita per tutti i reati comuni e militari compiuti in tempo di pace e con la promulgazione della legge n. 589 del 1994 fu sostituita nel Codice Penale Militare di Guerra con la massima pena prevista dal Codice penale, ossia l’ergastolo.

L’Italia ha poi ratificato il protocollo n. 13 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, inerente all’abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza. Ed infine, la legge costituzionale n.1 del 2007, modificando l’articolo 27 della Costituzione, ha eliminato le disposizioni in materia ancora presenti, sancendone in modo definitivo la non applicabilità.

 

La pena di morte: profili europei ed internazionalistici

Punto di riferimento per il profilo internazionalistico è di sicuro il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, Si tratta di un trattato delle Nazioni Unite nato in seguito alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo del 1976. Il trattato concede la facoltà agli Stati firmatari di aggiungere una riserva riguardante l’uso della pena capitale per gravi reati di natura militare commessi in tempo di guerra; quindi, bisogna precisare che l’articolo 6 non vieta esplicitamente tale condanna, piuttosto la sottopone ad importanti limitazioni ed afferma che “una sentenza capitale può essere pronunciata soltanto per i delitti più gravi, in conformità alle leggi vigenti al momento in cui il delitto fu commesso” e “può essere eseguita soltanto in virtù di una sentenza definitiva, resa da un tribunale competente”. Inoltre, “ogni condannato a morte ha il diritto di chiedere la grazia o la commutazione della pena” e “una sentenza capitale non può essere pronunciata per delitti commessi dai minori di 18 anni e non può essere eseguita nei confronti di donne incinte”. Attualmente il Patto è stato ratificato da 168 Stati, ed oggi, dopo quarant’anni dalla sua entrata in vigore, viene considerato vincolante per tutti gli Stati in virtù del diritto internazionale consuetudinario. Sembrerebbe, quindi, infondata ogni pretesa di non applicazione delle sue norme.

Per la nostra trattazione, di fondamentale importanza è il secondo protocollo facoltativo, in quanto abolisce la pena di morte. Gli articoli 1 e 2 stabiliscono che “Nessuna persona soggetta alla giurisdizione di uno Stato Parte al presente Protocollo sarà giustiziata” e che “Ciascuno Stato Parte adotterà tutti i provvedimenti necessari per abolire la pena di morte nell’ambito della sua giurisdizione”. Il Protocollo non ammette nessuna riserva, dunque è bene ricordare che nemmeno i delitti di gravità estrema quali genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono punibili con la morte dai Tribunali Penali Internazionali istituiti dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

 

L’impegno dell’UE contro la pena di morte

La lotta, sia giuridica che culturale, per l’abolizione definitiva della pena capitale è stata ardua e lunga, ma ad oggi sembra essere un principio largamente condiviso. Ulteriore protagonista di questo percorso è stata l’Unione Europea, infatti come accennato precedentemente, la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ha introdotto a livello globale il divieto di applicazione della pena capitale, sottolineando implicitamente il diritto alla vita di ogni soggetto. Vediamo ad esempio come l’Europa si impegni attivamente nella lotta contro la pena di morte, di fatti sono molteplici le iniziative prese a livello comunitario per disincentivare sempre di più l’utilizzo di questa pratica. Nella Risoluzione n. 2869 del 2015 il Parlamento ha espressamente condannato l’uso della pena di morte come strumento di soppressione di libertà civili e personali, come strumento di lotta al traffico di stupefacenti, ed inoltre si propone di interagire con i Paesi che ancora la ritengono utile. L’azione promossa dall’Unione Europea parte dal rispetto degli articoli della CEDU, ma prende in considerazione anche accordi internazionali come la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura[1], ed altre pratiche disumane e degradanti. È importante mettere in evidenza come l’Unione Europea non si sia impegnata solo a sopprimere la pena di morte all’interno del proprio territorio, bensì ha svolto e continua a svolgere un’intensa azione a livello internazionale in favore di una generale restrizione del suo utilizzo.

Come messo in risalto dal documento “The death penalty and the EU’S fight against it”, l’Unione si è impegnata seguendo le linee guida istituite dal hoc nel 1998 dalla Commissione Europea in processi e dialoghi con altri enti e Nazioni per favorire l’utilizzo di misure carcerarie alternative, incoraggiando l’adesione alle normative internazionali inerenti alla tematica.

 

Spunti di riflessione

Se i sistemi occidentali, ma non solo, hanno instaurato regimi giuridici che escludessero la pena di morte, è evidente che sia necessaria anche una riforma culturale e sociale che modifichi la forma mentis comune riguardo il più generale concetto di pena. Dal punto di vista giuridico e legislativo sono stati fatti numerosi tentativi per raggiungere una soluzione unitaria, ma il problema si propone ancora da un punto di vista sociologico e psicologico. Bisognerebbe condividere, a livello globale, che la funzione della pena sia in primis rieducativa, ma anche general-preventiva: la pena, quindi, non va intesa come un mezzo afflittivo nei confronti del reo, bensì ha l’obiettivo di distogliere la generalità dei cittadini dal compimento di ulteriori fatti illeciti, ed inoltre svolge una funzione di risocializzazione nei confronti del reo che ha già scontato la sua pena.

Quest’assunto è l’esatta dimostrazione di come la pena di morte sia esclusivamente orientata alla tortura e ad infliggere la morte nei confronti del soggetto colpevole, di conseguenza non persegue la funzione sociale ed educativa della pena che abbiamo menzionato precedentemente. Di conseguenza, sarebbe opportuno virare sull’applicazione di misure alternative.

Siccome questa pratica non è stata ancora scongiurata in tutto il mondo, per giungere a questo risultato, sarebbe necessario investire tempo ed impegno da parte dei legislatori nazionali, di enti ed associazioni, ma anche risorse economiche, considerando la condizione nella quale riversano molti dei Paesi in questione. Si auspica, infine, che anche l’opinione pubblica, seppur giustamente allarmata da eventi emergenziali ed episodi di criminalità particolarmente gravi, possa essere messa nelle condizioni di inquadrare correttamente il problema e di comprendere come una pena rieducativa non sia necessariamente una pena della portata della pena capitale.

Informazioni

Fiandaca-Musco, 2017, Diritto Penale. Parte generale, Zanichelli Editore

Oriolo, 2008, La responsabilità penale internazionale degli individui: tra sovranità statale e giursidizione universale, Esi, Napoli

La funzione reducativa della pena https://www.altalex.com/documents/news/2017/09/19/essay-competition-elsa-teramo-2017

[1] Per approfondimento sul tema della tortura si consiglia la lettura del seguente articolo di B. Sapone: http://www.dirittoconsenso.it/2018/10/24/il-reato-di-tortura/