Il quadro statistico e giuridico delle “morti bianche” durante l’emergenza sanitaria del 2020-21

 

Premessa sulle morti bianche

Nel linguaggio giornalistico esistono diversi modi per definire gli incidenti mortali sul lavoro, il più noto è sicuramente quello delle “morti bianche”, dove l’aggettivo “bianco” indica l’assenza di una “mano responsabile” in modo diretto.

Anche la locuzione “omicidio del lavoro” è utilizzata frequentemente, così come l’impiego del termine “strage”.

Al dì là della terminologia d’effetto che si può utilizzare per descrivere il fenomeno, ciò che vi è alla base è il verificarsi di un infortunio mortale sui luoghi di lavoro.

Negli ultimi mesi le sezioni di cronaca degli organi di stampa riportano, con cadenza quasi settimanale, i decessi avvenuti durante lo svolgimento delle attività lavorative. Si tratta di casi tragicamente noti: dalla giovanissima operaia (poco più che ventenne) di Prato, morta stritolata da un macchinario, ai due lavoratori cuneesi asfissiati in una cisterna. O, ancora, all’incidente in itinere in cui sono periti cinque operai di ritorno dal ritorno dal cantiere.

 

Le morti bianche tra il 2020 e l’inizio del 2021: analisi del fenomeno nel periodo emergenziale

In base ai dati relativi al 2020, raccolti dall’INAIL, il periodo dell’emergenza sanitaria per la diffusione del Covid-19 è particolarmente gravoso per le morti bianche. Le denunce di infortuni sul lavoro pervenute all’Istituto, infatti, sono state 554.340, delle quali 1.270 con esito mortale, oltre a 13 incidenti plurimi per un totale di 27 decessi[1].

L’analisi dei dati ha rilevato un incremento dei decessi sul lavoro (+16.6%) rispetto al 2019, anno in cui in novero dei deceduti sul lavoro ammontava a 1.089. I 181 casi in più hanno risentito dell’impatto che il virus ha avuto sulla popolazione: le morti di lavoratori causate dal Covid sono state, da inizio pandemia a fine marzo, 551. Facendo un rapido calcolo si evince come esse rappresentino un terzo del totale dei decessi sul lavoro[2].

 

Area geografica, genere e cittadinanza comunitaria o extracomunitaria: le variabili

I dati possono essere aggregati in base a tre variabili significative: area geografica, genere, cittadinanza comunitaria o extracomunitaria.

A livello territoriale le denunce di infortunio con esito mortale sono così articolate:

  • meno nove casi mortali nel Nord-Est (da 251 a 242) e di due al Centro (da 217 a 215);
  • più 136 decessi (da 289 a 425) nel Nord-Ovest, sul quale ha pesantemente inciso il numero della Lombardia (+85);
  • più 50 casi (da 233 a 283) al Sud, 31 dei quali avvenuti in Campania, e le Isole di sei casi (da 99 a 105)[3].

 

Per quanto riguarda il genere, invece, si ravvisa una crescita prevalentemente della componente maschile (+137). Per le donne i casi sono saliti a 44 in più[4].

Infine, in merito alla cittadinanza dei deceduti:

  • per gli italiani si è passati da 884 a 1.080;
  • per i cittadini extracomunitari da 144 a 129;
  • per gli altri cittadini comunitari il dato è invariato (61)[5].

 

Le morti bianche in itinere: di cosa si tratta?

Un altro elemento significativo ricavabile dalle statistiche INAIL del 2020 è una ragguardevole attenuazione delle morti bianche in itinere: da 306 nel 2019 a 214 (-30,1%)[6]. Le cause alla base di questa tendenza al ribasso, probabilmente, sono riconducibili alla minore circolazione stradale durante il periodo emergenziale, oppure al blocco di attività produttive maggiormente esposte al rischio derivante dall’utilizzo di mezzi di trasporto.

Nel primo semestre del 2021 la situazione relativa agli incidenti mortali sul lavoro non è migliorata, rispetto al quadro statistico del 2020: tra gennaio e marzo, infatti, sono pervenute all’INAIL 185 denunce per incidenti mortali, ossia 19 in più delle 166 avvenute nel 2020 (+11,4%). Si parla, in termini più semplici, di oltre due decessi di lavoratori al giorno[7].

Per contrastare il trend negativo sopra descritto è stata inserita, nel c.d. “Decreto sostegni bis del 2021”, una previsione normativa per gli interventi urgenti sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. L’articolo 50 prevede il potenziamento della prevenzione e dell’erogazione dei servizi, tramite il reclutamento straordinario di dirigenti medici e personale tecnico[8].

