Il difficile bilanciamento tra inviolabilità dei principi costituzionali e adempimento degli obblighi assunti in sede internazionale secondo la Corte costituzionale russa in un recente caso
Corti contro Corti: quando la Costituzione viene prima
L’intangibilità dei principi costituzionali è certamente esigenza fondamentale ma lo è anche assicurare la proficua interazione fra l’ordinamento nazionale e quelli sovranazionali a cui lo Stato ha scelto di aderire. È possibile infatti che da tale appartenenza possano scaturire degli obblighi per lo Stato che, se ottemperati, potrebbero tradursi in una lesione di principi supremi su cui si regge l’architettura costituzionale. È cosa nota. In tempi recenti la Corte costituzionale italiana, con le sentt. nn. 238/2014 e 115/2018 ha invocato, rispettivamente, i principi supremi della inviolabilità del diritto di difesa (24 Cost.) e della legalità penale (25 Cost.) quali “scudi” per bloccare, rispettivamente, l’esecuzione di una sentenza della CIG, pronunciata nel 2012, e una lettura costituzionalmente incompatibile dell’art. 325 TFUE[1].
Nell’ordinamento italiano non esiste, però, una norma che, a chiare lettere, positivizzi questo “divieto di transito” per sentenze pronunciate da organi giurisdizionali sovranazionali quando il loro contenuto contrasti con i principi costituzionali. A monte, lo stesso concetto di “principio supremo” non è positivizzato: la Consulta lo ha infatti ricostruito in via pretoria, tratteggiandolo a partire dalla (storica) sent. n. 1146/1988[2].
Vale un discorso in parte differente per la Corte costituzionale Russa. Il 14 dicembre 2015 è stato modificato l’art. 104 della legge costituzionale (ФКЗ – 1/21-07-1994) sulla Corte costituzionale, finalizzata ad autorizzare il Giudice delle leggi (su proposta, in questo caso, del Ministro della Giustizia) a dichiarare “l’impossibile esecuzione” di una sentenza (o comunque di un provvedimento giurisdizionale) reso da un organo sovranazionale deputato alla tutela dei diritti fondamentali qualora il contenuto di tale decisione si sostanzi in una interpretazione di norme internazionali, formulata dall’organo giudicante, contrastante con la Costituzione della Federazione Russa. La norma in questione non riguarda solamente le sentenze della Corte di Strasburgo, ma può potenzialmente bloccare il passo a qualsiasi decisione resa da un organo internazionale, incluse quelle, per esempio, del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite.
C’è da preoccuparsi? In realtà non molto, a prestar fede alle dichiarazioni del delegato russo rese al Comitato di Venezia[3]. Se, in effetti, una sentenza è contraria alla Costituzione, il fine della norma è quello di riservare alla Corte costituzionale, che ha il monopolio dell’interpretazione della Carta fondamentale, il compito di ravvisare l’incompatibilità. Tralasciando il profilo di responsabilità dello Stato russo, a fronte dell’inadempienza dell’obbligo di eseguire una sentenza internazionale, giova rilevare che, per altro verso, se l’accertato contrasto è risolvibile soltanto tramite un emendamento costituzionale, la Corte non può ovviamente provvedere a comporre l’incompatibilità, ma può soltanto dichiararla. In qualsiasi ordinamento la revisione costituzionale è, a ben vedere, una strada non semplice, che richiede maggioranze elevate e, a monte, l’effettiva volontà delle forze politiche (non solo di maggioranza) di adeguare l’ordinamento nazionale per renderlo compatibile con le statuizioni adottate in sede internazionale. Il rischio è che le considerazioni testé effettuate possano tradursi in un alibi per rinviare sine die il problema. Ciò nonostante, in altri Paesi è talora accaduto che il legislatore abbia messo mano alle Carte costituzionali per renderle rispettose di norme internazionali come interpretate dagli organi giurisdizionali a ciò deputati[4].
