Che cos’è un CPR? Qual è la realtà che attiene ai Centri di Permanenza per i Rimpatri? Perché, a riguardo, si parla di “detenzione amministrativa”?
La funzione dei Centri di Permanenza per i Rimpatri
Quando ragioni attinenti alle politiche migratorie ostacolano l’esecuzione immediata di un provvedimento di espulsione dello straniero, il questore ne dispone la permanenza provvisoria all’interno di una struttura ad hoc, che ha preso di recente il nome di Centro di permanenza per i rimpatri (CPR).
Il Ministro dell’Interno, di concerto col Ministro dell’Economia e delle Finanze, individua il centro di assegnazione per lo straniero nel caso concreto, ed il questore, entro le 48 ore dall’adozione del provvedimento, trasmette copia degli atti al Giudice di pace territorialmente competente per la convalida dello stesso. L’autorità giudiziaria verifica, quindi, che si siano osservati i termini indicati e che sussistano i requisiti richiesti ex lege per convalidare, con decreto motivato immediatamente esecutivo, l’espulsione dello straniero, dopo averlo sentito qualora comparso.
La convalida comporta la permanenza nel Centro di Permanenza per i Rimpatri, la quale si configura come detenzione amministrativa: consiste in un vero e proprio trattenimento a seguito di un provvedimento amministrativo di espulsione. È importante, sin da subito, aver coscienza che non si tratta, quindi, dell’esecuzione di una sanzione penale: lo straniero trattenuto non è autore di nessun reato. Cosa legittima allora il suo trattenimento? Il mancato possesso del passaporto, ad esempio; la mancata disponibilità di un alloggio ove poter essere facilmente rintracciato; la falsa dichiarazione delle proprie generalità; il non aver ottemperato all’ordine di partenza volontaria o l’aver violato il divieto di reingresso; in generale, il pericolo di fuga dello straniero. Ma può anche trattarsi della necessità di prestargli soccorso, di accertare ulteriormente la sua identità o nazionalità, di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo.
La permanenza così legittimata è prorogata mensilmente dal giudice, su richiesta del questore, quando non siano venute meno le ragioni del trattenimento -ad esempio, i documenti di viaggio non sono stati ancora acquisiti-. In ogni caso, il periodo massimo di permanenza nel CPR non può essere superiore a 90 giorni, salvo una eventuale ultima proroga di 30 giorni se lo straniero è cittadino di un Paese con cui l’Italia ha sottoscritto accordi in materia di rimpatri.
La disciplina dei Centri di Permanenza per i Rimpatri e la “detenzione amministrativa”
Ci si potrebbe domandare perché si parli di “detenzione” amministrativa, facendo riferimento ad un proprium del diritto penale. La risposta è rinvenibile nell’importante sentenza della Corte costituzionale n. 105/2001[1], nella quale si rileva che il trattenimento preso in esame è una misura assolutamente incidente sulla libertà personale, al pari di quella detentiva da tutti noi conosciuta, e, come quella, di necessaria soggezione all’articolo 13 della Costituzione, norma che tutela la libertà personale come bene inviolabile e ne suggella le relative garanzie non solo per i cittadini italiani ma anche per gli apolidi e gli stranieri.
Stante la lettera dell’articolo, “non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. È, dunque, di immediata comprensione la necessità di una riserva legislativa assoluta con riferimento anche al trattenimento dello straniero nel Centro di Permanenza per i Rimpatri. Lo conferma l’art. 5 lett. f CEDU: “Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti (lett. f: caso di espulsione ed estradizione) e nei modi previsti dalla legge”.
Per quanto concerne i casi, questi sono indicati precisamente dagli articoli 13 comma 4 bis e 14 del Testo Unico sull’Immigrazione[2]: sono le circostanze che, si è detto prima, legittimano la permanenza dei cittadini stranieri nei Centri. L’art. 14 comma 2 d. lgs. 286/1998, sulle modalità, dispone che allo straniero trattenuto nel Centro di Permanenza per i Rimpatri debbano essere assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi; l’informazione relativa al proprio status; l’assistenza; il rispetto della sua dignità; la libertà di corrispondenza, anche telefonica, con l’esterno. Il Regolamento unico CIE (ora CPR) del 2014[3] e i Regolamenti interni di ogni Centro integrano le previsioni concernenti modalità e condizioni del trattenimento pre-espulsivo che, nella realtà concreta, non sono sempre rispettate. Ce ne dà esempio il CPR di via Corelli.
