L’ambito di applicazione, le condizioni e le caratteristiche dell’elusione fiscale
L’elusione fiscale: definizione e contesto normativo
La definizione di elusione fiscale – o abuso del diritto – si trova all’articolo 10 bis, comma 1, del D.L. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), il quale prevede che “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.
Si ha dunque elusione fiscale qualora si vadano ad aggirare i principi fiscali, pur nel loro rispetto formale; infatti, in caso di operazioni elusive non si ha violazione di dette norme poiché la condotta tenuta dal soggetto è formalmente conforme a quanto previsto da queste. Ciò a cui tale condotta non è conforme è, invece, la ratio[1] delle norme. Attraverso le condotte elusive il soggetto mira ad ottenere dei vantaggi fiscali: questi, proprio perché realizzati aggirando norme fiscali, saranno vantaggi indebiti[2].
È importante, poi, distinguere l’elusione fiscale dall’evasione: quest’ultima, al contrario della prima, comporta una vera e propria violazione delle norme fiscali; nello specifico, l’evasione rappresenta il comportamento antigiuridico per eccellenza in quanto consiste nell’occultamento, da parte del contribuente, della materia imponibile, occultamento che può avvenire attraverso la semplice adozione di comportamenti omissivi o commissivi, oppure anche attraverso la realizzazione di artifici tipici della frode[3].
Oggi l’elusione fiscale è quindi oggetto di una disciplina lineare raccolta nell’articolo 10 bis dello Statuto, ma così non era in passato: infatti, si aveva una disciplina molto meno uniforme, e ciò era dovuto in particolare al fatto che coesistevano una norma specifica in tema di elusione fiscale – l’articolo 37 bis[4] del d.P.R. 600/1973, oggi abrogato – e una clausola generale antielusiva, non scritta, consistente in un generale divieto di abuso del diritto fiscale, la cui esistenza è stata postulata dalla giurisprudenza; in ciò la nostra giurisprudenza è stata sicuramente influenzata dalla Corte di Giustizia che aveva affermato il principio generale per cui i singoli non possono avvalersi, in modo fraudolento, del diritto comunitario[5]. Sul punto è poi più volte intervenuta la Cassazione, ritenendo applicabile tale principio anche alle imposte dirette[6] (nonostante le sentenze dell’UE siano generalmente vincolanti solo per le imposte armonizzate[7]); inoltre, noncurante delle forti critiche della dottrina[8], la Cassazione aveva più volte ribadito che tale clausola generale trovasse diretto fondamento nel principio di capacità contributiva[9].
Nel nostro ordinamento convivevano, quindi, da un lato la disciplina specifica dell’elusione fiscale ex articolo 37 bis del d.P.R. 600/1973, dall’altro la clausola generale applicata dalla giurisprudenza: la situazione è stata poi armonizzata grazie all’introduzione dell’articolo 10 bis dello Statuto[10].
I requisiti che qualificano un’operazione come elusiva ex articolo 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente
L’articolo 10 bis dello Statuto racchiude la disciplina dell’elusione fiscale e, al comma 1, ne detta la definizione. Da questa si evince che tre sono i requisiti che devono sussistere affinché si configuri una situazione di abuso del diritto:
- le operazioni realizzate dal soggetto devono essere prive di sostanza economica;
- ci deve essere rispetto formale delle norme fiscali;
- tali operazioni devono portare a vantaggi fiscali indebiti.
Il primo requisito viene specificato al comma 2, lett. a), che chiarisce cosa sono le operazioni prive di sostanza economica: si tratta generalmente di operazioni consistenti in atti, fatti, contratti di per sé “inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”[11]. Lo stesso comma prosegue poi specificando alcuni indici di mancanza di sostanza economica: in particolare, si fa riferimento alle ipotesi in cui non vi sia coerenza tra la qualificazione delle operazioni e il loro fondamento giuridico, ovvero qualora gli strumenti giuridici vengano utilizzati in modo non conforme alle normali logiche di mercato[12].
