La Commissione Europea ha recentemente precisato cosa debba intendersi per danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea

 

Il danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea: la direttiva 2004/35/CE

Risale al 2004 la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (2004/35/CE), la c.d. direttiva Responsabilità ambientale[1].

Il principio ispiratore di tale regolamentazione è “chi inquina paga” secondo il quale il responsabile dell’inquinamento sarà dovuto alla riparazione del danno. Si tratta, più in generale, di uno dei principi più importanti del diritto ambientale anche su scala internazionale[2], ed è per questo che esso ispira l’azione dell’Unione Europea non soltanto con riferimento a questa direttiva, ma nei vari aspetti della questione ambientale.

Prima di tutto, è utile comprendere i tratti salienti della direttiva, che ha introdotto il concetto di danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea. Oltre al già citato principio del “chi inquina paga”, la direttiva obbliga quanti svolgono attività che costituiscono una minaccia imminente per l’ambiente (definita come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno ambientale in un futuro prossimo) a prendere misure preventive. La direttiva assegna alle autorità competenti (cioè gli enti pubblici designati dallo Stato membro) il ruolo di “custodi” dell’ambiente.

La direttiva impone la responsabilità soltanto se l’attività dell’operatore ha provocato il danno ambientale oggetto di indagine. Provare la responsabilità di un singolo operatore che provoca un episodio di inquinamento accidentale da fonte puntuale può essere relativamente semplice; la direttiva si applica tuttavia anche al danno provocato da inquinamento di carattere diffuso e generale purché possa essere stabilito un nesso di causalità. La direttiva si applica inoltre a una pluralità di operatori che concorrono congiuntamente a provocare un singolo incidente o un danno ambientale persistente.

La direttiva distingue fra due tipi di operatori:

  • quelli che svolgono attività professionali pericolose e
  • quelli che svolgono tutte le altre attività professionali.

 

Agli operatori che svolgono le attività pericolose (indicate dalla direttiva) si applica una disciplina di responsabilità oggettiva. Ciò significa che non occorre stabilire la colpa perché l’operatore sia ritenuto pienamente responsabile dei danni al terreno, alle acque, nonché alle specie e agli habitat protetti. A tutti gli altri si applica una disciplina di responsabilità per colpa (dunque occorre stabilire la colpa o la negligenza dell’operatore perché sia ritenuto responsabile) che vale soltanto per i danni arrecati a specie e habitat naturali protetti.

 

Le linee guida della Commissione

L’articolo 2 della direttiva si preoccupa di dare le definizioni dei vari termini impiegati, specificando in particolare cosa debba intendersi per danno e per danno ambientale.

Nonostante questo dimostri l’attenzione per la chiarezza del testo, recentemente la Commissione ha pubblicato una comunicazione (2021/C118/01)[3] recante Linee guida per un’interpretazione comune del termine “danno ambientale”. Si tratta infatti di una nozione fondamentale per l’applicazione della direttiva ma, come la stessa Commissione ha rilevato, mancava di uniformità nella pratica.

Ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della direttiva, i quattro concetti fondamentali presenti nella definizione di “danno” sono:

  • l’ambito di applicazione materiale dell’oggetto del “danno” vale a dire le risorse naturali e i servizi di una risorsa naturale. Le risorse naturali contemplate dalla direttiva sono tre: le specie e gli habitat naturali protetti, le acque e il terreno; per servizi di una risorsa naturale si intende tutto ciò che è legato all’utilizzo di queste tre componenti;
  • il concetto di effetto negativo, ossia mutamenti negativi e deterioramenti;
  • la portata di tali effetti negativi, ossia quelli che sono misurabili. Questa precisazione rimanda all’idea che i danni devono comunque raggiungere un certo grado di gravità, per permettere una comparazione tra la situazione antecedente e quella successiva;
  • i modi in cui si verificano tali effetti negativi, ossia direttamente o indirettamente. È importante perché la materia ambientale è complessa, e perciò spesso non troviamo un immediato collegamento tra l’azione dannosa e le sue conseguenze.

 

La nozione di danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea è complementare a quella di danno, nel senso che la ingloba necessariamente e la circoscrive. In estrema sintesi, il danno ambientale è il danno alle specie e agli habitat naturali protetti, il danno alle acque e il danno al terreno.

