L’istituto della riparazione per ingiusta detenzione come rimedio avverso l’indebita applicazione di alcune tipologie di misure cautelari
Natura dell’istituto e inquadramento normativo
La riparazione per ingiusta detenzione costituisce il rimedio successivo avverso la indebita applicazione di misure cautelari. Questo istituto si inserisce nel genus dell’errore giudiziario, disciplinato agli artt. 643 – 647 c.p.p.
Tuttavia, è necessario precisare e distinguere i casi di riparazione per ingiusta detenzione da quelli di riparazione derivante da errore giudiziario. Nel primo caso si fa riferimento alla detenzione subita in via preventiva prima dello svolgimento del processo e quindi prima dell’eventuale condanna, mentre nel secondo si presuppone una condanna a cui sia stata data esecuzione sulla quale si inserisce un successivo giudizio di revisione (quindi a seguito di una sentenza irrevocabile di condanna) in base a nuove prove o alla dimostrazione che la condanna è stata pronunciata in conseguenza della falsità in atti[1].
La riparazione per ingiusta detenzione trova il proprio riconoscimento costituzionale nell’art. 24 c. 4, nella quale si fa riferimento agli errori giudiziari in senso lato, mentre a livello sovranazionale deve essere menzionato l’art. 5 comma 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritto dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), il quale riconosce e tutela il diritto alla libertà e alla sicurezza e afferma che ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione a una delle disposizione dell’art. 5 “ha diritto ad una riparazione”. Nel nostro codice di procedura penale è dedicato invece un apposito capo[2]. Più precisamente l’articolo 314, rubricato “presupposti e modalità della decisione” e l’articolo 315 intitolato “procedimento per la riparazione”[3].
A completamento dell’inquadramento normativo giuridico, si rileva che anche le norme di attuazione del codice di procedura penale si occupano dell’istituto. Si tratta degli artt. 102[4], dedicato alle modalità di presentazione della domanda e 102 bis[5] il quale affronta invece l’aspetto della reintegrazione nel posto di lavoro perso a seguito dell’applicazione della misura cautelare.
L’istituto della riparazione per ingiusta detenzione non copre ogni indebita restrizione della libertà personale, bensì solo quella inerente alla custodia cautelare; rileveranno, quindi, la custodia in carcere, quella in luogo di cura, gli arresti domiciliari (stante la loro equiparazione alla custodia cautelare); rilevano, infine, per espressa previsione normativa (art. 313, comma 3) anche le misure di sicurezza illegittimamente disposte in via provvisoria. Non è, invece, previsto alcun indennizzo nel caso di misure coercitive non custodiali o di misure interdittive[6]. Ai sensi dell’art. 722 bis c.p.p.[7], anche la custodia cautelare all’estero in conseguenza di domanda di estradizione presentata dallo Stato è computata ai fini della riparazione per ingiusta detenzione nei casi indicati dall’art. 314 c.p.p.
Pertanto, con il procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, l’interessato, titolare di un vero e proprio diritto soggettivo, è posto nella condizione di ottenere un effetto giuridico a proprio vantaggio e a carico della pubblica amministrazione, consistente nel pagamento di una somma di denaro a favore dell’istante.
Dati e statistiche
Prima di procedere all’analisi giuridica dell’istituto, un interessante studio della associazione “errorigiudiziari”[8], consente di farsi un’idea dell’ammontare degli errori giudiziari in Italia – da intendersi come ingiusta detenzione ed errore giudiziario in senso stretto[9] – e quante invece le persone vittima di ingiusta detenzione.
Orbene, dal 1991 al 31 dicembre 2019 i casi totali sono stati 28.893; per quanto riguarda invece i casi di ingiusta detenzione, dal 1991 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione nei registri conservati presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 31 dicembre 2019, si sono registrati 28.702 casi: in media, 1025 innocenti in custodia cautelare ogni anno.
Nel solo anno 2019 i casi di ingiusta detenzione sono stati 1000, per una spesa complessiva in indennizzi di cui è stata disposta la liquidazione pari a 44.894.510,30 euro. Rispetto all’anno precedente, sono in aumento il numero di casi (+105) e soprattutto l’ammontare della spesa complessiva (+33%)[10].
Disciplina
Passando ora all’analisi dell’istituto, l’art. 314 c.p.p. individua due diverse fasce di ipotesi nelle quali si delineano i presupposti per il riconoscimento di una situazione di ingiustizia rilevante ai fini della riparazione.