 

La responsabilità penale dei datori di lavoro tra dolo e colpa

Nel nostro ordinamento la responsabilità del datore di lavoro per la tutela contro gli infortuni sul lavoro – quindi anche delle morti bianche – si fonda su una serie di previsioni costituzionali:

  • la tutela della salute nei luoghi di lavoro (ex 32 Costituzione),
  • la tutela del lavoro sancita all’art. 35 Cost.,
  • la tutela del lavoratore in caso di infortunio o malattia prevista dall’art. 38 Cost.;
  • infine l’iniziativa economica privata che non deve arrecare, nel corso del suo svolgimento, danni alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana (ex 41 Cost.).

 

Per attuare tali principi consacrati nella Carta Costituzionale, il Legislatore nazionale ha previsto tre tipi di responsabilità che possono essere attribuite al datore di lavoro: la responsabilità civile, penale ed amministrativa.

Ai fini della disamina delle morti bianche è considerevole la responsabilità penale, fondata su fattispecie incriminatrici volte a sanzionare sia condotte colpose che dolose.

In massima sintesi, e senza alcuna pretesa di completezza, occorre precisare che: «Il delitto doloso costituisce il modello fondamentale di illecito penale, dal momento che il dolo rappresenta il normale criterio di imputazione soggettiva: lo so desume in via generale dalla prima parte dell’art. 42, comma 2 del codice penale, ove è stabilito che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non l’ha commesso con dolo (salvo i casi di delitto preterintenzionale e colposi ndr)»[9].

Ciò che contraddistingue strutturalmente il dolo è la presenza di due componenti psicologiche: la rappresentazione o coscienza della previsione, e la volontà. Secondo Giovanni Fiandaca e Enzo Musco, infatti, si tratta di due categorie distinte concettualmente, ma poste in una condizione di rapporto reciproco. Gli Autori specificano che: «Una volontà non accompagnata dall’elemento intellettivo finirebbe con l’essere cieca (nihil volitum nisi praecognitum)»[10].

Tale concezione del dolo trova applicazione nel nostro ordinamento, con la definizione legislativa dell’elemento psicologico del reato che statuisce quanto segue: «È doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione (art. 43 c.p. c.1)».

La nozione di dolo è caratterizzata dalla presenza di: previsione o rappresentazione e volontà del soggetto agente, nei confronti dell’evento dannoso o pericoloso[11].

D’altro canto, la colpa è l’atteggiamento soggettivo di chi, invece, non ha volontà di azione, omissione  e conseguente evento, e talora nemmeno consapevolezza di essi, ma agisce (od omette) e causa l’evento in ragione di un atteggiamento – non deliberato ma – di negligenza, imprudenza o imperizia (c.d. “colpa generica”) o di violazione di leggi regolamenti ordini o discipline (c.d “colpa specifica”, configurabile quindi per la infrazione di regole giuridiche di qualsiasi rango, e, a determinate condizioni, anche di regole di natura esclusivamente tecnica).

La definizione normativa ex art. 43 c. 3 sancisce che: «È colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline».

Sempre secondo Fiandaca e Musco: «Dal punto di vista psicologico la colpa presuppone, innanzitutto, l’assenza della volontà diretta a commettere il fatto: la realizzazione della fattispecie colposa deve essere non voluta»[12].

La colpa quindi presuppone l’assenza, nell’agente, di volontarietà della condotta – commissiva o omissiva –  e della causazione dell’evento, ma è compatibile con la consapevolezza della prima e la previsione (rappresentazione) del secondo, a condizione che l’agente abbia avuto la convinzione (per un errore determinato da colpa) che l’evento non si sarebbe verificato (c.d. “colpa cosciente”); tale convinzione è il diaframma (talora oltremodo sottile e problematico, come dirò) che distingue la colpa cosciente dal c.d. “dolo eventuale”, nel quale alla volontà della condotta si accompagna la conoscenza del verificarsi dell’evento quale conseguenza di questa, e la consapevole accettazione del rischio che esso effettivamente avvenga (senza la intenzionale e diretta volizione di esso, che caratterizza il dolo, appunto, intenzionale o diretto).

In sintesi la colpa non è nulla di più di una manifestazione di negligenza nel comportamento e priva di volontà.