La sentenza del 19 aprile 2016 (12-П/2016) segna la prima applicazione della nuova norma e riguarda l’esecuzione di una decisione della Corte di Strasburgo. Comprendere meglio i termini della questione originaria aiuterà, però, a cogliere gli sviluppi conseguenti.
Il caso Anchugov e Gladkov v. Russia
L’art. 32, par. 3, della Costituzione russa del 1993 preclude l’esercizio del diritto di voto per tutti coloro che si trovino in stato di privazione della libertà per effetto di una sentenza pronunciata da una corte. Si tratta di una scelta effettuata dai costituenti che esclude così tutti i detenuti dal diritto di esprimere la propria volontà politica. Come noto, la Russia ha aderito alla Cedu nel 1998. L’art. 3 del I Protocollo addizionale impegna gli Stati aderenti a rendere effettivo il diritto di voto per i loro cittadini, tramite l’organizzazione periodica di libere elezioni a scrutinio segreto.
Nel caso Anchugov e Gladkov v. Russia del 2013 la Corte Edu ha ritenuto che la formulazione della norma costituzionale testé richiamata fosse contrastante con l’art. 3 del Protocollo, configurando così una violazione del diritto internazionale per la quale la Russia è stata condannata. Le indicazioni dei giudici di Strasburgo sono quelle di dare adeguata effettività al principio di proporzionalità in relazione a tale restrizione, limitando la portata del divieto soltanto per i condannati per reati gravi, consentendo, per converso, l’esercizio del diritto di voto per i detenuti ristretti per reati meno gravi. La sentenza della Corte costituzionale Russa è però chiara nello statuire che la previsione della sua Carta fondamentale impedisce di dar seguito ai contenuti della sentenza europea[5].
Il giudice delle leggi ammette che il legislatore potrà intervenire in futuro, magari identificando categorie di detenuti condannati per reati di non particolare gravità per i quali la privazione potrebbe venir meno. Ma questo non potrebbe che avvenire attraverso una revisione del testo costituzionale che temperasse il rigore del principio espresso dall’art. 32, par. 3, Cost. russa.
Ciò nonostante, il legislatore russo ha in qualche modo dato seguito alle rimostranze contenute nella sentenza del 2013. Infatti, poco meno di un anno fa, nel giugno 2019, il Codice penale è stato modificato attraverso l’introduzione di una nuova pena extracarceraria, i “lavori collettivi”[6] che si applicherebbe ai condannati per reati di particolare tenuità o di non eccessiva gravità ovvero nei casi di delitti gravi commessi da soggetto incensurato. Sottoposto a tale misura il condannato può così esercitare il suo diritto di voto.
Secondo il legislatore russo, le modifiche legislative apportate sarebbero sufficienti per dare esecuzione al giudicato europeo. Ad avviso di chi scrive, ciò è in buona misura corretto: il testo della Costituzione russa si riferisce testualmente a <<местах лишения свободы>> (luoghi di privazione della libertà personale) tra i quali possono rientrare le carceri, ma anche luoghi esecutivi di altre pene che, in ogni caso, sono comunque “privazioni della libertà personale” a prescindere dalla struttura dove si svolge la fase esecutiva della sanzione principale. Se è vero che la condanna dei giudici di Strasburgo era dipesa dalla esclusione totale dei soggetti ristretti dall’esercizio dei diritti politici, allora l’auspicio della Corte Edu sarebbe stato ascoltato e la portata assoluta del bando costituzionale sarebbe stata pro parte attenuata. Sicché l’incompatibilità tra la Cedu e l’ordinamento russo sarebbe stata in parte ricomposta tramite l’azione del legislatore ordinario. Viene però da interrogarsi sulla compatibilità di una deroga apportata in via legislativa a fronte di una norma costituzionale immodificata: forse agire sulla Carta fondamentale avrebbe “cementificato” meglio il risultato?
