Dal 2014 è reato la libera manifestazione del pensiero in Russia?

 

Libera manifestazione del pensiero (storiografico) in Russia

Gli anni della presidenza Putin, iniziata nel 1998, sono stati segnati da un progressivo recupero del ruolo della Russia nello scacchiere internazionale. L’apparato ideologico a sostegno di tale ambizioso progetto è rappresentato da una sinergia fra la riscoperta di elementi tradizionalisti e conservatori, come il rapporto fra lo Stato e il Patriarcato di Mosca, e il recupero della passata grandezza sovietica. La strategia perseguita passa anche per una adesione ad un discorso storiografico “ufficiale”. In particolare, la versione approvata di alcune vicende storiche è tesa a proporre al pubblico un ruolo positivo ricoperto dall’Unione Sovietica nel corso del secondo conflitto mondiale, tacendo in tutto od in parte o rivisitando alcuni episodi controversi del periodo bellico.

La salvaguardia della versione storiografica ufficiale, approvata dal governo, ha spinto nel 2009 alcuni deputati della Duma a proporre alcune modifiche alla legge penale introducendo un’aggiunta all’articolo 354 del Codice penale federale (Riabilitazione del nazismo). A causa di questo espediente la libera manifestazione del pensiero in Russia è ulteriormente minacciata. La norma, nella versione aggiornata al 2014 dopo i fatti di Yevromaidan, punisce l’apologia o la negazione (pubblica) di fatti riconosciuti come crimini di guerra dal Tribunale di Norimberga e la diffusione di notizie false idonee a porre in cattiva luce l’operato sovietico durante la seconda guerra mondiale. La scelta del legislatore russo è quella di evitare che il dibattito storiografico possa mettere in dubbio la versione ufficiale e predominante delle vicende, colpendo indirettamente i presupposti ideologici su cui si fonda il recupero della grandezza nazionale. La celebrazione dei successi sovietici contro il nazifascismo in Europa è tratto caratteristico del corpus identitario russo: il “giorno della Vittoria” (Dnёm Pobedi) celebrato ogni 9 maggio con spettacolari parate sulla Piazza Rossa e nel resto del Paese ricorda l’anniversario della vittoria dell’URSS sulla Germania nazista. Il popolo russo può a buon diritto essere orgoglioso dei sacrifici sostenuti dai suoi antenati nel corso della seconda guerra mondiale: il tributo in termini di vite umane è stato il più elevato fra tutti i paesi belligeranti. Ciò che però ancora oggi in Russia è precluso è un maturo dibattito sui lati oscuri della vittoria. È innegabile che anche da parte sovietica si registrarono episodi qualificabili come crimini di guerra, che tuttavia tendono ad essere relegati sullo sfondo dalla storiografia ufficiale oggetto d’insegnamento, quand’anche del tutto taciuti.

 

