Perché l’Afghanistan è una miniera d’oro per il traffico illecito di beni culturali? Una serie concatenate di cause spiega il motivo
Le ferite aperte dell’Afghanistan e il traffico illecito di beni culturali
L’Afghanistan è uno Stato che da molti anni soffre un’instabilità generale. Tra i tanti problemi[1], anche se è poco conosciuto, c’è il traffico illecito di beni culturali[2]. Ci sono infatti numerosi studi che confermano che l’Afghanistan sia uno stato di origine dei beni culturali. Con questa espressione si indica uno Stato il cui patrimonio culturale[3] sia stato rubato e illegittimamente esportato. E non si cada nell’errore che la qualifica (come viene detto in inglese di source country) sia una condizione esclusiva dell’Afghanistan[4].
La presenza di inestimabili beni culturali però non fa gola solamente ai commercianti disonesti, ai curatori d’aste compiacenti o ai compratori che intendono rimanere anonimi il più a lungo possibile. Infatti anche i gruppi terroristi intendono mettere le mani su queste ricchezze. Pezzi antichi, ori, statue e preziosi finemente lavorati rappresentano ottimi investimenti per il finanziamento delle attività terroristiche. Se poi a queste attività si aggiunge la distruzione dei beni, l’Afghanistan è forse lo Stato che più ha subito l’onta della riduzione in polvere (letteralmente, e vedremo perchè) del proprio patrimonio culturale.
Più cause, un unico sconfitto: il patrimonio culturale afgano
L’Afghanistan è severamente colpito dal traffico illecito dei beni culturali. La difficile situazione interna a seguito di due invasioni militari e poi il conflitto tra governo centrale e gruppi dei talebani dagli anni 90 crea deboli presupposti per una salvaguardia sufficiente del patrimonio nazionale. Tra le cause del danneggiamento del patrimonio afgano, ricchissimo e oggetto di influenze di numerose civiltà[5], vi è, sorprendentemente, l’urbanizzazione e la crescita della popolazione nelle città[6].
Inoltre la presenza di gruppi terroristici non aiuta ad arginare il fenomeno del traffico illecito, specie del saccheggio dei beni culturali[7] e della distruzione dei beni culturali: il caso più eclatante è stata la distruzione delle statue dei Buddah di Bamiyan nel 2001 da parte dei talebani. Ma c’è di più. Le ricerche effettuate e i casi scoperti nel traffico internazionale di beni culturali hanno mostrato diverse forme organizzative criminali. Negli ultimi anni si è data sempre più importanza al rapporto tra il furto o il saccheggio di opere d’arte o di beni archeologici e il finanziamento di attività illecite[8].
Come citato[9] in Charney:
“I gruppi terroristici fondamentali si affidano alle antichità saccheggiate come una delle principali fonti di finanziamento. Mohammed Atta ha cercato di vendere antichità saccheggiate nel 1999 come fonte di finanziamento per gli attacchi dell’11 settembre. In regioni come l’Afghanistan, gli agricoltori locali scavano tesori sotterranei e li vendono a organizzazioni criminali o governative locali per una piccola frazione del loro valore effettivo. Le antichità poi vengono contrabbandate all’estero, con una falsa provenienza e vendute, spesso su un mercato aperto, a ignari musei e collezionisti che non immaginerebbero mai che il loro acquisto possa finanziare indirettamente i talebani. Uno dei modi più importanti per convincere il pubblico in generale e i governi a prendere sul serio il crimine artistico tanto quanto merita è quello di evidenziare i modi in cui questa categoria di crimine apparentemente innocua non solo esaurisce e danneggia l’arte del mondo e la sua comprensione di essa, ma alimenta anche il commercio di armi, il traffico di droga e l’attività terroristica.”[10].
Il saccheggio di beni culturali
Il saccheggio di beni culturali, in particolare[11], avviene per cause economiche e per la povertà dei cittadini. In Van Krieken-Pieters si legge:
“Il problema più importante attualmente è il saccheggio indiscriminato di siti archeologici conosciuti e sconosciuti. Interi siti sono stati scavati utilizzando pale e bulldozer. Ad Aï Khanoum, una città greca probabilmente fondata da Alessandro Magno, furono scoperte tracce di un teatro, una palestra e dei mosaici. Tutto ciò che resta oggi è un campo adatto solo alla coltivazione. Altri esempi di siti che sono caduti vittima di scavatori illegali che lavorano per commercianti senza scrupoli sono i numerosi siti buddisti di Hadda e le montagne dorate di Tellya Tepe. È impossibile proteggere i siti in un Paese che è ancora soggetto a guerre latenti e dove è troppo pericoloso avviare scavi ufficiali.”[12].