Per determinare la rilevanza degli effetti negativi per le tre categorie di risorse naturali la definizione di «danno ambientale» si basa su un concetto di riferimento: per le specie e gli habitat naturali protetti, il concetto di riferimento è il loro stato di conservazione favorevole; per le acque è lo stato ecologico, chimico o quantitativo o il potenziale ecologico delle acque ai sensi della direttiva quadro Acque e lo stato ecologico delle acque marine ai sensi della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, che hanno portate differenti; per quanto riguarda il terreno il concetto di riferimento è il rischio per la salute umana. Tali concetti di riferimento servono a fornire parametri e criteri sulla cui base è possibile esaminare la rilevanza degli effetti negativi.

La Commissione, infatti, spiega che un elemento cruciale nell’architettura della direttiva è la valutazione dell’entità del danno. Per questo motivo, è precisato più volte che gli effetti negativi devono essere significativi.

Nella pratica, questo si traduce nel considerare diversi elementi che concorrono a chiarire tale significatività. Per esempio, vi possono essere da un lato delle attività professionali pericolose in sé che presentano difficoltà per il loro normale funzionamento e dall’altro degli incidenti occasionali: le variabili da prendere in considerazione saranno diverse nei vari casi.

A seconda dell’entità e del fattore temporale, poi, bisognerà valutare la possibilità di attuare misure di prevenzione, di gestione immediata del danno e/o di riparazione.

 

Le tre categorie di danno ambientale

Passando alle tipologie di danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea, la direttiva distingue:

  1. danno alle specie e agli habitat naturali protetti. La definizione è strettamente legata alle disposizioni della direttiva Uccelli (n. 79/409/CEE, poi sostituita dalla direttiva 2009/147/CE[4] del Parlamento europeo e del Consiglio) e della direttiva Habitat (Direttiva n. 92/43/CEE[5]), indicate congiuntamente come “direttive Natura”. Esse hanno molto in comune con la direttiva Responsabilità ambientale, infatti – come specificato nel considerando 5 della direttiva Responsabilità ambientale – quando un concetto è desunto da altra legislazione pertinente dell’Unione è opportuno utilizzare la stessa definizione, affinché possano essere applicati criteri comuni e possa essere incentivata un’applicazione omogenea della legislazione. Non mancano però le differenze, che le Linee guida vogliono evidenziare con particolare riguardo all’ambito di applicazione (materiale e geografico) delle specie e degli habitat naturali protetti contemplati, al concetto di riferimento per gli effetti negativi (e cioè, come visto, lo stato di conservazione favorevole), alla valutazione dell’entità e infine alle eventuali esclusioni;
  2. danno alle acque. In termini di ambito di applicazione materiale, il concetto di «danno alle acque» si riferisce a due categorie principali di acque: le acque interessate ai sensi della direttiva quadro Acque (n. 2000/60/CE[6]) e le acque marine che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino (n. 2008/56/CE[7]). Le Linee guida esaminano queste due categorie separatamente;
  3. la definizione di danno al terreno è più diretta rispetto alle due appena esaminate. Al contrario di queste ultime, essa non contiene riferimenti espliciti ad altra legislazione ambientale dell’Unione, nessun riferimento trasversale a ulteriori definizioni relative al suo ambito di applicazione e nessuna esclusione specifica ai sensi di altra legislazione. Vi sono pertanto meno elementi da tenere in considerazione ai fini di un’interpretazione comune, il che la rende più agevole. È interessante notare però che la definizione si limita al “rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana”. La Commissione rileva inoltre che alcuni Stati membri applicano una definizione più ampia, che comprende ad esempio un rischio per l’ambiente o un rischio di violazione dei valori limite per taluni inquinanti. In tali casi, gli Stati membri interessati possono mantenere la loro legislazione sul terreno più rigorosa ma devono almeno soddisfare anche i requisiti della direttiva in riferimento al danno al terreno (è appena il caso di ricordare, infatti, che gli Stati membri godono di una certa flessibilità nella ricezione delle direttive nei loro diritti interni, purché raggiungano il risultato richiesto dalla disciplina europea).

 

Conclusioni

Dato che l’obiettivo delle Linee guida è quello di dare un’interpretazione comune della nozione di danno ambientale nel diritto dell’Unione Europea, la Commissione conclude con il ricordare l’importanza di una cooperazione efficace tra le agenzie competenti nei vari Stati membri, nonché tra le varie autorità interne di uno Stato, vista la complessità e l’interdisciplinarietà delle conoscenze necessarie per comprendere gli effetti negativi dei danni ambientali.

La Commissione invita inoltre all’apprendimento e all’utilizzo dei “materiali formativi”, cioè degli sviluppi in materia conseguenti alle pronunce della Corte di giustizia.

In conclusione, sarà il tempo a dirci se le Linee guida abbiano realmente raggiunto lo scopo di rendere più chiara la disciplina.