Il caso Luzgin: una condivisione su Vkontakte incauta

Nel luglio 2016 la Corte distrettuale di Perm’ ha condannato un trentottenne, Vladimir Luzgin, ad una multa di 200.000 rubli per aver postato sul social network russo vkontakte due post che, secondo il tribunale di primo grado, integravano gli estremi della fattispecie punita dall’art. 354 del c.p.f. In particolare, il contenuto dei post può essere riassunto così. Secondo l’autore dei contenuti (l’imputato si era limitato a diffondere i link ad alcuni articoli online) le forze sovietiche avrebbero congiuntamente con le armate tedesche attaccato la Polonia nel settembre 1939 facendo scoppiare la seconda guerra mondiale. Che i termini del Patto Moltov – von Ribbentrop del 23 agosto 1939 fossero quelli di spartire la Polonia conquistata, è cosa nota. Quanto al contenuto dell’asserzione, senza compiere giudizi di valore, può essere considerato una riproposizione critica della storiografia ufficiale. Inoltre, sempre nei medesimi contenuti digitali si affermava che i comunisti sovietici avrebbero tramato al pari (e con la complicità) del Terzo Reich per spartirsi l’Europa. Seguivano contenuti a difesa dei nazionalisti ucraini che combatterono a fianco dei tedeschi nel 1941. Proponeva l’imputato ricorso alla Corte Suprema chiedendo di riformare il verdetto di prima istanza. Le censure, di merito e di legittimità, attenevano alla non punibilità della condotta per legittimo esercizio del diritto di manifestazione del pensiero, riconosciuto, oltre che dalla Costituzione russa, anche dall’art. 10 della Cedu (a cui la Russia aderisce). Tuttavia i giudici di San Pietroburgo hanno confermato le statuizioni della Corte distrettuale nei seguenti termini. La diffusione dei link di accesso del materiale online che, secondo la procura, aveva portato almeno venti utenti a leggerli, si connotava per sufficiente offensività, data l’idoneità dei contenuti a porre in cattiva luce l’immagine dell’URSS e a contribuire alla formazione nel pubblico di una considerazione negativa dell’operato sovietico. Inoltre, la visibilità delle informazioni diffuse tramite social network integrava la condizione obiettiva di punibilità richiesta dall’art. 354 c.p.f. e cioè la manifestazione “pubblica” del pensiero dissidente. Di conseguenza il ricorrente è stato riconosciuto colpevole di “riabilitazione del nazismo” ai sensi della sopracitata norma. Ciò che maggiormente rende critico il caso, oltre all’incriminazione in se, è l’assoluta mancanza di un dibattito processuale sulla sostenibilità della tesi storica dell’imputato. La Corte Suprema non ha infatti minimamente criticato o accettato una contestazione giudiziale delle conclusioni probatorie del procuratore di Perm’ secondo cui le affermazioni riportate da Luzgin sarebbero state sbagliate, antistoriche e fasulle. Peccato che tali asserzioni non fossero nemmeno corroborate da idonei mezzi di prova, giacché tanto il giudice di prime cure quanto quello d’appello riconoscono che la versione dell’imputato è a priori “contraria alla realtà dei fatti generalmente riconosciuta a livello internazionale”.

 

Una norma critica: l’art. 354 del codice penale russo

La Costituzione russa del 1993 tutela la libertà di manifestazione del pensiero. Nello specifico, l’art. 29, co. 4, sancisce che: “Ciascuno ha diritto di cercare, ricevere, trasmettere, produrre e diffondere liberamente l’informazione con ogni mezzo legale”. La legge fondamentale del Paese offre peraltro un aggancio significativo ad un altro testo di pari importanza e cioè la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). L’art. 10 tutela anch’esso la libera manifestazione del pensiero e, nel caso di specie, anche del pensiero storiografico. La norma penale analizzata presenta l’incriminazione di condotte diverse. Mentre quelle riconducibili alla prima parte della norma possono essere assimilate a rimedi legali presenti anche in altri Stati europei e finalizzati ad evitare l’esaltazione e l’apologia di crimini di guerra o ideologie antidemocratiche, è la parte finale della disposizione (quella del 2014) a prestare il fianco a più di una critica. Per quanto concerne il divieto legale di diffondere idee antistoriche o palesemente false, come ad esempio il negazionismo della Shoah o l’apologia del nazismo, la Corte Edu ha ritenuto che costituisca una <<irrinunciabile esigenza sociale quella di sanzionare idee antistoriche radicali>>[1] che possono essere pericolose per un società democratica.

La norma impiegata però nel caso di specie presenta molte criticità, anzitutto per la sua formulazione vaga, contraria ai principi di tassatività – determinatezza: cosa significa “notizie dichiaratamente fasulle”? Dalla recente giurisprudenza – peraltro la prima applicazione giudiziale in Russia dal 2014 – parrebbe di capire che la risposta sia: “scomode”. Ciò che può mettere in cattiva luce una certa versione dei fatti diventa in se pericolosa perché screditante. Una cosa è mettere in pericolo la tenuta di un ordinamento democratico tramite la diffusione e la propaganda di idee oggettivamente idonee a turbare l’ordine pubblico: su questo i primi due periodi dell’art. 354 c.p.f. sono in linea con altri Paesi europei, Italia inclusa[2]. È lo stesso art. 10 della Cedu ad ammettere limitazioni alla libera manifestazione del pensiero quando queste si rendano necessarie a tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza nazionale o del rispetto degli altrui diritti. Altra cosa però è punire una critica ad una certa versione dei fatti che, in linea di principio, dovrebbero essere patrimonio comune. E questo non è sfuggito a molti storici russi, che hanno accolto criticamente la norma idonea a sterilizzare il dibattito storico nella società civile e a minare ulteriormente la libera manifestazione del pensiero in Russia[3].

