Quando i soccorritori e, in particolar modo le O.N.G., rispondono penalmente delle operazioni di salvataggio? Quando, al contrario, il soccorso in mare dei migranti non costituisce un illecito?

 

Il soccorso in mare dei migranti come illecito penale

Più attuale non potrebbe essere il tema del soccorso in mare dei migranti, fenomeno in costante incremento ed evoluzione. È, di fatti, elevatissimo il numero di migranti intercettato nel Mar Mediterraneo, e trasportato sulle coste italiane, degli ultimi anni. In questo contesto trovano rilievo, sotto il profilo penalistico, le condotte poste in essere dai soccorritori, in specie gli operatori appartenenti alle O.N.G., organizzazioni senza fini di lucro che perseguono lo scopo di salvare vite umane in mare. La portata penalistica delle operazioni di soccorso in mare dei migranti va letta attraverso l’articolo 12 del Testo Unico dell’Immigrazione (d.lgs. 286/1998[1]), secondo il quale “chiunque promuova, diriga, organizzi, finanzi o effettui il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato, ovvero compia altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso in Italia o in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona”.

Sussumibile nella norma citata è il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Si tratta di un reato comune che, in quanto tale, può essere commesso da qualunque persona; di un reato a forma libera, potendo consumarsi per mezzo di attività di varia specie; di un reato di condotta e di pericolo, perché, ai fini della sua configurazione, è sufficiente che l’autore abbia agevolato in qualche modo l’ingresso dello straniero nel territorio nazionale, prescindendo dall’effettivo conseguimento di tale evento.

Rispetto alla fattispecie base, poi, la Legge Bossi-Fini[2] ha introdotto due ipotesi aggravate:

  • è punito con la reclusione da 5 a 15 anni e con la multa di 15.000 per ogni persona, chi favorisce l’ingresso illegale di 5 o più stranieri, utilizza documenti contraffatti, trasporta lo straniero esponendolo a pericolo per la sua vita, oppure sottoponendolo a trattamento inumano o degradante
  • la pena è aumentata di un terzo e la multa è di 25.000 euro per ogni persona, per chi favorisce l’immigrazione clandestina al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento sessuale, o al fine di reclutare minori da sfruttare in attività illecite, oppure al fine di trarre profitto, anche indiretto.

 

La sussunzione dei fatti nella fattispecie base richiede grande cautela: non sempre le attività di salvataggio SAR (“of search and rescue”) in mare sono illecite, ed il discrimen va ravvisato nella previsione di legge, ovvero a dire che ogni qualvolta la legge le prevede, esse sono lecite. Sussistono, tuttavia, zone d’ombra.

 

Il soccorso obbligatorio dei migranti in mare e le fonti

Negli ultimi anni è sorta e cresciuta la diffidenza, se non la disapprovazione, nei confronti delle operazioni SAR per via del fatto che le organizzazioni criminali che trafficano migranti hanno riposto il loro affidamento sulle attività svolte dalle O.N.G., che ne rendono sicuro l’approdo sulle coste italiane: le O.N.G. favorirebbero, in tal senso, il loro piano criminoso. Si deve obiettare che difetta la volontà in capo ai soccorritori di un simile risultato, prefissandosi questi, al contrario, un obiettivo meritevolissimo, in virtù del quale non potrebbero comportarsi diversamente. Inoltre ad assolverli è l’esistenza di un obbligo di soccorso in mare dei migranti in ragione del quale la condotta di salvataggio non può essere considerata antigiuridica.

Varie sono le fonti legislative di tale obbligo:

  • gli artt. 489 e 490 del Codice della navigazione;
  • l’art. 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (che trova copertura costituzionale per il tramite degli artt. 10 e 117 Cost.);
  • l’art. 10 della Convenzione di Londra del 1989 sul salvataggio in mare;
  • la Convenzione SAR del 1974 e
  • il regolamento UE n. 656 del 2014 che hanno disciplinato anche obblighi di monitoraggio, ricerca, coordinamento delle operazioni di soccorso in mare.

 

In questi casi si deve parlare di soccorso cd obbligatorio o doveroso, di cui mai i relativi autori -le Guardie costiere, le O.N.G., i vari agenti coinvolti nelle operazioni di salvataggio- rispondono penalmente. Gli obblighi normativi, in particolare, s’attivano al ricorrere di un presupposto di fatto, il cd distress, cioè la situazione di pericolo in mare di cui si abbia conoscenza: si pensi, ad esempio, alla coscienza che il comandante della nave o il soccorritore abbia circa il precarissimo stato di galleggiabilità del mezzo di trasporto dei migranti. Dunque, nell’osservanza della normativa nazionale, europea ed internazionale, quando ricorra il presupposto di fatto indicato, l’attività di soccorso di migranti in mare è richiesta e coordinata dallo Stato: non solo è lecita ma è persino dovuta. Fuori da questi casi, invece, viene leso il bene giuridico protetto dall’art. 12 d.lgs 286/1998, che è, per l’appunto, l’interesse statale a mantenere il proprio controllo sui flussi migratori, tant’è che la norma ne condanna il fenomeno clandestino.