Un esempio di detenzione: il CPR di via Corelli
La struttura di permanenza per i rimpatri di Via Corelli, a Milano, è operativa dagli anni Novanta. Dopo essere stata dal 2014 al 2018 il centro di accoglienza straordinaria gestito dalla Fondazione Internazionale della Croce rossa[4], il 29 settembre 2020 ha riaperto come Centro di permanenza per i rimpatri. A distanza di pochi mesi la Sottocommissione comunale di Milano, presidiata da Anita Pirovano, ha chiesto ed ottenuto di poter effettuare un sopralluogo, che prende la data del recente 5 marzo[5].
Ciò che emerge dal verbale di sopralluogo è la presenza di soli 2 reparti operativi -e di un terzo ai meri fini di isolamento per positività da Covid-19, contenenti 42 persone, sebbene la struttura sia nata per ospitarne 5 per una capienza massima di 112 persone. I ristretti sono stranieri dalle nazionalità varie, con una presenza predominante di Tunisini, tutti uomini, tra cui alcuni minorenni che, solo in seguito, sono stati debitamente trasferiti in centri dedicati ai minori. La mediazione culturale, che dovrebbe essere garantita come uno dei diritti principali, è assente, salvo che per la lingua araba. Le figure professionali dello psicologo e dell’assistente sociale sono presenti solo una volta al giorno, dalle 8:00 di mattina alle 15:00 di pomeriggio, un solo giorno a settimana. Non sopraggiungono ministri di culto all’interno della struttura: il diritto al culto è del tutto trascurato. Non fanno neppure ingresso associazioni, organismi di volontariato, di ricerca: la struttura risulta completamente impermeabile rispetto al territorio circostante. Una volta al giorno un’impresa di pulizie garantisce l’igiene dei luoghi, tuttavia vi è un solo bagno in comune. Non è assicurato lo svolgimento di nessuna attività ricreativa o utile, dunque i trattenuti sono costretti all’ozio forzato nel corso della loro permanenza nel CPR, apparentemente giustificato da ragioni di sicurezza; bisognerebbe domandarsi, allora, se si tratti davvero di persone socialmente pericolose.
Non è concesso mantenere i rapporti con l’esterno mediante i personali dispositivi elettronici: sono infatti ritirati cellulari e schede SIM all’ingresso nel Centro, e riconsegnati solo all’uscita[6]. Tuttavia, il Tribunale di Milano, in data 23 febbraio 2021, ha ordinato[7] all’ente gestore del Centro di Permanenza per i Rimpatri di via Corelli di consentire la detenzione e l’uso del cellulare di proprietà del ricorrente, un ristretto tunisino, sulla base del disposto dell’art. 700 cpc.
Ogni trattenuto gode dell’assistenza legale di un avvocato in materia di convalide; e di un altro in materia di proroghe del trattenimento: non c’è continuità di difesa, la quale risulta inevitabilmente poco efficace. La struttura è totalmente spoglia di arredo: s’intende che persino la porta del bagno o delle docce sono inesistenti perché “oggetti” ritenuti degradabili dai trattenuti rabbiosi[8].
In media il rapporto ristretti-agente è di 1:2 in quanto si tratta di 20 agenti organizzati su 4 turni. Non è presente nessun tipo di allarme o sistema di rilevazione delle emergenze: non viene impedito in alcun modo il verificarsi di eventi critici. Manca, a tal proposito, un registro di questi ultimi, che possa garantire la trasparenza degli accadimenti che interessano il Centro. Infine l’emergenza pandemica attuale ha acuito molte delle già presenti criticità[9].
I profili critici del trattenimento nei Centri di Permanenza per i Rimpatri
I Centri di Permanenza per i Rimpatri appiano strutture assimilabili, senza particolari ostacoli, all’ambiente carcerario. Sotto alcuni profili presentano una realtà persino peggiore: ad esempio, manca del tutto un’osmosi tra il dentro ed il fuori, garantita invece nel contesto del carcere; ancora, lì le cd attività trattamentali impiegano proficuamente il tempo dei detenuti mentre lo stesso non può dirsi per i ristretti dei CPR. Le modalità esecutive del trattenimento passano, al pari, dalla coercizione e dalla forza pubblica. Tutto ciò sconcerta se si pensa al fatto che molti dei ristretti non sono persone incriminate; e che altri provengono dal carcere ma, a fortiori, hanno già scontato la loro pena. Si aggiunga che fino al 2019, un ristretto su due non veniva rimpatriato, a seguito del periodo di permanenza nei CPR nazionali, risultando così il sacrificio della libertà personale completamente inutile. Per di più, a decidere sullo stesso è il Giudice di Pace ma ciò accade solo in materia di trattenimento amministrativo: in nessun altro caso il nostro ordinamento gli riconosce una simile competenza.
