Attraverso diverse disposizioni, in particolare gli articoli 2, 8 e 10, si è affermata una giurisprudenza ambientale della CEDU

 

Lo sviluppo della giurisprudenza ambientale della CEDU

La Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali rappresenta lo strumento giuridico di riferimento per la protezione di numerosi diritti, spesso ribaditi anche in sede di “piccola Europa” (cioè l’Unione Europea) e negli ordinamenti nazionali[1]. Sorprendentemente, però, manca una disposizione specifica che tuteli l’ambiente (o, più precisamente, in una prospettiva antropocentrica, il diritto dell’uomo a vivere in un ambiente sano). Nonostante le discussioni in tal senso e l’attenzione dimostrata sia dai policy-makers che dalla società civile, l’unico documento che ha visto la luce è il c.d. “Manuale sui diritti dell’uomo e l’ambiente[2]. In questa guida possiamo trovare appunto la giurisprudenza ambientale della CEDU, ma non è un testo vincolante.

Tuttavia, la Corte europea dei diritti dell’uomo (organo giurisdizionale del Consiglio d’Europa) ha comunque manifestato una certa sensibilità sul tema, allargando – ove possibile – la protezione offerta da altri articoli anche a situazioni in cui si presentavano questioni ambientali e sviluppando così una vera e propria giurisprudenza ambientale della CEDU.

Questa tecnica incontra inevitabilmente un limite: la necessaria correlazione con un diritto sancito dalla Convenzione. Si parla anche di protezione di riflesso[3].

La Corte intende interpretare la Convenzione alla luce della società attuale e delle condizioni di vita odierne. Nel caso Kukkola contro Finlandia[4], troviamo il riconoscimento da parte della Corte del fatto che “la società di oggi è sempre più preoccupata per la protezione dell’ambiente“. In Hamer contro Belgio[5] nel 2007 la Corte mette in evidenza la necessità di preservare l’ambiente, sostenendo che “l’ambiente è un valore la cui difesa suscita nell’opinione pubblica e di conseguenza presso i poteri pubblici un interesse costante e sostenuto; gli imperativi economici e anche alcuni diritti fondamentali come il diritto alla proprietà non dovrebbero essere prioritari rispetto alle considerazioni relative alla protezione dell’ambiente, in particolare quando lo Stato ha legiferato in questo settore”.

L’ultimo esempio che possiamo dare in questo campo è il famoso caso Prestige (Mangouras contro Spagna[6]) del 2010, dove viene affermato che “la Corte non può ignorare la crescente e legittima preoccupazione che esiste sia a livello europeo che internazionale nei confronti del crimine ambientale“.

 

L’utilizzo dell’articolo 2 (diritto alla vita)

Il primo diritto utilizzato in questo senso è il diritto alla vita: nel caso Öneryildiz contro Turchia[7] del 2004 la Corte ha riconosciuto l’impatto delle attività industriali che sono pericolose per natura, e ha stabilito che il semplice fatto di esporre gli individui a pericoli è sufficiente per considerare che il loro diritto alla vita sia minacciato, senza che ci sia stata necessariamente una violazione effettiva. La Corte ritiene che ci sia un obbligo positivo per gli Stati di proteggere la vita e anche l’integrità fisica. In altre parole, la morte non è una condizione dell’inadempienza dello Stato, e questo obbligo positivo di proteggere la vita, di fare tutto il possibile per proteggere la vita, può avere un’eco nelle questioni ambientali attraverso l’obbligo di prevenire i danni all’ambiente e di fornire informazioni sulle minacce che possono esistere.

Ci sono stati altri casi con riferimento all’articolo 2, per esempio casi legati all’assenza di politiche di pianificazione territoriale e alla mancata fornitura di assistenza di emergenza in una zona a rischio. C’è una difficoltà in materia ambientale, sempre sull’articolo 2, riguardante la questione del nesso di causalità: nel caso turco non vi era difficoltà a stabilire il nesso di causalità, ma a volte può essere più problematico, soprattutto quando c’è incertezza scientifica (molti danni hanno inoltre natura multifattoriale).

 

L’utilizzo dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare)

Il secondo articolo utilizzato (e probabilmente il più utilizzato nella costruzione della giurisprudenza ambientale della CEDU) è l’articolo 8, la protezione della vita privata. L’articolo 8 protegge la vita privata e familiare, il domicilio e la corrispondenza.

Nel 1994, nel caso Lopez Ostra contro Spagna[8], per la prima volta la Corte usa l’articolo 8 per garantire il diritto all’ambiente. La ricorrente si lamentava del fastidio dovuto all’installazione di un impianto di trattamento delle acque e dei rifiuti vicino alla sua abitazione. La Corte considera che un disturbo grave è un’interferenza con la vita privata e che è suscettibile di violare l’articolo 8 pur non mettendo la salute in grave pericolo.