È stato osservato[7], però, che la sentenza si sarebbe dovuta intendere nel senso che viola l’art. 3, I Prot. addiz., la privazione, indifferenziata in base al tipo di reato, del diritto di voto per i condannati alla pena della reclusione, rispetto ai quali la privazione continua in toto ad operare. Il fatto cioè che a coloro a cui è garantita la pena extramuraria possano esercitare i propri diritti politici non soddisferebbe per nulla le richieste della Corte Edu. A fronte di ciò, inoltre, è stato segnalato che la scelta dei “lavori collettivi” è discrezionalmente rimessa al giudice e che tale pena verrebbe concessa di rado[8]. Data la sua recente introduzione, parrebbe però affrettato azzardare pronostici di natura statistica sulla sua incidenza.
La posizione della Corte costituzionale russa
A prescindere dalla querelle rispetto al seguito del giudicato europeo, giova soffermarsi sulle motivazioni che la Corte costituzionale Russa ha addotto per invocare il (nuovo) art. 104 della legge sulla Corte costituzionale, introdotto nel 2015[9]. Come osservato in apertura, la disposizione consente di “bloccare” gli effetti (interni) della sentenza internazionale in quanto incompatibili con la Costituzione. Ciò ha però come conseguenza la responsabilità dello Stato inadempiente, che rifiuta di dare esecuzione al giudicato. La Corte nel caso di specie ha ritenuto che il merito della decisione violasse la natura intangibile dell’art. 32, par. 3, della Costituzione. Sicché, sulla base del combinato disposto fra gli artt. 15, parr. 1 e 4 della Costituzione e 104 della legge sulla Corte costituzionale, ha statuito che l’interpretazione data dalla Corte Edu all’art. 3 del I Protocollo addizionale, in quanto contraria alla Carta fondamentale del Paese, non potesse ricevere alcuna implementazione, poiché avrebbe determinato l’ingresso nell’ordinamento russo di effetti testualmente contrari al precetto costituzionale violato. Servendosi così della norma richiamata, azionata dal Ministro della Giustizia per sollecitare la pronuncia in esame, è stata bloccata l’efficacia interna della sentenza Anchugov e Gladkov v. Russia.
È interessante notare come nella (di poco precedente) sentenza 14-П/2015 la Corte costituzionale Russa avesse “bloccato” un’altra sentenza della Corte Edu. Dato che all’epoca non esisteva ancora la norma impiegata nel caso Anchugov, il giudice di San Pietroburgo ha ritenuto di fondare su tre argomentazioni la propria chiusura rispetto alla decisione della Corte di Strasburgo.
- In primo luogo, invocando gli artt. 26 e 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969. In forza del primo, uno Stato non sarebbe tenuto ad adeguarsi alle previsioni di una sentenza europea laddove l’interpretazione di una o più norme sia <<contraria all’ordinario senso dei termini impiegati nella Convenzione e al loro significato alla luce dell’oggetto e dello scopo delle norme medesime>>[10].
- Inoltre, le decisioni della Corte Edu non potrebbero trovare esecuzione laddove contrastassero con principi che, secondo la Corte costituzionale Russa, sarebbero ius cogens, come quello del rispetto della parità fra Stati e quello di non interferenza negli affari interni.
- Da ultimo, l’argomentazione forse più decisiva riguarderebbe l’art. 46, par. 1, per la quale il consenso prestato dalla Federazione Russa aderendo alla Cedu non la renderebbe vincolata allorché gli effetti di quel consenso comportassero la lesione di una <<norma di fondamentale importanza del [proprio] diritto interno>>.
È stato osservato[11] però che, contrariamente a quanto asserito, l’art. 27 della Convenzione di Vienna impedirebbe alla Federazione Russa di invocare una sentenza della Corte costituzionale per sottrarsi alla esecuzione di una sentenza del giudice europeo o di altro provvedimento internazionale[12].
Ciò posto, non stupisce che a seguito di tali argomentazioni il legislatore russo abbia scelto di “positivizzare” questi controlimiti attraverso il potere della Corte costituzionale di dichiarare l’inefficacia interna di una sentenza della Corte Edu (o di un altro organo giurisdizionale per la tutela dei diritti fondamentali).