Il secondo requisito che deve sussistere affinché vi sia abuso del diritto è il rispetto formale delle norme fiscali: ciò implica quindi che l’operazione elusiva sia conforme alla norma ma non alla sua ratio. È proprio la mancanza di violazione della disposizione fiscale a distinguere l’elusione fiscale dall’evasione; e su questo si sofferma anche lo stesso legislatore, il quale ribadisce, al comma 12, che l’abuso del diritto può configurarsi solo se “i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie”.
Terzo ed ultimo requisito che qualifica un’operazione come elusiva è il fatto che da questa il soggetto ottenga vantaggi fiscali indebiti: a specificare quali vantaggi possano qualificarsi come indebiti subentra il comma 2, lett. b), che dispone che sono indebiti quei vantaggi che vengono realizzati “in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”; sostanzialmente, se il soggetto che realizza l’operazione ottiene vantaggi contrari ai principi tributari, detta operazione sarà elusiva.
Infine, l’ordinamento non considera elusive, come specifica il comma 3, quelle operazioni giustificate da “valide ragioni extrafiscali” con finalità di “miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente”. Si rende però necessario chiarire la portata di tale disposizione e il suo rapporto con la definizione di elusione fiscale ex commi 1 e 2: secondo la dottrina, il comma 3 consiste in nient’altro che un’ulteriore specificazione, seppur con altre parole, del concetto generale già espresso dai commi precedenti[13].
Conseguenze, sanzioni e accertamento delle operazioni elusive
La principale conseguenza delle operazioni elusive è la loro inopponibilità all’amministrazione finanziaria: all’avviso di accertamento emesso verso il contribuente, egli non può opporre di non dovere l’imposta perché la condotta che ha tenuto è diversa da quella da cui origina la pretesa fiscale. L’inopponibilità implica quindi che l’amministrazione neghi i vantaggi ottenuti attraverso l’operazione elusiva, determinando i tributi in base alle norme e ai principi elusi[14].
Ai negozi che eludono norme fiscali, poi, non si applica l’articolo 1344 c.c.[15] in quanto si ritiene che le norme imperative a cui questo fa riferimento siano solo le norme civilistiche proibitive, cioè quelle che vietano il compimento di determinati negozi, e non quelle fiscali[16]. Tale impostazione trova conferma anche nel comma 3 dell’articolo 10 bis, che dispone che “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.
Relativamente, poi, alle sanzioni previste per l’elusione fiscale, il riferimento è al comma 13 che stabilisce che “le operazioni elusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie”: la norma, se da un lato sancisce l’irrilevanza penale delle condotte elusive[17], dall’altro ha permesso di abbandonare quell’orientamento, sviluppato in passato dalla giurisprudenza, che ravvisava il reato di dichiarazione infedele nelle condotte elusive: tale orientamento oggi non è più condivisibile poiché, in relazione a tali condotte, si è verificata una vera e propria ipotesi di abolitio criminis[18]. Come aggiunge poi il comma 13, “resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative” qualora vi sia differenza tra imposta dichiarata ed imposta accertata.
L’articolo 10 bis si preoccupa anche di disciplinare l’iter di accertamento della condotta elusiva: esso stabilisce che l’avviso di accertamento con cui si accerta l’imposta elusa deve essere preceduto da una fase di interlocuzione tra contribuente e amministrazione finalizzata ad ottenere chiarimenti circa le operazioni sottoposte a controllo; solo nel caso di mancata risposta del contribuente l’amministrazione può procedere all’emanazione dell’atto impositivo. Nella redazione di tale atto, pena la nullità dello stesso, sull’amministrazione grava un preciso e ampio onere di motivazione “in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente”, come specifica il comma 8 della norma.
Da ultimo bisogna specificare che, siccome può esservi dubbio circa l’elusività di una condotta, al contribuente viene data la possibilità di rivolgersi agli uffici competenti per “conoscere se le operazioni costituiscano fattispecie di abuso del diritto”, come prevede il comma 5, disciplinando quello che è chiamato “interpello antiabuso”.