 

Sul dovere di soccorso

La Corte di Cassazione, con sentenza 16 gennaio 2020 n. 6626[3], ha sancito che il dovere di soccorso in mare di migranti non potrebbe dirsi adempiuto se non con lo sbarco delle persone recuperate in mare in un porto sicuro (cd place of safety). Solo in questo senso l’operazione di soccorso può dirsi compiutamente svolta e, così, discriminabile ai sensi dell’articolo 51 c.p., quella tipica causa di giustificazione consistente nell’adempimento di un dovere. Questo ultimo, in particolare, implica che sia svolto legittimamente l’esercizio del pubblico ufficio da parte dei pubblici ufficiali (quali sono le guardie costiere, i comandanti ecc.) e del pubblico servizio da parte dei soccorritori (considerati incaricati di un pubblico servizio).

Talvolta, invece, ne si può ravvisare e contestare l’abuso. Ai sensi dell’articolo 323 c.p., infatti, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio risponde dell’abuso dell’ufficio o del servizio qualora, nello svolgerlo, violi specifiche regole o espressamente previste per legge o rispetto alle quali non residuino margini di discrezionalità e, così facendo, procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale oppure arrechi ad altri un danno ingiusto. Si pensi al non ancora concluso caso della nave Asso 28[4], il primo processo in capo ad una nave italiana accusata di aver riportato, a seguito di un’operazione di soccorso, i migranti in Libia, che porto sicuro non può certo dirsi, dati i campi di detenzione lì presenti, destinati ai migranti, e le sistematiche gravissime violazioni di diritti umani di cui questi vengono fatti vittime.

È utile richiamare la risoluzione n. 1821/2011 del Consiglio d’Europa secondo la quale “la nozione di ‘luogo sicuro’ non può essere limitata alla protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali”. Ciò esclude che il “place of safety” possa essere rappresentato anche solo dalla permanenza sullo stesso mezzo di trasporto. Rilevante, e al pari connessa al soccorso doveroso, è l’ipotesi omissiva, come sempre accade quando si parla di obblighi imposti ex lege: l’art. 328 c.p. condanna il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che rifiuti di svolgere un atto attinente al proprio ufficio o servizio, da compiersi senza ritardo per ragioni di giustizia, sicurezza o ordine pubblico.

 

Alcuni punti critici

Zone d’ombra si creano quando vengono mascherate operazioni di soccorso doveroso di migranti in mare, che possono celare, in realtà, preventivi accordi tra trafficanti e membri delle O.N.G.: dunque, in apparenza un soccorso obbligatorio, in sostanza una consegna concordata. La scoperta di una situazione di pericolo in mare è di per sé incompatibile con l’esistenza di un previo accordo. Elementi indizianti in tal senso sono eventuali condotte che, sia prima sia dopo l’operazione di soccorso in senso stretto, siano poste in essere senza che il cd distress le giustifichi. Basti pensare a possibili incontri tra le O.N.G. e i trafficanti antecedenti all’intervento di soccorso in mare di migranti; o alla riconsegna da parte delle O.N.G. delle imbarcazioni utilizzate per il traffico, ad operazione di soccorso conclusa. Tali circostanze devono far propendere per l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 51 c.p., ed essere, invece, configurate come “apporti concorsuali di tipo morale e materiale alla realizzazione del reato di introduzione clandestina di stranieri nel territorio nazionale[5]. Il delitto contestabile sarebbe proprio quello di cui all’art. 12 d.lgs 286/1998. La cd scriminante umanitaria[6], configurata al comma secondo dell’art. 12 d.lgs 286/1998, secondo cui  “non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato”, esclude la punibilità del delitto di favoreggiamento con riferimento esclusivo a operazioni di soccorso “puro”, di assistenza “semplice”, non accompagnati da eventuali ulteriori condotte (pre o post intervento di soccorso in mare di migranti), di cui s’è fatto qualche accenno esemplificativo.

