Istituti giuridici particolari del diritto di famiglia: separazione e divorzio. Un’analisi della disciplina e degli effetti
Alcuni dati su separazione e divorzio
Nel linguaggio comune spesso si parla indistintamente di separazione e divorzio, senza tenere conto delle notevoli differenze che li distinguono. Il divorzio fu introdotto in Italia nel 1970. Nel 2018 gli uomini divorziati erano poco più di 681 mila e le donne poco più di 990 mila. I numeri sono significativamente aumentati nel corso del tempo. Basti pensare che nel 1991 gli uomini divorziati erano circa 150 mila e le donne 225 mila. Nel giro di 27 anni il numero è quindi più che quadruplicato[1]. L’introduzione del cd. divorzio breve ha contribuito all’incremento dei numeri.
Se si confrontano questi dati con quelli delle separazioni si nota che questi ultimi sono inferiori.
In Italia, quindi, molte coppie decidono di separarsi, ma senza divorziare. L’articolo illustra gli istituti giuridici e pone l’attenzione sulle differenze tra separazione e divorzio.
Separazione dei coniugi
L’istituto della separazione esisteva già prima della legge 898 del 1970 che introdusse il divorzio ed era concepito come uno strumento utile nel caso di crisi temporanea della coppia, prima della ripresa della vita coniugale. I coniugi avevano quindi la possibilità di cessare momentaneamente la convivenza nel caso in cui questa diventasse difficile o, addirittura, intollerabile. Oggi quest’istituto ha perso la sua originaria funzione ed è diventato un semplice strumento per giungere al divorzio (ogni divorzio, quindi, deve essere preceduto dalla separazione).
Ai sensi dell’art. 150 c.c. la separazione può essere giudiziale o consensuale. Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o l’omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi. L’omologazione consiste in un accertamento ufficiale da parte del tribunale competente circa la conformità dell’accordo di separazione presentato dai coniugi alle regole che lo disciplinano. L’omologazione è condizione di efficacia della separazione consensuale. Il tribunale è chiamato ad accertare la legittimità e l’opportunità dei termini della separazione, tenendo conto delle esigenze della prole.
Separazione giudiziale
Questa tipologia di separazione si ha quando manca un accordo tra i coniugi che consente di giungere ad una separazione consensuale.
La separazione giudiziale può essere pronunciata quando sussistono “fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole” (art. 151 c. 1 c.c.). Si ravvisa un vero e proprio diritto potestativo di ciascun coniuge a chiedere la separazione, tale diritto è intrasmissibile e imprescrittibile. L’intollerabilità deve essere intesa in senso soggettivo e non oggettivo, in quanto il giudice non dovrà pronunciarsi sulla domanda di separazione in base ad uno standard di valutazione, ma dovrà valutare il venir meno del presupposto del vivere insieme raffigurato dalla volontà di continuare il ménage. I continui litigi e contrasti tra i coniugi sono sufficienti a legittimare la richiesta di uno dei due, per cui non è necessaria la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale per rendere ammissibile la richiesta.
Il consorte che prende la decisione di separarsi deve rivolgersi ad un avvocato, il quale è tenuto a depositare il ricorso, contenente l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata, in tribunale. All’udienza fissata il presidente del tribunale deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione. Si tratta di un colloquio personale riservato, al quale tuttavia possono assistere i difensori delle parti, qualora queste vogliano esercitare tale facoltà.
Se la conciliazione non ha esito positivo, il presidente (anche d’ufficio), pronuncia un’ordinanza con la quale adotta dei provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi.
Da questo momento si scioglie la comunione legale e si apre un giudizio vero e proprio in cui i coniugi sono assistiti dai propri avvocati. Il giudizio si conclude con la sentenza di separazione. È possibile che la separazione venga dichiarata già durante la prima udienza con sentenza non definitiva e il procedimento prosegua per decidere gli aspetti controversi.
Una volta pronunciata la sentenza di separazione, il tribunale la trasmette al comune in cui è avvenuto il matrimonio perché venga annotata nei registri dello stato civile. Le condizioni stabilite in sentenza (assegno di mantenimento, assegnazione della casa coniugale, affidamento dei figli minori[2]…) possono essere successivamente modificate o revocate qualora intervengano dei fatti nuovi che mutano la situazione di uno dei coniugi.
Nel caso di separazione giudiziale, il termine per chiedere il divorzio è di 12 mesi che decorrono dal giorno dell’udienza di comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale.
La separazione giudiziale si può trasformare in consensuale nel caso in cui intervenga un accordo tra i coniugi sulle condizioni della separazione. Non è possibile il contrario.
Inoltre, i coniugi hanno la facoltà di far cessare di comune accordo gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con un’espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione (art. 157 c. 1 c.c.). In quest’ultimo caso, la separazione potrà essere nuovamente pronunciata solo in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione.