Inoltre nei risultati ottenuti dall’analisi sul saccheggio dei beni culturali in Afghanistan di Hammer et al. si legge[13]:
“La nostra analisi indica una tempistica prolungata per i saccheggi in Afghanistan, con quantità significative di danni ai siti verificatisi prima e dopo l’invasione degli Stati Uniti e che continuano fino ad oggi. I danni ai siti in Afghanistan sono causati da una pluralità di fattori non direttamente motivati dalla vendita di antichità saccheggiate. Tuttavia, questi fattori (in particolare l’agricoltura e lo sviluppo) distruggono i siti e aprono possibilità di saccheggio dei manufatti. I saccheggi in corso si verificano in tutto il paese, ma sono fortemente concentrati nelle aree settentrionali che non sono state roccaforti talebane. Ciò suggerisce che attori di varie fazioni e affiliazioni etniche siano coinvolti nel saccheggio e nel traffico di antichità, non solo i talebani estremisti.”[14].
Afghanistan e il traffico illecito dei beni culturali: bastano i trattati internazionali?
Una maggior cooperazione internazionale sarebbe auspicabile dato che l’attuale sistema dei trattati[15] non consente una tutela piena ed efficace. Nonostante infatti l’ampia rete di collegamenti e di sforzi comuni delle organizzazioni internazionali (ICCROM, INTERPOL, UNICRI, UNIDROIT, a capo delle quali vi è simbolicamente l’UNESCO[16]), è richiesto, a parere di chi scrive, un impegno più costante nella lotta al traffico illecito dei beni culturali.
Tra i progetti a conduzione UNESCO da menzionare, vi è quello dell’International Coordination Committee for the Safeguarding of Afghanistan’s Cultural Heritage (ICC). Si intravedono inoltre spiragli di luce anche con il ripristino di collezioni del Museo Nazionale Afghano[17] oppure la restaurazione del tetto dell’antica moschea di Haji Pyada[18]. A tutto questo dovrà seguire un impegno profondo frutto sia di una scelta politica precisa che dell’impegno della società afghana: la lotta al traffico illecito di beni culturali in Afghanistan passa soprattutto da qui.
Informazioni
Campbell, The illicit antiquities trade as a transnational criminal network: characterizing and anticipating trafficking of cultural heritage, in International Journal of Cultural Property, 2013, p. 126
Charney, Denton and Kleberg, Protecting Cultural Heritage from Art Theft: International Challenge, Local Opportunity, in FBI Law Enforcement Bulletin, 2012
Hammer et al., Remote assessments of the archaeological heritage situation in Afghanistan, in Journal of Cultural Heritage, 2018
Kristy, The impact of urban sprawl on cultural heritage in Herat, Afghanistan: a GIS analysis, in Digital Applications in Archaeology and Cultural Heritage, 2018, p. e00086
[1] Sulla situazione più recente dell’Afghanistan da un punto di vista politico e istituzionale rimando all’articolo di Annarita Silverii: http://www.dirittoconsenso.it/2021/01/16/afghanistan-e-talebani-difficili-trattative/
[2] Deve essere chiaro che il problema del traffico illecito di beni culturali è di dimensione internazionale anche se meno noto di altre forme di criminalità transnazionale. Rimando in particolare agli sforzi dell’INTERPOL come organizzazione internazionale per la lotta al fenomeno criminale: http://www.dirittoconsenso.it/2019/10/21/interpol-lotta-traffico-illecito-beni-culturali/
[3] È interessante notare che Italia e Afghanistan hanno intrapreso misure per la tutela del patrimonio culturale. L’Italia ad esempio ha lanciato la Ghazni Italian Archaeological Mission in Afghanistan. Grazie a specifici accordi con l’Archaeology Institute of Afghanistan, la Missione collabora agli scavi di siti buddhisti nella zona di Kabul. Impegnata nella conservazione non solo fisica dei beni archeologici e artistici, ma anche del loro valore di testimonianza storica, la Missione ne cura il restauro, la corretta documentazione e lo studio e ne promuove e condivide la conoscenza, anche attraverso risorse digitali condivisibili. Maggior informazioni si trovano a questo indirizzo: http://ghazni.bradypus.net/archaeological_mission
[4] Nella categoria di source countries rientrano l’Italia, la Grecia, gli Stati del sud-est asiatico e del Medio Oriente e, in forme minori, l’America meridionale
[5] L’Enciclopedia Treccani riporta nella storia dell’Afghanistan un continuo crocevia di popoli (greci, turchi, iranici in passato, oggi Pashtun, Hazara, Uzbeki, Balkh e altri minori), regni (dinastia degli Achemenidi, Impero seleucida, dinastia dei Ghaznavidi, etc.), culture e religioni (paganesimo, zoroastrismo, buddismo e islamismo).