Le norme con ratio antielusiva e la loro eventuale disapplicazione
Il legislatore tributario provvede a contrastare l’elusione fiscale sia con norme di portata generale, come l’articolo 10 bis dello Statuto (quindi norme espressamente antielusive), sia con la previsione di una serie di norme implicitamente antielusive: si tratta, in quest’ultima ipotesi, di norme il cui carattere antielusivo non è esplicito, ma risiede nella ratio della norma stessa. Sono, generalmente, norme che appartengono alla disciplina sostanziale di un tributo e che rispondono alla finalità di impedire, ai contribuenti, di porre in essere pratiche elusive[19].
Alcuni esempi di norme antielusive specifiche, quindi aventi ratio antielusiva, sono:
- la norma relativa al transfer pricing [20] ai sensi dell’articolo 110, comma 7, del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi, d.P.R. 917/1986), la quale prevede che, in relazione a trasferimenti infragruppo, rileva il valore nominale e non il prezzo pattuito: è questa una regola che ha come obiettivo quello di evitare che, tra le società di uno stesso gruppo, si pattuiscano prezzi dei beni difformi dal valore nominale, al fine di eludere le imposte dovute in Italia;
- la legislazione CFC (controlled foreign companies[21]), secondo quanto previsto dall’articolo 167 TUIR, che disciplina la tassazione degli utili che derivano dalla partecipazione in società estere controllate che hanno sede in stati a fiscalità privilegiata: la legislazione CFC prevede quindi che tali utili siano tassati secondo il principio di trasparenza[22].
Le norme con ratio antielusiva sostanzialmente negano l’ottenimento di determinati benefici: per ciò, però, il legislatore prevede un correttivo consistente nella possibilità, offerta al contribuente, di chiedere la disapplicazione di una norma con ratio antielusiva.
L’articolo 1, comma 3, del d.lgs. 128/2015 dispone infatti che possono essere disapplicate “le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario”, qualora non possano verificarsi effetti elusivi; spetta infatti al contribuente, per poter ottenere la disapplicazione di una norma con ratio antielusiva, provare che tali effetti (elusivi) non possono verificarsi. La ratio antielusiva di una norma, quindi, è di per sé giuridicamente rilevante per poter ottenere la disapplicazione della stessa.
Informazioni
Cass. 3 settembre 2001, n. 11351
Cass. 26 ottobre 2005, n. 20816
Cass. 29 settembre 2006, n. 21221
Cass. 23 dicembre 2008, n. 30055
Cass. penale 7 ottobre 2015, n. 40272
Abuso del diritto (diritto tributario), di I. Caraccioli, in Enciclopedia del diritto, Annali X, 2017
F. Tesauro, Divieto comunitario di abuso del diritto (fiscale) e vincolo da giudicato esterno incompatibile con il diritto comunitario, in Giur. it., 2008
F. Tesauro, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, in Diritto e pratica tributaria, 2012
F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, XIV ed., 2020
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62002CJ0255
https://temi.camera.it/leg17/post/app_labuso_del_diritto
http://www.dirittoconsenso.it/2021/01/28/transfer-pricing
https://www.treccani.it/enciclopedia/armonizzazione-fiscale
https://www.treccani.it/enciclopedia/evasione
https://www.treccani.it/enciclopedia/trasparenza-dir-trib_(Diritto-on-line)/
[1] Il termine ratio deriva dal latino ed è l’abbreviazione dell’espressione “ratio legis” che, letteralmente, significa “ragione della legge”: nel linguaggio giuridico viene spesso usata per indicare il criterio ispiratore, l’intenzione che sta alla base di una determinata norma.
[2] F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, XIV ed., 2020.
[3] Si veda sul punto la voce “Evasione”, in Enciclopedia Treccani Online (https://www.treccani.it/enciclopedia/evasione).
[4] Tale articolo disponeva che “Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario, e a ottenere riduzioni d’imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.
[5] Il leading case di riferimento è la sentenza Halifax (Corte di giustizia CE, causa C-255/02 del 21.02.2006 – https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62002CJ0255).
[6] Cass. 29 settembre 2006, n. 21221. Sono imposte dirette quelle che colpiscono manifestazioni dirette di capacità contributiva, quali il reddito o il patrimonio del soggetto.