Separazione consensuale
Quando i coniugi trovano un accordo sulle condizioni di separazione si ha la separazione consensuale. In questo caso, marito e moglie possono scegliere di avvalersi della negoziazione assistita da un avvocato, di effettuare una dichiarazione di fronte al sindaco o di rivolgersi al tribunale.
I coniugi possono separarsi affidandosi a due avvocati che li conducono a concludere un accordo di negoziazione assistita. L’accordo viene trasmesso al pubblico ministero il quale, se non vi ravvisa irregolarità, rilascia un nulla osta. Se la coppia ha figli minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, incapaci o portatori di handicap grave, l’accordo è soggetto all’approvazione del PM il quale, se non lo ritiene conforme agli interessi dei figli, lo trasmette al Presidente del tribunale perché fissi la comparizione dei coniugi avanti a sé. In questo caso il procedimento assume le forme giudiziali sopra trattate.
In presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, incapaci o portatori di handicap grave i coniugi devono rivolgersi al tribunale, il quale deve provvedere all’omologazione dell’accordo tramite decreto emanato in camera di consiglio. Se la parte dell’accordo relativa all’affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando loro le modifiche da adottare nell’interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l’omologazione. In seguito all’omologazione, l’intesa raggiunta tra i coniugi costituisce la fonte diretta dei reciproci diritti ed obblighi oggetto di negoziato.
Fuori dei casi sopra citati i coniugi possono concludere l’accordo di separazione innanzi al sindaco, quale ufficiale di stato civile. Questi riceve la dichiarazione delle parti di volersi separare, che viene predisposta e sottoscritta davanti a lui, invitandoli a comparire per confermare l’intesa raggiunta dopo un periodo di tempo non inferiore a trenta giorni.
Una volta trascorsi 6 mesi dalla separazione consensuale, i coniugi potranno chiedere il divorzio.
Divorzio
Il divorzio è l’istituto giuridico con il quale il giudice pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio quando abbia accertato che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l’esistenza di una delle cause enumerate nell’art. 3 l. div.
Si parla di:
- scioglimento qualora sia stato contratto matrimonio con rito civile, e di
- cessazione degli effetti civili qualora sia stato celebrato matrimonio concordatario.
Questa distinzione è importante in quanto il matrimonio religioso non può essere sciolto dalla giurisdizione italiana che può intervenire solo sugli effetti civili.
Il procedimento si articola in due fasi distinte. La domanda si propone con ricorso. Anche in questo caso, il presidente del tribunale dispone con decreto il giorno della comparizione personale delle parti per esperire il tentativo di conciliazione. Nel caso in cui questo non abbia esito positivo, si apre la seconda fase, cd. fase di cognizione ordinaria, volta ad accertare la sussistenza di uno dei casi di cui all’art. 3 l. 898/1970 che viene effettuata in contraddittorio dalle parti e con l’intervento obbligatorio del PM. Nella prassi quest’accertamento di fatto si riduce ad una semplice presa d’atto della radicata crisi del rapporto coniugale.
Se vi è una domanda di divorzio congiunta da parte dei coniugi il procedimento è molto simile a quello previsto per la separazione consensuale. Nel ricorso devono essere indicate le condizioni relative alla prole e ai rapporti economici. Il tribunale decreta l’apertura del giudizio contenzioso qualora ritenga che gli accordi dei coniugi concernenti i figli siano in contrasto con l’interesse di questi.
Come nell’ipotesi della separazione, anche in questo caso i coniugi possono divorziare affidandosi a due avvocati che li conducono a concludere un accordo di negoziazione assistita. Il procedimento è identico a quello sopra descritto.
La sentenza di divorzio deve essere annotata negli atti di matrimonio.
Informazioni
M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, CEDAM, 2019
F. Ruscello, Diritto di famiglia, Pacini Giuridica, 2020
[1] Dati Istat.
[2] A questo link è possibile trovare un articolo sul tema dell’affidamento dei figli minori: http://www.dirittoconsenso.it/2020/10/15/meccanismi-affidamento-del-minore-ordinamento-italiano/

Beatrice Alba
Ciao, sono Beatrice. Classe 1997. Abito nella città dei gianduiotti, ma nelle mie vene scorre sangue siculo. Collaboro con DirittoConsenso dal 2020. Nel 2021 ho conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza e nel 2022 ho portato a termine un Master di II° livello in Diritto dei mercati agroalimentari presso l’Università degli Studi di Torino. Attualmente svolgo la pratica forense presso uno studio legale in cui mi occupo di diritto civile, diritto penale e diritto del lavoro. È quindi chiaro che l’indiscusso protagonista del mio percorso professionale è il diritto. Sono una persona ottimista, affidabile ed estremamente organizzata. La pianificazione delle giornate è un ingrediente fondamentale per portare a termine con successo tutte le attività della professione forense e ritagliarmi del prezioso tempo libero (indispensabile per ricaricare le energie).