In base a queste considerazioni al datore di lavoro che intenzionalmente agisce violando una norma – provocando il decesso del lavoratore –  è in linea di principio addebitata una responsabilità, appunto dolosa, più grave rispetto a quella prevista per le fattispecie colpose.

In fondo, se un soggetto preposto alla protezione ed alla sicurezza dei lavoratori compie azioni antisociali, le compie come agente tenuto a conoscere la legge che infrange.

Simili considerazioni aprirebbero lo spazio per valutazioni relative all’oggetto del dolo e della colpa, specie sotto il profilo della consapevolezza, che tuttavia esulano dalla trattazione, ai fini della quale, per completare la premessa, ci si può limitare a ricordare che la consapevolezza dell’antigiuridicità dell’azione o dell’omissione (cioè dell’esistenza di una disposizione che la vieta o che commina una pena per la relativa violazione) non è generalmente ritenuta componente essenziale dell’elemento soggettivo del reato, il quale non investe elementi normativi.

 

Conclusioni

Per arginare il grave problema delle morti bianche occorre investire maggiormente su tre aspetti: la prevenzione, la valutazione dei rischi ed i controlli. In poche parole sarebbe sufficiente un’applicazione rigorosa, da parte dei datori di lavoro e degli organi preposti alla vigilanza, della normativa antinfortunistica contenuta nel D.lgs. 81/2008, oltre alle Direttive europee in materia e – non dimentichiamo – la Costituzione.

Se il primo articolo della Carta Costituzionale individua nel lavoro le fondamenta della Repubblica, non è giustificabile alcun pressapochismo sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori. In realtà non lo sarebbe nemmeno in assenza di suddetto principio, ma poiché i Costituenti hanno voluto consacrarlo – tra l’altro nei primi 12 fondamentali ed immodificabili articoli[13] – occorre garantirne una maggiore ottemperanza.

Informazioni

Inserisci qui la bibliografia

[1] Fonte INAIL, Open data mensili, infortuni sul lavoro nell’anno della pandemia, infortuni mortali sul lavoro: i dati del 2020 influenzati dal Covid-19, le malattie professionali del 2020, NR. 1 gennaio 2021, www.inail.it .

[2] C. Casadei, Nel 2021 oltre due decessi sul lavoro al giorno. Da inizio pandemia, un terzo delle morti bianche dovute al Covid, www.ilsole24ore.com , 05/05/2021.

[3] Fonte INAIL, cit.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] C. Casadei, cit..

[7] Ibidem.

[8] Decreto Legge 25 maggio 2021, n 73, pubblicato in Gazzetta Ufficiale numero 123 del 25/05/2021.

[9] G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale. Parte generale, ed. 2010, Bologna, Zanichelli Editore.

[10] Ibidem.

[11] Nel corso del tempo si sono succedute diverse teorie sulla volontà e rappresentazione nel dolo. Tra le tante, riposto la contrapposizione tra la “teoria della rappresentazione” e la “teoria della volontà”.

Nella prima la volontà e la la rappresentazione o previsione sono fenomeni psichici distinti: la volontà può avere ad oggetto solo il movimento corporeo dell’uomo (ad esempio l’atto fisico del premere il grilletto di una pistola per uccidere), mentre l’evento che modifica il mondo esterno è originato dalla condotta e non dalla volontà (ad esempio l’evento morte).

La seconda teoria, invece, privilegia l’elemento volitivo del dolo estendendo l’oggetto della volontà anche ai risultati della condotta. La rappresentazione, invece, è ritenuta come una sorta di presupposto implicito della volontà. Come a dire che il solo presupposto della rappresentazione non è sufficiente, occorre agire e volere i risultati dell’azione. La volontà, quindi, comprende sia il movimento muscolare sia l’evento provocato.

Fiandaca e Musco propongono di superare questa contrapposizione teorica, poiché secondo la dottrina prevalente (la c.d. “teoria intermedia”) il dolo comprende: l’intenzione, la rappresentazione e la volontà. Ed è un approccio conforme all’art 43 c.1., che parla di “evento preveduto e voluto”. In conclusione, il dolo nel nostro ordinamento comprende: il momento della previsione o rappresentazione ed il momento della volizione (o volontà).

(Fonti: Ibidem; Voce: Il dolo, AltalexPedia).

[12] Ibidem.

[13] G. De Lucia, I diritti costituzionali. I diritti costituzionali sono il nucleo centrale del nostro Stato di diritto, garanti della nostra persona e libertà, www.dirittoconsenso.it, 20/07/2020.