Eppure per i trattenuti non è così facile far sentire la propria voce. La nota sentenza KHLAIFIA della Corte EDU del 2006[10] ha sancito sì l’introduzione del meccanismo del reclamo, oggi disciplinato all’art. 14 co 2 bis T.U. Imm., perché i ristretti possano far valere i propri diritti; tuttavia è poi mancata la contestuale previsione delle modalità attuative dell’istituto. Tale vulnus normativo, cumulato ai difficili contatti dei trattenuti con i loro difensori legali, lede il loro sacrosanto diritto di difesa. Questo è uno degli esempi più eclatanti del deficit di specifiche regole che caratterizza il trattenimento amministrativo; ma, più in generale, a mancare è un ordinamento ad hoc, parallelo e distinto rispetto all’ordinamento penitenziario (L. 354/975). L’esigenza di colmare tale lacuna spiega la progressiva assimilazione a quest’ultimo. Le fattispecie interessate però, s’è visto, non sono affatto accostabili. Per di più, ove mancano regole, e le esistenti sono molto generali, tutto diventa informale e disomogeneo: attualmente, infatti, ogni Centro di Permanenza per i Rimpatri presenta una propria realtà, con caratteristiche distinte da quelle degli altri centri presenti sul territorio nazionale. Nascono così forti disparità di trattamento ingiustificate, dunque incostituzionali.
Le fonti di queste regole, per di più, sono il Regolamento unico CIE ed i Regolamenti interni di ciascun CPR: non si tratta mai di fonti di rango primario; così le modifiche di disciplina risultano di realizzazione più facile. È ciò che si è potuto constatare rispetto al profilo della durata massima della permanenza, mutato molto di frequente. I continui cambiamenti apportati a quest’ultima previsione, tra l’altro, sembrano confermare che il trattenimento amministrativo non ricopra davvero un’esigenza pratica strettamente funzionale all’espulsione, assumendo ben altre vesti.
Informazioni
https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2012&numero=105
https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/04/09/testo-unico-sull-immigrazione
http://www.prefettura.it/FILES/allegatinews/1176/9._B-Rregolamento_unico_CIE.pdf
http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/01/cosa-sono-i-centri-accoglienza-straordinaria/
https://www.milanotoday.it/cronaca/centri-rimpatrio-problemi.html
[1] https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2012&numero=105
[2] https://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2014/04/09/testo-unico-sull-immigrazione
[3] http://www.prefettura.it/FILES/allegatinews/1176/9._B-Rregolamento_unico_CIE.pdf
[4] http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/01/cosa-sono-i-centri-accoglienza-straordinaria/
[5] Merita di essere evidenziato un dato importante ai fini della lettura di quanto accertato: non è stato consentito di visitare gli spazi occupati bensì solo locali quali i bagni, la infermeria, i reparti non operativi, ragion per la quale non pare di poter dire, ad esempio, che la pulizia del centro sia stata effettivamente verificata nella sua idoneità.
[6] In ogni caso, nella fascia compresa dalle ore 15:00 alle ore 20:00 del pomeriggio, possono essere effettuate telefonate con una SIM apposita e sotto la vigilanza delle Forze dell’Ordine. Spesso l’orario non viene rispettato e ciò rende ancora più difficoltosa l’interazione dei ristretti con i loro rispettivi Avvocati ovvero con i Garanti Locali e il Garante Nazionale. Sono stati recentemente installati 4 telefoni a cabina che funzionano a schede, ma queste tardano ad essere fornite da Telecom.
[7] https://www.asgi.it/allontamento-espulsione/tribunale-di-milano-consentire-utilizzo-cellulare-nei-cpr/
[8] Nella struttura vengono anche tenute le udienze di convalida della restrizione e delle concessioni di provvedimenti di protezione, come l’asilo (vedi art. 10 co 3 Cost); e sono ospitati in visita i parenti dei ristretti per lo svolgimento di brevi colloqui, sempre sotto la vigilanza delle Forze dell’Ordine.
[9] https://www.comune.milano.it/comune/palazzo-marino/garanti-comitati-e-delegati/garante-dei-diritti-delle-persone-private-della-liberta/rassegna-stampa-e-news/cpr-di-via-corelli
[10] https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Khlaifia_e_altri_c_Italia.pdf

Desireè Ferrario
Ciao, sono Desirèe. Ho conseguito cum laude la laurea in Giurisprudenza presso l'Università Statale di Milano. Attualmente svolgo il tirocinio ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Corte d'Appello di Milano, IV Sez. Pen. Il mio sogno è fare il Magistrato, ed una mia grande passione è la scrittura.