Cerchiamo di capire cosa sia un processo caduto in perenzione, quando ciò si verifichi, e con quali effetti
L’istituto processuale della perenzione amministrativa: la sua definizione
La perenzione amministrativa è disciplinata al Titolo VI, precisamente agli articoli 81 e seguenti del Codice del processo amministrativo. La lettera della norma ha chiarezza lapidaria: “il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura”. Il Legislatore amministrativo richiede che il privato che presenti il ricorso, l’atto che tipicamente avvia il contenzioso[1], dimostri nel corso dello stesso di avere un interesse ancora attuale e concreto a pervenire alla decisione giurisdizionale, e ciò a pena dell’estinzione del processo medesimo. L’impulso di parte è, infatti, condizione necessitata a pena di estinzione processuale, in linea con la caratterizzazione del contenzioso amministrativo quale ‘processo squisitamente di parte’. La perenzione è dunque configurabile come la sanzione in cui incombe la parte inattiva: definire un processo perento significa ritenerlo estinto.
I motivi che giustificano la previsione normativa della perenzione
La ratio dell’istituto è da ricercarsi nell’esigenza di svolgere un’attività processuale utile, non superflua, a garanzia della funzionalità del sistema e nel rispetto del principio di economicità processuale. Il giudicato è funzionale alla conservazione o all’ottenimento del bene della vita cui il privato aspira, interesse, questo, che deve sussistere ancora come attuale e concreto al momento del giudizio[2]: in mancanza il processo non ha ragione di pendere. Ma oggetto di tutela sono, soprattutto, le parti ed il rapporto giuridico coinvolto nella controversia: la previsione della perenzione evita che questi soggiacciano ad un processo eccessivamente protratto nel tempo. La perenzione risponde, dunque, alle importanti ragioni di certezza giuridica. Si pensi, in aggiunta, che l’istituto in esame è deflattivo del contenzioso amministrativo che, come ogni processo, è già di per sé, prescindendo dall’esito ultimo, un costo in termini di tempo, energie e danaro.
Nella pratica: la perenzione amministrativa annuale
Per quanto attiene al funzionamento dell’istituto, si tenga presente che al termine annuale previsto ex lege (art. 81 CPA, di cui sopra) bisogna computare quello aggiuntivo, eventuale, di 46 giorni, riferito al periodo feriale. Se poi il contenzioso del caso di specie è ricompreso nell’elencazione di cui all’articolo 119 CPA, trattandosi di una delle ipotesi di rito abbreviato, il termine per la perenzione è conseguentemente dimezzato: il processo s’intende perento decorsi 6 mesi dal deposito del ricorso senza alcun compimento di atti processuali, sempre maggiorati dell’eventuale periodo di sospensione feriale[3].
Precisa l’articolo 81 CPA che il termine annuale non decorre qualora sia presentata l’istanza di fissazione dell’udienza, di cui all’articolo 71 del Codice, e fintantoché il giudice amministrativo non abbia provveduto sulla stessa. La presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza è, infatti, espressione dell’interesse attuale di parte alla prosecuzione del giudizio: scongiura i timori per cui l’istituto è stato previsto. La parte è qui intesa con riferimento tanto al privato ricorrente quanto alla Pubblica Amministrazione resistente: qualsiasi parte costituita a processo può presentare l’istanza, in quanto interessata ad ottenere una statuizione favorevole sulle spese processuali di cui, nel caso contrario di perenzione, dovrebbe invece farsi carico. L’articolo 71 CPA dispone infatti che “la fissazione dell’udienza di discussione deve essere chiesta da una delle parti con apposita istanza, non revocabile, da presentare entro il termine massimo di un anno dal deposito del ricorso o dalla cancellazione della causa dal ruolo”.
La forma speciale della perenzione quinquennale (e ultra-quinquennale)
L’eccezione alla decorrenza del termine annuale, di cui ora s’è detto, è a sua volta derogata. Infatti la presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza impedisce sì la perenzione processuale, fatta salva però la previsione di cui all’articolo 82 CPA. La norma in esame disciplina una fattispecie particolare, che ha dato vita ad un secondo tipo di perenzione, quella quinquennale. Il Legislatore amministrativo ha considerato l’ipotesi in cui la parte richieda di fissare l’udienza, tuttavia, in seguito a quella, si mostri del tutto inattiva, disinteressata alla prosecuzione del contenzioso. In questo caso si ammette il termine più ampio di 5 anni di inattività processuale decorrente dal deposito del ricorso. Quest’ultima viene rilevata sulla base di un dato certo: il ricorrente deve aver mancato di presentare la nuova istanza di fissazione dell’udienza richiesta dalla segreteria che, con apposito avviso, l’abbia invitata a farsi carico di tale onere al fine di impedire l’estinzione del processo. Il ricorrente dispone, a tal fine, di 180 giorni dalla data di ricezione dell’avviso per rinnovare la fissazione dell’udienza, presentando una istanza sottoscritta dal difensore e dalla parte stessa congiuntamente. A contrario, se il termine decorre inutilmente, il processo s’intende perento.