La reazione del Consiglio d’Europa e qualche considerazione finale
La reazione del Consiglio d’Europa, prevedibilmente, non poteva che essere allarmata. Nell’apposito rapporto del giugno del 2016[13] esprime preoccupazione per gli effetti a lungo termine della scelta normativa compiuta dal legislatore russo nel 2015, che, però, pare non essere nulla di così innovativo, quanto piuttosto la positivizzazione di qualcosa già praticato.
Dalla adesione della Russia nel 1998 alla Cedu, la Corte di Strasburgo è intervenuta più volte riscontrando incompatibilità nell’ordinamento russo e provvedendo in più occasioni a tutelare i diritti dei suoi cittadini. E’ stato osservato[14], però, è che la norma in questione potrebbe potenzialmente essere impiegata per impedire l’adeguamento della legislazione russa al decisum del giudice europeo, privando le relative sentenze di portata obbligatoria e demandando al legislatore la scelta circa il quando e il quomodo della armonizzazione, ma soprattutto, in definitiva, quella sul “se” conformarsi o meno.
Allo stato attuale, tuttavia, il seguito dato all’auspicio della Corte costituzionale Russa nella sentenza 12-П/2016 ha mostrato comunque la volontà del legislatore russo di porre, per quanto possibile, un primo rimedio rispetto alle criticità segnalate dalla Corte Edu: nel 2012, rilevavano i giudici di Strasburgo, nessuno dei circa 734.000 detenuti russi poteva infatti esercitare il proprio diritto di voto[15]. Al 2019, con l’implementazione della pena extramuraria, un certo numero di condannati potrà esercitare i propri diritti politici. Forse non saranno moltissimi, ma un certo numero potrà farlo.
È un inizio, ed il legislatore ha comunque mostrato di non desiderare una chiusura totale, ma un adeguamento alle sue condizioni. Per quanto questo diritto internazionale “à la carte”[16] possa apparire strano, non bisogna dimenticare che, bene o male, molti altri Stati europei hanno talvolta ritenuto opportuno invocare l’integrità dei propri ordinamenti costituzionali per “bloccare” l’accesso agli effetti derivanti da provvedimenti giurisdizionali pronunciati da Corti sovranazionali, Italia in primis. La supremazia della Costituzione (e dei suoi principi supremi) è irrinunciabile; la tutela dei diritti fondamentali, anche. Quale via sceglierà per il futuro la Russia?
Informazioni
M. AKSENOVA, Anchugov and Gladkov is not Enforceable: the Russian Constitutional Court Opines in its First ECtHR Implementation Case, in , 25 aprile 2016.
G. BOGUSH – A. PADSKOCIMAITE, Case closed, but what aboute the execution of the judgement? The closure of Anchugov and Gladkov v. Russia, in European Journal of Internationl Law, 30 ottobre 2019.
N. CHAEVA, The Russian Constitutional Court and its Actual Control over the ECtHR Judgement in Anchugov and Gladkov, in European Journal of Internationl Law, 26 aprile 2016.