 

Conclusioni

In conclusione, due considerazioni. L’una schiettamente giuridica, l’altra più generica.

Per quanto concerne l’accusa di negazione di fatti statuiti dal Tribunale di Norimberga, a ben vedere, le atrocità commesse dai nazionalisti ucraini non sono state oggetto di giudizio da parte del Tribunale Internazionale Militare. Sicché, il primo capo d’accusa sarebbe un’applicazione analogica della norma, contraria ai principi generali del diritto penale[4]. Quanto alla collaborazione fra URSS e Germania nazista nel periodo 1939 – 1941, è difficile sostenerne la falsità tanto che si potrebbe parlare processualmente di fatto notorio. È piuttosto l’idoneità a minare un certo tipo di retorica a renderla punibile, ma non la sua inconsistenza storica. Almeno nell’immediato non pare immaginabile un overruling. La modifica al codice penale si configura come una risposta normativa a quei Paesi, ex Repubbliche sovietiche (ad es. Ucraina, Lettonia, Lituania) dove con maggior vigore i governi tendono a volersi liberare dell’eredità socialista attraverso letture della storia recente tacciate di “revisionismo” da parte Mosca.  Le recenti proteste di gennaio mostrano però una Russia non del tutto allineata, anche se Putin ed il suo apparato ideologico restano ancora dominanti nella nazione.

In uno Stato di diritto proteggere la società da pericolose ideologie totalitarie, come il nazismo, è obiettivo che costituisce una comprensibile ed auspicabile limitazione della manifestazione del pensiero. Ma diverso è sterilizzare la ricerca storiografica che è patrimonio comune, compromettendo il già precario stato della libertà di manifestazione del pensiero in Russia. Ad umile avviso di chi scrive una versione non ideologizzata della storia, che non chiudesse gli occhi dinanzi ai crimini dello stalinismo, potrebbe paradossalmente stimolare un’adesione più sincera della popolazione al suo passato, proprio perché critica e liberamente formata. E questo senza nulla togliere alle centinaia di pagine di eroismo scritte dal popolo sovietico nel corso della grande guerra patriottica. Si tratta di un traguardo possibile, ma non ancora probabile, quantomeno nel contesto russo. Il perseguimento di progetti di potenza e di protagonismo sulla scena internazionale rendono indispensabile una narrativa univoca, un’adesione incondizionata al discorso ufficiale. E in tutto ciò il diritto penale diviene, suo malgrado, un utile esecutore. Si spera in un futuro più roseo per la libera manifestazione del pensiero in Russia.

Informazioni

G. BOGUSH – I. NUSHOV, Russia’s Supreme Court Rewrites History of the Second World War, in Blog of European Journal of International Law, 28 ottobre 2016, www.ejiltalk.org/russias-supreme-court-rewrites-history-of-the-second-world-war

H. COYNASH, Russia’s Supreme Court rules that the USSR did not invade Poland in 1939, in, Kharkiv Human Rights Protection Group, 2 settembre 2016, http://khpg.org/en/1472775460

Costituzione della Federazione Russa, traduzione italiana in: www.art3.it/Costituzioni/cost RUSSA.pdf

Codice penale russo (trad. inglese) www.wipo.int/edocs/lexdocs/laws/en/ru/ru080en.pdf

P. IASUOZZO, Il reato di apologia del fascismo, in DirittoConsenso, 29 gennaio 2021, www.dirittoconsenso.it/author/pasqualeiasuozzo

S. GRECO, Libertà di espressione su internet: fra anarchia e censura, in DirittoConsenso, 11 novembre 2020, www.dirittoconsenso.it/2020/11/11/liberta-di-espressione-su-internet-fra-anarchia-e-censura

[1] Corte Edu, Grande Camera, sentenza 17 dicembre 2013, Perinçek v. Switzerland  (a proposito del genocidio armeno del 1915). Vedi inoltre Corte Edu, sentenza 1 febbraio 2000, Schimanek v. Austria; Corte Edu, sentenza 14 settembre 2010, Dink v. Turkey.

[2] Cfr. l’art. 604-bis c.p. o la legge n. 654 del 1952 (c.d. legge Scelba) in tema di apologia del fascismo.

[3] Per leggere il preoccupato parere OCSE: www.osce.org/fom/103121

[4] L’analogia in diritto penale è vietata dall’art. 4, par. 2, del Codice penale federale russo.