[6] Kristy, The impact of urban sprawl on cultural heritage in Herat, Afghanistan: a GIS analysis, in Digital Applications in Archaeology and Cultural Heritage, 2018, p. e00086
[7] Van Krieken-Pieters, Afghanistan’s cultural heritage an exceptional case? In Brodie, Kersel, Luke and Tubb, Archaeology, cultural heritage, and the antiquities trade, Gainesville, Florida, 2006, pp. 227-235
[8] Anche il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è espresso negli ultimi anni. Si contano alcune risoluzioni sulla vendita dei beni culturali rubati da istituti culturali e musei iracheni o illecitamente scavati o rimossi da contesti archeologici in Iraq e venuti dall’ISIS. In particolare si consiglia la lettura della risoluzione 2347/2017 del Consiglio di Sicurezza, la prima che si concentra esclusivamente sulla protezione dei beni culturali, ribadisce la necessità di fermare il traffico illecito di beni culturali sottolineando il legame tra tale attività e il finanziamento delle attività terroristiche.
[9] Charney, Denton and Kleberg, Protecting Cultural Heritage from Art Theft: International Challenge, Local Opportunity, in FBI Law Enforcement Bulletin, 2012, p. 2
[10] Traduzione dall’inglese. Testo originale: “Fundamental terrorist groups rely on looted antiquities as a major funding source. Mohammed Atta tried to sell looted antiquities in 1999 as a funding source for the 9/11 attacks. In regions, such as Afghanistan, local farmers dig up treasure troves beneath the soil and sell them to local criminal or government organizations for a tiny fraction of their actual value. The antiquities then are smuggled abroad, given a false provenance, and sold, often on an open market to unsuspecting museums and collectors who never would imagine that their purchase might indirectly fund the Taliban. One of the most important ways to get the general public and governments alike to take art crime as seriously as it warrants is to highlight the ways in which this seemingly innocuous category of crime not only depletes and damages the world’s art and its understanding of it but also fuels the arms trade, drug trafficking, and terrorist activity.”
[11] È bene ricordare infatti che le cause interne alla rimozione di beni culturali o alla distruzione di questi varia da Stato a Stato o addirittura da regione a regione. Per esempio in Italia è noto il fenomeno dei tombaroli nonostante l’operato di questi criminali non sia dettato dal bisogno di sopravvivere perché in condizioni di indigenza o di conflitti interni. Ho scritto un articolo su queste figure, di seguito il link: http://www.dirittoconsenso.it/2020/07/13/chi-sono-i-tombaroli/
[12] Traduzione dall’inglese. Testo originale: “The most important problem at present is the indiscriminate plundering of both known and unknown archaeological sites. Complete sites have been dug up using shovels and bulldozers. At Aï Khanoum, a Greek town probably founded by Alexander the Great, traces of a theatre, gymnasium, and mosaics were discovered. All that is left today is a field that is fit only for growing crops. Other examples of sites that have fallen victim to illegal diggers working for unscrupulous dealers are the numerous Buddhist sites of Hadda and the golden mounds of Tellya Tepe. It is impossible to protect sites in a country that is still subject to latent war and where it is too dangerous to start official excavations.”
[13] Hammer et al., Remote assessments of the archaeological heritage situation in Afghanistan, in Journal of Cultural Heritage, 2018, p. 142
[14] Traduzione dall’inglese. Testo originale: “Our analysis indicates a protracted timeline for looting in Afghanistan, with significant amounts of damage to sites occurring before and after the US invasion and continuing up to the present. Damage to sites in Afghanistan is caused by a plurality of factors not directly motivated by the sale of looted antiquities. Nonetheless, these factors (especially agriculture and development) destroy sites and open up possibilities for the looting of artifacts. Ongoing looting occurs across the country, but it is heavily concentrated in northern areas that have not been Taliban strongholds. This suggests that actors of various factions and ethnic affiliations engage in looting and antiquities trafficking, not just the extremist Taliban.”
[15] Bisogna citare principalmente la Convenzione dell’Aia del 1954 e la Convenzione UNESCO del 1970 (che costituiscono un sistema cosiddetto complementare) più altre convenzioni minori. Anche il patrimonio culturale subacqueo è tutelato, non dimentichiamolo. In merito si veda: http://www.dirittoconsenso.it/2020/05/13/convenzione-protezione-patrimonio-culturale-subacqueo/
[16] Ho parlato dell’UNESCO e delle Convenzioni del 1954 e del 1970 che regolano la materia della restituzione dei beni culturali in questo articolo: http://www.dirittoconsenso.it/2020/05/21/unesco-trattati-contro-traffico-illecito-beni-culturali/
[17] Più in dettaglio si veda: https://whc.unesco.org/en/activities/503
[18] Più in dettaglio si veda: https://whc.unesco.org/en/activities/256

Lorenzo Venezia
Ciao, sono Lorenzo. Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca con una tesi sul recupero dei beni culturali nel diritto internazionale e sul ruolo dell'INTERPOL e con il master "Cultural property protection in crisis response" all'Università degli Studi di Torino, sono interessato ai temi della tutela dei beni culturali nel diritto internazionale, del traffico illecito di beni culturali e dei fenomeni di criminalità organizzata e transnazionale.