Al comma 1 – ipotesi cosiddette sostanziali – si riconosce il diritto al soggetto che è stato assolto con sentenza divenuta irrevocabile con le seguenti formule:
- perché il fatto non sussiste;
- per non aver commesso il fatto;
- perché il fatto non costituisce reato;
- perché il fatto non è previsto come reato.
Lo stesso diritto, ai sensi del comma 3, è riconosciuto a favore dei soggetti nei cui confronti sia stato pronunciato:
- provvedimento di archiviazione (nelle formule di cui agli articoli 408, 409, 411);
- sentenza di non luogo a procedere (ai sensi dell’art. 425 c.p.p.).
Al comma 2, è invece riportata la categoria delle ipotesi cosiddette formali, nelle quali – indipendentemente dalla condanna o dal proscioglimento dell’imputato – si accerti con decisione irrevocabile che il provvedimento che ha disposto la misura cautelare è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 e cioè:
- l’assenza di gravi indizi di colpevolezza all’epoca dell’applicazione o della conferma della misura;
- la presenza, di cause di non punibilità, di estinzione del reato o di estinzione della pena che si ritenga irrogabile[11];
- la contestazione di delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni[12].
Considerata la formulazione tassativa del suddetto comma 2, non sono idonee a fondare il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, né la violazione dell’art. 274, relativo alle esigenze cautelari, né l’inosservanza dei principi di adeguatezza e proporzionalità delle misure, enunciati nell’ art. 275, mentre, invece, tale diritto si configura soltanto ove sussista una causa di illegittimità enucleabile dall’art. 273 o dall’art. 280[13].
Cause di esclusione del diritto alla riparazione
L’art. 314 c.p.p. riporta inoltre alcune cause per le quali si intende compensata l’ingiustizia della restrizione patita dall’imputato, escludendo pertanto la configurabilità del diritto alla riparazione.
In primo luogo, deve escludersi il riconoscimento del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione nei casi in cui la vittima abbia dato o concorso a dare causa con dolo o colpa grave alla detenzione illegittima.
La ratio della disposizione si fonda sul bilanciamento tra l’esigenza statale di prevenire e reprimere i reati ed il verificarsi di ulteriori conseguenze negative, anche attraverso misure di custodia cautelare, ed il diritto del cittadino ad essere indennizzato se la detenzione era priva di presupposti sempre che la condotta tenuta dall’imputato non sia stata tale da indurre l’accusa a ritenerlo colpevole[14].
Per dolo deve intendersi, qui in senso differente dalle accezioni di dolo tipizzate per l’attribuzione della responsabilità penale, qualsivoglia comportamento, anche omissivo, perpetrato mediante artifici e raggiri destinato a mutare gli elementi a disposizione del giudice ai fini della decisione.
Per colpa grave, giurisprudenza consolidata (Cass. Pen. n. 45324/2009; Cass. Pen. SSUU. 32383/2010) ha fornito un’accezione piuttosto ampia definendola come la condotta caratterizzata da noncuranza, negligenza, incuria e indifferenza per le conseguenze dei propri atti ai fini del processo penale, o l’astensione dal fornire spiegazioni all’autorità giudiziaria. Potranno quindi essere prese in considerazione tanto le condotte extraprocessuali (come la grave leggerezza o la macroscopica trascuratezza tali da aver consentito la promozione dell’incolpazione) quanto quelle endo-processuali (autocalunnia, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi).
In secondo luogo, si esclude la configurabilità del diritto alla riparazione per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena. In più, non è previsto il diritto alla riparazione per il periodo di tempo in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo (cfr. art. 297 e 298 c.p.p.)[15].
Infine, al quinto comma, è prevista una restrizione al diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione in riferimento ai casi di diritto intertemporale. In particolare, nei casi in cui con sentenza o provvedimento di archiviazione è stato affermato che il fatto non è previsto dalla legge come reato per abrogazione della norma incriminatrice (cfr. art. 2 c.p.), non si avrà diritto alla riparazione nei casi di custodia cautelare sofferta prima della abrogazione della medesima.
Profili procedurali
Per quanto concerne invece l’iter volto a instaurare il procedimento per la riparazione per ingiusta detenzione, l’art. 315 c.p.p. fissa alcune regole e richiami ben precisi.
- Autorità competente: la domanda deve essere presentata presso la cancelleria della corte d’appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento di archiviazione; nel caso di sentenza emessa dalla corte di cassazione, è competente la corte di appello nel cui distretto è stato emesso il provvedimento impugnato.