[7] In via generale, si definisce “armonizzazione fiscale” quel procedimento attraverso il quale si cerca di rendere tra loro conformi le discipline di diversi tributi comuni agli stati europei, così da eliminare diverse interpretazioni di origine fiscale che potrebbero ostacolare la libera concorrenza nel mercato unico (https://www.treccani.it/enciclopedia/armonizzazione-fiscale).
[8] Nello specifico, si veda la critica di F. Tesauro, Divieto comunitario di abuso del diritto (fiscale) e vincolo da giudicato esterno incompatibile con il diritto comunitario, in Giur. it., 2008, p. 1025 ss.
[9] Cass. 23 dicembre 2008, n. 30055.
[10] Si è quindi reso necessario un riordino, al quale ha provveduto l’articolo 5 della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, che ha previsto una generale disciplina dell’abuso del diritto in materia fiscale e ha quindi appoggiato l’orientamento giurisprudenziale, anche tenendo conto della Raccomandazione della Commissione Europea relativa al tema della pianificazione fiscale aggressiva (Raccomandazione n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012). La legge delega
n. 23/2014 è stata poi attuata attraverso il d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che ha introdotto l’articolo 10 bis nello Statuto.
[11] Un esempio di operazione priva di sostanza economica potrebbe essere la costituzione, in un paradiso fiscale, di una società che non svolge alcun tipo di attività, al solo scopo di avere partecipazioni i cui proventi non siano tassati oppure lo siano ma in misura blanda.
[12] F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, XIV ed., 2020.
[13] Ci si rifà, quindi, alla definizione generale di abuso del diritto, in base alla quale non può aversi elusione qualora i vantaggi fiscali ottenuti dall’operazione non siano indebiti e, comunque, non costituiscano gli effetti essenziali dell’operazione posta in essere. Sul punto si veda la voce “Abuso del diritto (diritto tributario)” di I. Caraccioli, in Enciclopedia del diritto, Annali X, 2017.
[14] https://temi.camera.it/leg17/post/app_labuso_del_diritto.
[15] Il quale prevede che è nullo, per illiceità della causa, quel contratto che “costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”.
[16] Si vedano sul punto anche alcune pronunce della Cassazione: Cass. 3 settembre 2001, n. 11351; Cass. 26 ottobre 2005, n. 20816.
[17] In tema di irrilevanza penale delle condotte abusive, si veda in giurisprudenza: Cass. penale 7 ottobre 2015, n. 40272, nella quale si afferma che si devono “ritenere non più penalmente rilevanti le condotte fiscalmente elusive integranti mero abuso del diritto”.
[18] L’espressione latina abolitio criminis letteralmente significa “abolizione di un crimine” e sta ad indicare, in via generale, l’abrogazione di una fattispecie di reato ad opera del legislatore.
[19] F. Tesauro, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, in Diritto e pratica tributaria, 2012.
[20] Per un’analisi dettagliata della disciplina in materia di transfer pricing si rinvia ad un articolo di DirittoConsenso, intitolato “Transfer pricing”, scritto da S. Micoli – http://www.dirittoconsenso.it/2021/01/28/transfer-pricing.
[21] Tale espressione significa “società estere controllate”, come poi afferma la disciplina; la legislazione CFC è di per sé uno strumento utilizzato dagli ordinamenti UE al fine di evitare possibili fattispecie di elusione fiscale.
[22] Per una spiegazione dettagliata del principio di trasparenza si rinvia a: https://www.treccani.it/enciclopedia/trasparenza-dir-trib_(Diritto-on-line)/.

Virginia Schlegel
Ciao, sono Virginia. Dopo la maturità scientifica mi sono iscritta alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dove a marzo 2021 mi sono laureata con una tesi in diritto tributario intitolata “La solidarietà tributaria”. Al momento mi piacerebbe iniziare la pratica forense, nello specifico in ambito tributario, per poter poi sostenere l’esame di stato e diventare avvocato. Oltre al diritto tributario nazionale e internazionale, nutro particolare interesse anche per il diritto processuale civile e il diritto dell’arbitrato. Mi reputo una persona molto determinata e motivata, sempre pronta a mettermi in gioco.