P. PUSTORINO, Russian Constitutional Court and the execution ‘à la carte’ of ECtHR judgments, in QIL, Zoom-in 32 (2016), 5-18
Il testo della sentenza del 19 aprile 2016 può essere letto (in inglese) a questo link: 2016_April_19_12-P.pdf (ksrf.ru)
Costituzione della Federazione Russa (testo in italiano): www.art3.it/Costituzioni/cost RUSSA.pdf
Legge sulla Corte costituzionale russa (Federalnij Konstitutionalnij Zakon o Konstituzionnije Sude Rossiskoi Fedratsii) testo in inglese reperibile a questo link: http://www.ksrf.ru/en/Info/LegalBases/FCL/Documents/Law.pdf
A. ACCORDATI, La libera manifestazione del pensiero in Russia e la storia, in DirittoConsenso, 2 marzo 2021. Link: http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/02/libera-manifestazione-del-pensiero-in-russia-storia/
G. CASAVECCHIA, L’ergastolo ostativo nella giurisprudenza CEDU, in DirittoConsenso, 28 febbraio 2020. Link: http://www.dirittoconsenso.it/2020/02/28/ergastolo-ostativo-cedu/
R. GIORLI, Il nullum crimen europeo, in DirittoConsenso, 17 febbraio 2021. Link: http://www.dirittoconsenso.it/2021/02/17/il-nullum-crimen-europeo/
[1] I riferimenti riguardano, rispettivamente, l’esecuzione della sentenza della CIG pronunciata nel caso Italia v. Germania nel 2012 e alla (complessa) vicenda nota come “saga Taricco”, originata dal rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la compatibilità con l’art. 325 del TFUE della normativa italiana in materia di prescrizione.
[2] Nella sentenza in questione, la Corte costituzionale ha statuito che: <<la Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali>>.
[3] RUUSSIAN FEDERATION FINAL OPINION ON THE AMENDMENTS TO THE FEDERAL CONSTITUTIONAL LAW ON THE CONSTITUTIONAL COURT (Adopted by the Venice Commission at its 107th Plenary Session, Venice, 10-11 June 2016), cit., p. 7 ss. www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-AD(2016)
[4] Ivi, cit., p. 5.
[5] Sent. n. 12-П/2016, par. 4.1, (traduzione non ufficiale in inglese) a proposito delle richieste della Corte Edu di differenziare il trattamento in relazione alla gravità del reato. Una soluzione di questo tipo: <<do not accord with the indicated constitutional imperative, unconditionally extending to all convicted persons serving penalty in places of deprivation of liberty under a court sentence>>.
[6] In inglese, nella versione originale del contributo, la denominazione è “community works” che si sostanziano in << (the) placement in correctional centres for community work and may be imposed for committing a small or medium gravity offence or in case of a grave offence is committed for the first time>>, G. BOGUSH – A. PADSKOCIMAITE, Case closed, but what aboute the execution of the judgement? The closure of Anchugov and Gladkov v. Russia, in European Journal of Internationl Law, 30 ottobre 2019, cit., p. 3.
[7] Ivi, cit., p. 4.
[8] Ibidem.
[9] Il testo della norma può essere letto, in inglese, a questo link: www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-REF(2016)006-e
[10] R. LUZZATTO – F. POCAR, Codice di diritto internazionale pubblico, VII ed., Giappichelli, Torino, 2016. Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969, cit.
[11] N. CHAEVA, The Russian Constitutional Court and its Actual Control over the ECtHR Judgement in Anchugov and Gladkov, in European Journal of Internationl Law, 26 aprile 2016, cit., p. 3 ss.
[12] Ibidem.
[13] COE, RUUSSIAN FEDERATION FINAL OPINION, p. 1 ss. Consultabile per intero al link: www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-AD(2016)
[14] N. CHAEVA, The Russian Constitutional Court, cit., p. 4.
[15] Corte Edu, Anchugov e Gladkov v. Russia, 4 luglio 2013, par. 104.
[16] P. PUSTORINO, Russian Constitutional Court and the execution ‘à la carte’ of ECtHR judgments, in QIL, Zoom-in 32 (2016), 5-18, cit., p. 1.

Alvise Accordati
Ciao, sono Alvise. Veneziano, classe 1996, ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Ferrara nel luglio 2021 con una tesi in Giustizia costituzionale. Materia, questa, che si colloca al vertice dei miei interessi giuridici, seguita dal diritto penale e dal diritto amministrativo. Da cattolico, inoltre, ho sempre amato indagare il rapporto tra Fede e diritto. Amo, infine, la Storia (antica e contemporanea) e le lettere classiche. Attualmente svolgo il tirocinio formativo ex art. 73, decreto legge n. 69 del 2013, presso la Corte d'appello di Venezia.