- Limite temporale: la domanda deve essere presentata entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla persona nei cui confronti è stato pronunciato (cfr. artt. 408,409, 411 c.p.p.).
- Limite quantitativo: l’entità della riparazione non può comunque eccedere l’importo di 516.456,90 euro.
- Disciplina applicabile: l’ultimo comma dell’art. 315 c.p.p. richiama, in quanto disciplina, l’intera disciplina prevista pe la riparazione dell’errore giudiziario di cui agli articoli 643-647 c.p.p.
- Soggetti legittimati: colui che ha sofferto l’ingiusta detenzione; nel caso di decesso della persona che ha subito l’ingiusta detenzione possono richiederne la riparazione: il coniuge, i discendenti e gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, gli affini entro il primo grado e le persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta[16].
Da ultimo, si osserva come nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione l’operazione logica del giudice sarà del tutto differente rispetto a quella del giudice del processo penale, quest’ultima finalizzata all’accertamento della sussistenza del reato e della commissione da parte dell’imputato. Nel caso di procedimento per ingiusta detenzione il giudice infatti dovrà stabilire se le condotte dell’interessato sono da ritenersi come fattore condizionante alla produzione dell’evento della misura cautelare e non dovrà stabilire se determinate condotte perfezionano un determinato reato oppure no.
Per un ulteriore approfondimento
La Corte Costituzionale, con diverse pronunce di illegittimità costituzionale, ha riconosciuto che il diritto all’ingiusta detenzione spetta anche in ulteriori casi rispetto a quelli espressamente previsti dall’art. 314.
Sul tema si segnalano:
Informazioni
Conso Grevi, Compendio di procedura penale, IX edizione
De Robbio, Le misure cautelari personali, Milano 2016
F. Galluzzo, Riparazione per ingiusta detenzione, il Penalista, 2015
V. Simi, Schema pratico del processo penale, in DirittoConsenso, 2020. Link: http://www.dirittoconsenso.it/2020/12/17/uno-schema-pratico-del-processo-penale/
https://www.ca.milano.giustizia.it/Distretto/come_fare_per.aspx?cfp_id_scheda=753
https://www.errorigiudiziari.com/errori-giudiziari-quanti-sono/
[1] Per un’analisi degli aspetti procedurali la pagina della Corte di Appello di Milano al seguente link: https://www.ca.milano.giustizia.it/Distretto/come_fare_per.aspx?cfp_id_scheda=753
[2] Capo VIII – all’interno del Titolo I – misure cautelari personali – del libro quarto intitolato “Misure cautelari”
[3] Conso Grevi, Compendio di procedura penale, IX edizione, pp.472-474
[4] Domanda di riparazione per ingiusta detenzione
[5] Reintegrazione nel posto di lavoro perduto per ingiusta detenzione
[6] In dottrina si discute sulla ragionevolezza dell’esclusione della misura dell’obbligo di dimora
[7] Articolo inserito dall’ articolo 5 c. 1 lettera E del D.lgs 149/2017
[8] Consultabile al sito https://www.errorigiudiziari.com/
[9] Vale a dire quelle persone che, dopo essere state condannate con sentenza definitiva, vengono assolte in seguito a un processo di revisione
[10] Per l’indagine completa si veda: https://www.errorigiudiziari.com/errori-giudiziari-quanti-sono/
[11] Con la pronuncia delle Sez. Unite della Suprema Corte n. 20/1993 è stato affermato che la sussistenza di cause di giustificazione, le quali implicando l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non costituisce reato, rientrano nella diversa previsione di cui al comma 1 dell’art. 314 c.p.p. e non nelle condizioni di cui al comma 2.
[12] Conso Grevi, op. cit.
[13] De robbio, Le misure cautelari personali, Milano, 2016
[14] F. Galluzzo, riparazione per ingiusta detenzione, il Penalista, 2015
[15] F. Galluzzo, op. cit.
[16] De robbio, op. cit.

Riccardo Zanaboni
Ciao, sono Riccardo. Sono un praticante avvocato iscritto presso l'Ordine degli avvocati di Milano. Laureato presso l'Università degli studi di Pavia, ho discusso una tesi in diritto penale internazionale sul crimine di aggressione di competenza della Corte penale internazionale. Ho svolto il quarto anno presso l'Università Complutense di Madrid e un periodo di ricerca tesi presso l'Università di Coimbra. Mi occupo di diritto penale, responsabilità amministrativa degli enti e diritto internazionale.