Ma, ancora una volta, ci sono dei limiti: le violazioni devono essere collegate a un diritto garantito dalla Convenzione, e nel caso Kyrtatos contro Grecia[9] la Corte dirà che la Convenzione non garantisce una protezione generale dell’ambiente: se non si può collegare il danno ambientale alla vita privata o familiare di una persona o al suo domicilio, la Corte sarà impossibilitata ad agire.

La Corte inoltre effettua un controllo di proporzionalità, richiedendo un danno ambientale di una gravità minima (come stabilito nel caso Fadeïeva contro Russia[10] del 2005), quindi fa un bilanciamento di interessi. Questo è l’aspetto materiale del controllo, ma la Corte controlla anche la proporzionalità del processo decisionale: la Corte si assicurerà che i migliori processi decisionali siano stati messi in atto per valutare l’impatto delle attività sull’ambiente e per stabilire un giusto equilibrio degli interessi in gioco.

Per concludere sull’articolo 8, esso permette anche il riconoscimento di un diritto all’informazione ambientale. La Corte lo ha affermato in particolare nel caso Maria Guerra e altri 39 contro Italia[11] del 1998: vi è un diritto del pubblico ad essere informato dei rischi gravi per la salute.

 

L’utilizzo dell’articolo 10 (libertà di espressione)

Tra gli altri diritti che possono entrare in gioco per la protezione del diritto a un ambiente sano possiamo menzionare la libertà di espressione in materia ambientale. Essa deve essere garantita e quindi la giurisprudenza ambientale della CEDU passa anche attraverso l’articolo 10, perché la Corte considera l’ambiente un tema di interesse generale: deve esservi la libertà di esprimersi su di esso.

La questione è stata sollevata in diversi casi. In particolare, abbiamo casi in cui associazioni per la protezione dell’ambiente si sono espresse in modi diversi e poi sono state attaccate, in particolare per diffamazione, ed è quindi in queste occasioni che il caso può arrivare davanti alla Corte europea.

Il primo caso che riguarda la libertà di espressione è Vides Aizsardzibas Klubs contro Lettonia[12] del 2004: si trattava della pubblicazione su un quotidiano regionale di una risoluzione dell’assemblea di questa associazione, in cui si denunciavano le attività irresponsabili e illegali delle autorità di un comune. L’associazione fu citata in giudizio per diffamazione e la Corte considerò che la causa per diffamazione dell’associazione non era necessaria in una società democratica, e ritenne che ci fosse stata una violazione dell’articolo 10, e quindi una violazione della libertà di espressione.

Nel caso Steel e Morris c. Regno Unito[13] del 2005 abbiamo nuovamente una condanna per diffamazione di un gruppo di attivisti ambientali che aveva preparato e distribuito un volantino che attaccava una multinazionale. La Corte ha ritenuto che il risarcimento del danno a cui erano stati condannati gli attivisti fosse sproporzionato rispetto ai loro redditi modesti. Da ultimo, citiamo il caso di Noël Mamère contro Francia[14] del 2006: il giornalista Noël Mamère aveva fatto dei commenti in un programma televisivo sul modo in cui alcune autorità francesi avevano gestito il disastro di Chernobyl a metà degli anni ’80 e per questo era stato perseguito. La Corte ha ritenuto ancora una volta che ci fosse una violazione della libertà di espressione: la protezione dell’ambiente e della salute pubblica sono questioni di interesse generale e bisogna potersi esprimere su questi temi senza essere minacciati di essere perseguiti.

 

Conclusioni

In conclusione, possiamo citare il caso Duarte Agostinho et altri contro 33 Stati, introdotto davanti la Corte lo scorso settembre. A prescindere dall’esito, il caso è destinato a sfociare in una pronuncia unica nella storia della Corte. Il ricorso è stato introdotto da giovanissimi cittadini portoghesi che lamentano una violazione degli articoli 2, 8 e 14 (divieto di discriminazione) della CEDU in ragione degli effetti nocivi del riscaldamento climatico globale sulla loro vita e salute, in particolare considerando la loro giovane età.

In ogni caso, finché non ci sarà una protezione diretta dell’ambiente – ma non è all’ordine del giorno – da parte della Convenzione, avremo i limiti sopracitati, anche se la giurisprudenza ambientale della CEDU si dimostra molto audace.

Informazioni

P. Martin-Bidou, Droit de l’environnement, Bréal, coll.Lexifac, 2019;

A. Scarcella, Giurisprudenza C.e.d.u. e diritto dell’ambiente: i principali «filoni» della Corte di Strasburgo.