La perenzione quinquennale, inoltre, può aver luogo anche in assenza dell’avviso della segreteria di cui all’articolo 82 co 1 CPA. Ai sensi del comma seguente, se il ricorrente non dichiara di avere interesse alla decisione giurisdizionale, una volta ricevuta la comunicazione dell’avviso di fissazione della discussione di merito, il Presidente del collegio adotta un decreto con cui dichiara perento il processo. La dichiarazione di interesse richiesta al ricorrente può essere effettuata anche nel corso dell’udienza, a mezzo del suo difensore.
È ora delineato un quadro generale e completo dell’istituto:
- se il ricorrente non presenta l’istanza di fissazione dell’udienza -> al decorrere di 1 anno dal deposito del ricorso, il processo si considera estinto (perenzione annuale);
- se il ricorrente presenta l’istanza di fissazione dell’udienza, tuttavia non pone in essere alcun atto successivo -> al decorrere di 5 anni dal deposito del ricorso, il contenzioso è dichiarato perento (perenzione quinquennale):
- se la parte non risponde all’avviso della segreteria entro 180 giorni (presentando una nuova istanza di fissazione dell’udienza);
- se, in mancanza di detto avviso, ma appresa la fissazione della discussione di merito, non dichiara di essere interessato alla decisione del giudice
Il medesimo onere è richiesto alla parte nel caso in cui, pur ricevuto l’avviso della segreteria, l’udienza venga fissata oltre un quinquennio dall’ultimo atto compiuto, come previsto dall’art. 57 L. n. 69/2009. Ciò significa che in tutti i casi in cui l’udienza, pur rifissata, sia ultra-quinquennale rispetto all’attività processuale ultima, è necessaria la dichiarazione di interesse di parte.
- se il ricorrente presenta l’istanza ma l’udienza viene fissata oltre 5 anni dall’ultimo atto compiuto -> il processo è dichiarato perento se non dichiara l’interesse alla decisione giurisdizionale (perenzione ultra-quinquennale).
Gli effetti della perenzione amministrativa
A partire dal deposito del ricorso, la decorrenza dei termini prescritti ai fini della perenzione opera di diritto, e può essere rilevata d’ufficio dal giudice ex art. 83 CPA. Una volta dichiarato estinto il processo, non potendo applicarsi il principio civilistico secondo il quale la parte che soccombe paga le spese processuali, queste sono ripartite tra le parti in relazione agli atti posti in essere da ciascuna. Tuttavia, è bene precisarlo, tra gli effetti della perenzione non si annoverano né la perdita del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo dedotto in giudizio né la perdita della facoltà di proporre nuovamente il ricorso, sempre che non siano già decorsi i termini previsti ex lege per esperire l’azione. Gli effetti infatti sono strettamente legati alla natura dell’istituto, che abbiamo visto essere la sanzione in cui incombe la parte inattiva per evitare lo stato di quiescenza di un processo che sia ancora ed infruttuosamente pendente. D’altra parte la pronuncia di perenzione di un ricorso non costituisce una decisione di merito[4], un giudicato sostanziale: di per sé, dunque, non comporta l’applicazione del principio del “ne bis in idem”, tale da impedire la delibazione di un eventuale ulteriore ricorso che abbia ad oggetto il medesimo provvedimento amministrativo[5].
Informazioni
Marcello Clarich, Manuale di giustizia amministrativa, Milano: il Mulino
La perenzione amministrativa: https://www.ildirittoamministrativo.it/
https://www.brocardi.it/codice-del-processo-amministrativo/libro-secondo/titolo-vi/art81.html
[1] Marcello Clarich, Manuale di giustizia amministrativa, Milano: il Mulino, pag. 171 e ss.
[2] Marcello Clarich, Manuale di giustizia amministrativa, Milano: il Mulino, pag. 131 e ss.
[3] La perenzione amministrativa: https://www.ildirittoamministrativo.it/
[4] http://www.dirittoconsenso.it/2020/11/30/uno-schema-sul-processo-amministrativo/

Desireè Ferrario
Ciao, sono Desirèe. Ho conseguito cum laude la laurea in Giurisprudenza presso l'Università Statale di Milano. Attualmente svolgo il tirocinio ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Corte d'Appello di Milano, IV Sez. Pen. Il mio sogno è fare il Magistrato, ed una mia grande passione è la scrittura.