Bisognerà poi domandarsi se, anche in assenza di un accordo illecito, possa essere contestato un concorso quanto meno morale ai soccorritori che, ad esempio, attendano in prossimità del limite delle acque territoriali libiche l’arrivo dei barconi carichi di migranti, pur non intrattenendo rapporti diretti con i trafficanti. In una simile ipotesi, i loro propositi criminosi sono rafforzati dalla consapevole e “utile” (ai fini della consumazione del traffico clandestino) presenza delle O.N.G. tanto da potervi ravvisare un favoreggiamento in capo a queste ultime? Pare azzardato. Operazioni anche di mero monitoraggio delle frontiere marittime europee sono legittimate dalla disciplina nazionale e internazionale riguardante le operazioni SAR, e ritenute, anzi, doverose. Il sol fatto che i trafficanti facciano affidamento sul pronto intervento delle O.N.G. non basta a configurare come illecita una condotta giuridicamente conforme. E un fatto è punito come reato solo quando sia, oltre che tipico, antigiuridico: allora, si potrebbe ravvisare la tipicità nell’art. 110 c.p. (cioè il concorso dei soccorritori quali autori di una condotta causalmente rilevante rispetto a quella degli autori principali del reato, i trafficanti), ma non il carattere dell’antigiuridicità, stante la sussistenza di obblighi di monitoraggio e soccorso normativamente previsti a livello sia internazionale che nazionale.

 

Il soccorso necessitato dei migranti in mare

Zona d’ombra nella zona d’ombra è rappresentata dal dubbio che i soccorritori collusi abbiano agito in stato di necessità: è possibile ipotizzare che siano scesi a patti per prevenire, quanto più possibile, perdite di vite umane in mare. Tuttavia bisogna evidenziare che l’art. 54 c.p., ai fini della non punibilità del fatto, è applicabile solo qualora l’accordo sia stato stipulato in media res, giustificato dalla necessità imminente di salvare i migranti dal pericolo attuale di un grave danno alle loro stesse persone, e non in via preliminare all’intervento di soccorso. In particolare, il comma 3 dell’art. 54 cp, che configura come causa di giustificazione lo stato di necessità indotto dall’altrui minaccia (nella nostra ipotesi: i trafficanti minacciano la morte dei migranti per ottenere dai soccorritori la loro collaborazione), sarebbe calzante. Ma è compito dell’Autorità giudiziaria, in questi casi, vagliare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla norma in base alle circostanze del caso concreto: una condotta necessitata per assoluta assenza di alternative esigibili, e una costrizione che ha soggiogato l’autore del fatto a commetterlo. Si parlerebbe, stante le suddette condizioni, di soccorso necessitato, che non è assolutamente punibile. Altrimenti, la finalità umanitaria perseguita dai “soccorritori collusi” non è di per sè idonea a escludere la punibilità del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, potendo al più rivestire l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale di cui all’art. 62 n. 1 c.p.

In materia di soccorso necessitato, il recente orientamento della Corte di Cassazione[7] sull’ “autoria mediata” s’è fatto strada nel più ampio profilo attinente alla giurisdizione. Infatti la Corte, chiamata a valutare la sussistenza della giurisdizione italiana rispetto a condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina poste in essere in acque internazionali, ha configurato l’azione dei soccorritori come azione dell’autore mediato, operante in ossequio alle leggi del mare, in uno stato di necessità provocato e strumentalizzato dai trafficanti, dunque “a loro del tutto riconducibile e quindi sanzionabile nel nostro Stato, ancorché materialmente questi abbiano operato solo in ambito extraterritoriale[8]. La Cassazione così perviene al duplice risultato della impunità dei soccorritori e della applicabilità della legge penale ai trafficanti, nonostante il dettato letterale dell’art. 6 c.p. parrebbe non consentirlo. Ai sensi di questa norma, giurisdizione italiana sussiste solo con riferimento ai fatti commessi in tutto o in parte nel territorio dello Stato. Accollando la condotta dei soccorritori (parzialmente riconducibile all’Italia, almeno con riferimento all’operazione di sbarco) in capo ai trafficanti, in ragione della strumentalizzazione dell’intervento di soccorso loro imputabile, viene “assorbita” nell’area del penalmente sentenziabile da parte del giudice italiano il reato da questi commesso, anche se in ambito extraterritoriale.

 

In sintesi

  • le operazioni SAR previste dalla normativa internazionale, europea e nazionale, in situazioni di distress, non sono penalmente perseguibili > soccorso obbligatorio, scriminato dall’art. 51 c.p. (adempimento di dovere)
  1. nell’ambito del soccorso obbligatorio si può rispondere però a) per violazione dell’art. 323 c.p. (abuso di ufficio); b) per violazione dell’art. 328 c.p. (rifiuto ed omissione di atti d’ufficio)
  2. il soccorso obbligatorio può nascondere consegne concordate che sono perseguibili penalmente: se l’accordo è conseguenza della minaccia dei trafficanti (un “distress indotto” > stato di necessità), i soccorritori non rispondono penalmente > soccorso necessitato, scriminato dall’art. 54 co 3 c.p.
  • fuori da queste ipotesi, si risponde per il delitto di cui all’art. 12 d.lgs. 286/1998
  1. salva scriminante umanitaria (comma 2)
  2. salve ipotesi aggravate (Legge Bossi-Fini)

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